I cadaveri durante la loro permanenza nella tomba, sia essa una fossa di terra oppure un tumulo, sono soggetti a diverse trasformazioni di stato intermedie prima di degradare a semplice ossame e, quindi, in polvere secondo il celebre monito biblico (et in pulvem reverteris!).
L’attività cimiteriale è ciclica e non ad accumulo, è, dunque, finalizzata alla scheletrizzazione dei corpi e non al loro mantenimento nella condizione di integrità immediatamente successiva al decesso, proprio per assicurare spazio alle nuove sepolture; quindi, dopo il periodo di sepoltura legale, si eseguono le operazioni di esumazione o estumulazione volte a rimuovere le vecchie tombe (con il loro contenuto), così da poterle riutilizzare.
Dal 10 febbraio 1976, da quando entrò in vigore il vecchio regolamento di polizia mortuaria per ogni cadavere, anche tumulato, deve esser fissato un tempo massimo di sepoltura (coincidente, quasi sempre, con l’esaurirsi della concessione) oltre il quale procedere con il disseppellimento proprio per verificare l’avvenuta mineralizzazione dei tessuti organici e provvedere alla raccolta delle ossa. Sono, infatti, vietate le concessioni perpetue.
Particolari condizioni ambientali, chimiche e fisiche possono inibire, rallentare o modificare radicalmente i processi di normale decomposizione della materia organica di cui consiste il corpo umano, quindi non è sempre vero che all’atto dell’apertura della tomba si rinvengano solo ossa, spesso, in effetti, i corpi sono ancora incorrotti (per effetto dei fenomeni postmortali di corificazione, saponificazione o mummificazione) o solo parzialmente intaccati dalla putredine.
Il maggiore dei problemi gestionali per i cimiteri italiani è proprio questo: i morti non si scheletrizzano nei tempi e nei modi previsti!
Da circa 10 anni a questa parte si rileva con sempre maggior frequenza come le salme sepolte in terra, nei loculi o nelle tombe, decorso il periodo usuale di sepoltura (rispettivamente 10 e 30-35 anni) abbiano elevate percentuali di mancata o imperfetta scheletrizzazione.
Questo dato tendenziale, inizialmente avvertito nel corso delle esumazioni decennali (20% di inconsunti, con punte in zone umide del 70-80%) è in effetti la sommità di un iceberg, perché solo in questi, e nei prossimi anni, cominceranno ad entrare in rotazione i loculi o i posti salma in tomba frutto della crescita delle tumulazioni degli anni sessanta. Già in molte città si avvertono percentuali di indecomposti che variano fra il 20-30% e il 50-60% ed anche più in caso di estumulazione.
Ci si è quindi cominciato a chiedere quali fossero le cause di un simile trend negativo, tenuto conto che spesso i terreni di inumazione erano gli stessi (e in certi casi si era addirittura determinato un abbassamento delle falde superficiali per effetto di forti emungimenti dai pozzi) capaci, in passato, di garantire una certa efficienza “mineralizzante”.
E’ stato, inoltre, per certi versi sconvolgente constatare come nella tumulazione più si seguiva alla lettera la norma di legge e più si ottenevano risultati pessimi in termini di efficacia “mineralizzante”.
In pratica l’ impermeabilità ai liquidi e ai gas della bara e della cella muraria, unita magari alla puntura conservativa, determina condizioni di prolungamento nel tempo dei fenomeni di scheletrizzazione.
A partire dagli anni ‘90 si comincia ad avvertire l’esigenza di una norma con cui affrontare questa difficoltà strutturale, ossia lo smaltimento di cadaveri dissepolti ma ancora intatti che, non potendo esser ridotti in cassetta ossario o in ossario comune, continuerebbero ad occupare per ancora molto altro tempo posti feretro, riducendo, così, la capacità ricettiva del camposanto per i nuovi morti.
L’attuale regolamento di polizia mortuaria è varato il 10 settembre del 1990, ma, con una certa miopia, non introduce nuovi strumenti operativi, limitandosi a prescrivere per gli inconsunti estumulati un ulteriore periodo di interro, ed, ovviamente, in sede di calcolo del fabbisogno cimiteriale, ovvero del dimensionamento dei campi a sistema di inumazione, si dovrà appunto considerare questa ulteriore esigenza in termini di fosse.
Prendere coscienza di una problema significa anche dotarsi di un linguaggio tecnico-giuridico con cui, poi codificare le disposizioni normative per risolverlo o, quanto meno arginarlo: il cadavere mummificato, corificato o saponificato rappresenta un’entità medico legale di difficile interpretazione, invece il legislatore per uniformare i protocolli operativi della complessa macchina chiamata “polizia mortuaria”, decide, in diversi passaggi, ma con un obiettivo di fondo chiaro, di adottare una definizione amministrativa ed uniformante, basata su un criterio temporale, prima con la Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10, poi con la Legge 30 marzo 2001 n. 130 ed infine con il DPR 15 luglio 2003 n. 254: da questo momento i cadaveri indecomposti sono detti “Resti Mortali”, ossia esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo a prescindere dal loro stato di reale conservazione (completo prosciugamento, presenza di parti molli…), se sono trascorsi almeno 10 anni dalla loro inumazione o 20 anni dalla loro tumulazione.
Quindi i cadaveri inconsunti, se dalla prima sepoltura sono passati gli anni di sepoltura legale (10 per l’inumazione, 20 per la tumulazione), cessano di esser tali e divengono resti mortali, ossia una nuova fattispecie cimiteriale cui l’ordinamento giuridico italiano riserva riconoscimento e protezione affievoliti rispetto al cadavere.
Prima, in mancanza di una norma positiva, anche la giurisprudenza più autorevole della Suprema Corte di Cassazione aveva oscillato non poco sul concetto di cadavere ora estendendolo sino alla completa dissoluzione dello stesso in ossa sciolte, ora limitandolo al solo corpo umano privo sì delle funzioni vitali, ma dotato di tutte le fattezze anatomiche ben riconoscibili e tali da suscitare sentimento di pietà e devozione verso i defunti.
In linea teorica anche all’interno dell’architettura normativa del DPR 285/90 è sempre consentita la cremazione dell’esito del fenomeno cadaverico trasformativo conservativo su richiesta dei familiari aventi titolo (a meno che non vi fosse un divieto espresso in vita dal de cuius). Per coloro che sono morti dopo il 1990 vale inoltre il criterio del silenzio assenso, cioè ai familiari si sostituisce il Responsabile del cimitero quando sia stata data opportuna pubblicità della destinazione finale di tali inconsunti, previa decisione del Sindaco con apposita ordinanza, ma vi sono due fortissime limitazioni altamente paralizzanti:
- l’impossibilità di cremare cadaveri di persone decedute quando vigeva ancora il vecchio regolamento di polizia mortuaria (in regime di DPR 803/1975 si sarebbe potuto dal luogo alla cremazione solo dietro espresso volere del de cuius senza che tale volontà potesse esser surrogata o integrata dai famigliari dello stesso).
-
L’obbligo di un turno supplementare di inumazione per gli indecomposti estumulati, con l’implicito divieto, quindi, di cremare l’indecomposto subito dopo l’estumulazione
In regime di DPR 285/90 solo laddove si fossero verificate condizioni oggettive di carenza di spazi cimiteriali il Sindaco avrebbe potuto emettere una ordinanza (ma sono casi estremi) con la quale cremare subito anche esiti di fenomeni cadaverici di persone morte prima del 1990, così come ricordato dallo Stesso Ministero della salute in risposta allo stesso quesito posto da due distinti comuni con p.n. 400.VIII/9Q/1686 e 400.VIII/9Q/2515 ambedue del 4/7/2003.
La grande rivoluzione avviene con l’emanazione del DPR 15 luglio 2003 n. 254, esso, essendo una fonte di pari grado rispetto al regolamento di polizia mortuaria può intervenire sul suo testo per cambiarne l’assetto anche con potere “abrogante”, così come conferma lo stesso Ministero della Salute con risoluzione n. 400.VIII/9Q/3886 del 30.10.2003: “A parziale modifica ed integrazione del citato articolo 86 del tuttora vigente regolamento di polizia mortuaria di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.285 del 1990, è consentito autorizzare, ad istanza degli aventi titolo, anche la cremazione dei resti mortali provenienti da estumulazione alla scadenza del prescritto periodo ventennale, senza alcun obbligo di una preventiva, ulteriore fase di inumazione di durata almeno quinquennale” .
Da questo pronunciamento della stessa autorità sanitaria statale emerge sempre come centrale l’elemento della volontà, che è una costante di tutta la legislazione in tema cremazione.
Questa volontà può risolversi in:
- atto di disposizione in termini di diritti personalissimi e di pietas (il dar sepoltura attiene alla sfera più intima delle relazioni giuridiche e parentali);
-
una decisione (cioè un potere discrezionale esercitato da un soggetto a rilevanza politica) che attiene alle funzioni del sindaco e va formalizzata con opportuna pubblicità notizia in un’apposita ordinanza.
Come manifestare allora la volontà per la cremazione dei resti mortali?
il diritto a disporre dei cadaveri non si esaurisce in seguito alla prima destinazione degli stessi, ossia dopo il periodo legale di sepoltura.
Circa l’opzione cremazionista per resti mortali ed ossame (inconsunti), si pensa debbano trovare applicazione le norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare il resto mortale o le ossa. Non è più necessaria, infatti, la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato.
La cremazione dei resti mortali e delle ossa può esser deliberata d’ufficio da parte del comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto. La loro opposizione o contrarietà alla cremazione, invece, deve sempre esser rispettata.
Il disinteresse si qualifica come un atteggiamento inequivoco protratto per un tempo sufficientemente lungo e certo o quale mancanza di soggetti titolati a decidere sulla destinazione alternativa di ossa e resti mortali.
Secondo un certo filone del dibattito tra gli studiosi della materia funeraria l’assenso all’incinerazione degli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo provenienti da esumazioni ed estumulazioni ordinarie o delle semplici ossa non sembrerebbe richiedere requisiti particolari di forma, come accade, invece, per incinerare un cadavere,se non quello della sua dichiarazione resa al competente ufficio (potrebbe esser anche quello del cimitero) da parte di chi è legittimato a richiedere ed ottenere la cremazione dei resti mortali. Altri giuristi si spingono ancora oltre con una lettura più estrema del DPR 254/2003, a loro avviso addirittura gli aventi titolo non esternerebbero neppure una volontà ma un semplice assenso (cioè una non contrarietà) qualora il comune attraverso l’ordinanza che regola le estumulazioni avesse previsto in via generale la cremazione come trattamento dei resti mortali.
Tale assenso non avrebbe natura di istanza rivolta alla pubblica amministrazione, né rientrerebbe tra le dichiarazioni sostitutive di cui all’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 poiché il procedimento non avrebbe luogo ad impulso dei familiari, come avviene, invece, per la cremazione dei cadaveri.
Questo aspetto sembra un sofisma, ma è molto importante, perché rimarca la profonda differenza tra cadavere e resto mortale: Ad esempio: l’autorità comunale non può deliberare d’ufficio la cremazione di un cadavere (se non vi siano gravissimi pericoli igienico sanitari per la salute pubblica come in caso di epidemie o reali rischi di infezione endemica) perché per cremare un cadavere anche in caso di silenzio del de cuius, occorre pur sempre la volontà non sostituibile da terzi estranei, dei più stretti famigliari, e se si registra l’inerzia di quest’ultimi per la legge italiana la naturale sepoltura di un defunto è solo l’inumazione.
Se seguiamo questa logica di giusta semplificazione basterebbe, dunque un’autodichiarazione degli aventi titolo ai sensi del DPR 445/2000.
Per oppure ossa o resti mortali non richiesti si possono adottare provvedimenti autorizzatori contestuali e cumulativi (una sola autorizzazione per più resti mortali oppure per ossa appartenute a diversi cadaveri).
La dottrina si interroga ancora su questo dilemma: “il divieto di cremazione da parte del de cuius si estende solo al suo cadavere o anche ai resti del suo cadavere?”. Cadavere e resto morali sono due fattispecie distinte e non più sovrapponibili, il divieto di cremazione, pertanto, andrebbe limitato al solo cadavere (inteso come corpo unano ancor integro subito dopo la morte) e non dovrebbe spingersi oltre.
Diversa, invece, sarebbe un’inibizione legata alla durata di una concessione. Esempio: concessione di 90 anni con assoluta proibizione di estumulare un feretro per ridurne o bruciare i resti mortali. In quest’ipotesi il resto mortale sarebbe cremabile solo al naturale estinguersi del rapporto concessorio.
Buonasera,
premetto che siamo i gestori del Cimitero di Guidonia Montecelio (RM), Contratto di Concessione Repertorio 2405 del 09/10/2014.
Quando il cimitero era gestito direttamente dal comune, c’era la consuetudine di assegnare concessioni trentennali ( loculi vuoti) a persone viventi, per la propria tumulazione futura, con questa prassi ci si è imbattuti nella male gestione delle estumulazioni a scadenza concessione, più precisamente, una concessione presa nel 1989 ma la tumulazione avvenuta nel 2000 11 anni dopo, oppure acquistati nel 2000 e tumulazione avvenuta quest’anno, 19 anni dall’inizio concessione, venendosi a creare situazioni non facili da gestire.
Era prassi ricorrente del comune far pagare al momento della tumulazione un integrazione pari agli anni di non utilizzo loculo, per far si che il defunto potesse permanere all’interno dello stesso per il periodo di trent’anni (periodo delle concessioni nel nostro regolamento comunale) per poter programmare i manifesti delle estumulazioni ordinarie da scadenza concessione e, per un corretto funzionamento cimiteriale.
Ad oggi nel gestire queste situazioni ricorrenti, moltissimi cittadini si rifiutano di pagare l’integrazione della concessione dicendo di volerla posticipare alla fine della scadenza dell’originaria concessione, ma non attuabile per noi in quanto sapendo che i defunti non possono essere raccolti se non dopo il passare di almeno 20 anni come riportato nel DPR 285/1990, inoltre con il passare degli anni potrebbe venirsi a creare situazioni di irreperibilità dei parenti più prossimi, con l’aggravio per il gestore di costi insostenibili, oltre al fatto che non potremmo garantire la giusta programmazioni delle estumulazioni ordinarie come da regolamento cimiteriale.
Attualmente abbiamo chiesto al comune se avessero mai fatto una delibera o determina per gestire la problematica dell’integrazione, ma nessuno sa niente, ci hanno detto che questa era la prassi…….
Vorremmo sapere se l’integrazione è regolamentata in qualche modo……leggendo il Manuale di polizia mortuaria disciplina nazionale e regionale di Sereno Scolaro, accenna alla possibilità di prolungare la concessione, ma in maniera poco esaustiva…..
Possiamo noi come gestori adottare lo stesso metodo comunale senza che sia regolamentato nello specifico con una delibera/determina comunale?
Ci sono dei riferimenti che possano fare chiarezza in merito?
Può un cittadino decidere di non pagare quanto richiesto?
Grazie.
X Edith,
in estrema sintesi:
1) si ricorre ad una novazione, in senso civilistico, cioè si estingue anzitempo il rapporto concessorio in via di scadenza per costituirne uno del tutto nuovo, con effetti ex tunc, avente come oggetto fisico lo stesso sepolcro privato a sistema di tumulazione. IL canone concessorio da versare sarà lo stesso previsto ATTUALMENTE nella declaratoria comunale per le nuove concessioni.
2) se ammesso dal regolamento municipale di polizia mortuaria si attua un semplice prolungamento della concessione, ovvero l’originario contratto rimane lo stesso ma dispiegherà i propri effetti per un tempo più lungo, pari, almeno, al periodo legale di sepoltura in tumulo (20 anni). Questa estensione è soggetta al versamento di un’integrazione del canone concessorio ab origine pattuito tra le parti, in quanto la tumulazione, configurandosi quale sepoltura privata nei cimiteri, è sempre a titolo oneroso per il richiedente.
Non sussiste minimamente l’ipotesi di procrastinare, magari sine die o, comunque, in un futuro remoto il versamento del canone concessorio.
3) Si applica “BRUTALMENTE” l’art. 86 comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, il quale prescrive di inumare in campo spaciale indecomposti (con turno di rotazione decennale) i feretri estumulati, prima della scadenza naturale. del 20 anni.
Buonasera vorrei un informazione mio papà è morto da 24 anni vorrei poterlo tenere in un urna e portarlo a casa senza dover cremarlo,vivo in provincia di Roma in un paesino genzano di Roma . Grazie mille in anticipo
X Jessica,
rispondo alla Sua domanda con una citazione d’autore, ancora di grande attualità:
Consiglio di Stato, Sez. I, 24 maggio 1948, n. 502:
“La regola stabilita dall’art. 340 della legge sanitaria, sulla obbligatorietà di seppellire i cadaveri nei cimiteri, ha carattere generale ed assoluto e ad essa non può derogarsi se non per esplicita disposizione di legge. È quindi da ripudiarsi il principio già accolto dal Consiglio di Stato nel parere 1772 del 23 settembre 1896 secondo il quale i resti mortali dei deceduti da oltre un decennio possono equipararsi, per il trasporto e la conservazione, ai residui della cremazione. Tale assimilazione incontrerebbe ostacolo anche nel disposto del comma secondo dell’articolo 343 della citata legge sanitaria, il quale esige che la cremazione sia completa perché le ceneri possano trovare sede altrove che nei cimiteri. Se dovesse attuarsi il concetto che le ossa umane, dopo dieci o più anni dal seppellimento, possano essere trasportate e definitivamente sistemate fuori dei cimiteri, questi perderebbero il carattere che la legge ha voluto loro imprimere. Il numero di ultime dimore dei morti diverrebbe illimitato e l’art. 340 avrebbe valore limitato nel tempo: il che è escluso dalla lettera della legge”.
Pertanto solo le ceneri possono uscire dal circuito cimiteriale ed avere, così, una destinazione domiciliare.
X Alessandro,
L’autorizzazione alla cremazione è accordata dal comune nel quale è avvenuto il decesso nel rispetto della volontà espressa in vita del defunto o, in mancanza di questa, dai suoi familiari ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), della legge n. 130/2001.
Questa norma non prevede né gli affini, né il Vescovo, nè tanto meno il superiore dell’ordine religioso cui il de cuius apparteneva.
Il Codice di diritto canonico promulgato nel anno 1983 non entra nel problema.
Per gli atti di disposizione sul post mortem, da esercitarsi in Italia, si applica unicamente la legislazione civile, poichè ragioniamo, pur sempre, di diritti personali, o addirittura personalissimi; comunque non patrimoniali.
Si tratta, però, di resti mortali (così come definiti dall’art. 3 comma 1 lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254; essi godono sì di tutela da parte della Legge, ma trattasi di protezione affievolita, nel qual caso vale il combinato disposto tra l’art. 3 commi 5 e 6 D.P.R. n. 254/2003 per le competenze autorizzatorie (sostanzialmente autorizza il Comune di ultima sepoltura, cioè quello di esumazione/estumulazione) e l’art. 3 comma 1 lettera g) della Legge 30 marzo 2001 n. 130 sulla legittimazione ad esprimere la volontà ed alla forma in cui quest’ultima debba esser manifestata.
Basta, pertanto, un semplice assenso, cioè un atto, pur sempre volitivo, o anche di semplice non contrarietà, secondo un’interpretazione più minimale, per procedere al rilascio della relativa autorizzazione.
In caso di irreperibilità degli aventi titolo jure sanguinis da dimostrarsi anche attraverso l’art. 11 comma 1 lett. c) del regolamento anagrafico (D.P.R. n. 223/1989) o comunque con attente ricerche la cremazione può esser autorizzata anche d’ufficio,meglio se questo trattamento ultimo per gli indecomposti è previsto nell’ordinanza sindacale (o anche dirigenziale, specie nei Comuni di maggiori dimensioni) con cui si disciplinano nel dettaglio estumulazioni ed esumazioni.
Scusate, tra pochi mesi mio suocero morto circa 40 anni fa verrà inumato mia moglie con mia cognata figlie vorrebbero sapere la procedura per la cremazione dei resti, siamo residenti in Torino. Grazie
X Eugenio,
la procedura di dettaglio è stabilita dal regolamento comunale, per le modalità d’accesso alla pratica cremazionista degli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo.
Se la destinazione d’ufficio per i resti esumati/estumulati è l’interro in campo indecomposti i famigliari con proprio atto di volontà possono, invece, domandare la cremazione, la Legge riconosce loro questa facoltà di disposizione.
Tre e solo tre sono i trattamenti consentiti al momento del disseppellimento dopo il periodo legale di sepoltura: ri-tumulazione (se concessa) inumazione o diretta cremazione.
Tutti gli oneri sono a carico dei richiedenti legittimati ad esprimersi.
La cremazione dei resti mortali (per gli aspetti autorizzativi si veda l’art. 3 commi 5 e 6 D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254), in buona sostanza autorizza il Comune di prima sepoltura con un iter piuttosto semplificato (non occorre la documentazione inerente all’esclusione di sospetto di morte violenta o peggio ancora dovuta a fatto criminoso).
Ai sensi dell’art. 3 Legge 30 marzo 2001 n. 130 sarebbe addirittura sufficiente un semplice assenso alla cremazione del resto mortale, ossia un atto comunque volitivo di non contrarietà, manifestato in forma anche destrutturata seguendo il dettato del D.P.R. n. 445/2000 sulle dichiarazioni da rendere ad una pubblica amministrazione.
Qui si rilevano però, parecchie asimmetrie procedimentali tra Comune e Comune: alcuni enti locali vogliono l’atto sostitutivo in atto di notorietà, ad esempio, per altri, al contrario è bastevole una sottoscrizione dell’istanza debitamente autenticata, poiché stiamo sempre ragionando di diritti personalissimi in termini di pietas.
Il consiglio, quindi, è prendere immediatamente contatto o con l’ufficio comunale di polizia mortuaria o con il gestore dell’impianto cimiteriale de quo, a Torino, nel caso specifico.
Salve, cerco delucidazioni circa la possibilità di disperdere le ceneri derivate dalla cremazione di resti mortali a seguito di esumazione ordinaria. Mio fratello è morto nel mare prospicente al comune di Framura,SP, il 9 agosto del 1990 a 21 anni e al momento dell’inumazione, decise nostra madre per lui e fu messo in un loculo a Correggio RE. Ora vorremmo rispettare le sue volontà e deporlo in mare, ma non riesco a trovare informazioni chiare in merito. Cordialità, Gloria.
X Gloria,
1) istanza, in bollo, rivolta al Comune di Correggio, in cui anche contestualmente ex art. 40 D.P.R. n. 445/2000 (poiché afferisce funzionalmente allo stesso servizio di polizia mortuaria ed allo stesso defunto) in cui si richieda formalmente: a) estumulazione. b) cremazione del feretro. c) decreto di trasporto verso il comune marittimo in cui avverrà materialmente la dispersione in mare.
La competenza autorizzativa del Comune di Correggio di ferma qui, spetterà all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di dispersione (secondo le modalità dettate dalla rispettiva legge regionale) accordare l’apposita autorizzazione allo sversamento delle ceneri in acqua.
Buonasera,
ho un quesito al quale spero possiate dare risposta: ho mia nonna deceduta 27 anni fa che abbiamo deciso di far cremare e tumulare con mio nonno. Sono entrambi a Foggia, Puglia. L’agenzia di pompe funebri che abbiamo contattato ci dice che per poter procedere alla cremazione, portando nonna a San Benedetto del Tronto, l’importo che ci ha chiesto deve essere fatturato con applicazione dell’Iva al 22%. Io sapevo che questo tipo di prestazione rientra nell’esenzione Art. 10. Potreste delucidarmi in merito? Ringrazio in anticipo per la disponibilità.
No, la cremazione è soggetta ordinariamente ad IVA all’aliquota ordinaria 22%) per ogni forma di gestione di crematorio diversa da quella in economia diretta del Comune (ad es. a Bari il comune lo gestisce in economia diretta, a San Benedetto no). Per cui è giusta l’applicazione dell’IVA al 22%. Questo vale anche per le operazioni cimiteriali con la stessa distinzione di modalità di gestione del cimitero. Invece, per le spese funebri fatte con l’impresa funebre, si è l’esenzione IVA, ai sensi art. 10 del DPR 633. Ma la cremazione non vi rientra. In genere l’impresa funebre anticipa per conto del cliente le spese di cremazione (con IVA al 22%) e fattura intestata al cliente ed espone l’importo (e allega la fattura) a titolo di spesa eseguita per conto del cliente esente art. 15 stesso DPR 633.
Cara redazione, abbiamo un notevole problema.
Le estumulazioni massive in programma, per scadenza naturale della concessione, sono già state calendarizzate, ma in caso di rinvenimento di inconsunti non avremmo spazio per la loro inumazione, il nostro cimitero, infatti, non dispone di un campo indecomposti e tutte le quadre di terra sono al momento occupate da feretri che non hanno ancora terminato l’ordinario turno di rotazione decennale.
Come potremmo comportarci per smaltire, nel rispetto della Legge, gli eventuali “resti mortali” provenienti dalle operazioni di cui sopra?
X Gestione Cimiteriale,
insomma… il Vostro cimitero rischia la congestione o, meglio, la paralisi operativa per mancanza di campi d’inumazione appositamente dedicati agli indecomposti ex art. 86 comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
sottolineo solo come l’occupazione dei loculi a concessione già scaduta (se non è previsto un rinnovo o una proroga della stessa), quindi sine titulo, poichè per fattore temporale si è già estinto il rapporto concessorio nella sua durata massima produca danno erariale ex art. 93 D.Lgs n. 267/2000, siccome, le celle mortuaria da liberarsi non possono eventualmente esser subito riassegnate dietro versamento del rispettivo canone concessorio stabilito dall’Amministrazione.
Ecco i perversi risultati di una cattiva politica cimiteriale, in effetti, ex art. 58 comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (e paragrafo 10 Circ. Min. esplicativa 24 giugno 1993 n. 24 del regolamento nazionale di polizia mortuaria) nel computo del fabbisogno di aree su cui impiantare i campi comuni di inumazione bisogna calcolare anche l’ulteriore spazio necessario all’eventuali inumazione di esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo provenienti da operazioni cimiteriali massive di esumazione o estumulazione, laddove, in quest’ultima è maggiore l’incidenza dei cosiddetti inconsunti per le condizioni ermetiche delle sepolture in nicchia muraria e cassa impermeabile che rallentano non poco o, addirittura, inibiscono i naturali processi di scheletrizzazione del cadaveri
Tanti anni fa, ormai, unicamente in regime di D.P.R. n.285/1990 solo laddove si fossero verificate condizioni oggettive di carenza di spazi cimiteriali il Sindaco avrebbe potuto emettere una ordinanza contingibile ed urgente a tutela della salute pubblica e della stessa attività cimiteriale (ma sono casi estremi, per evitare la situazione di stallo) con la quale cremare subito anche esiti di fenomeni cadaverici di persone morte prima del 1990, così come ricordato dallo Stesso Ministero della salute in risposta allo stesso quesito posto da due distinti comuni con p.n. 400.VIII/9Q/1686 e 400.VIII/9Q/2515 ambedue del 4/7/2003.
La grande rivoluzione avviene con l’emanazione del D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254, esso, essendo una fonte di pari grado rispetto al regolamento di polizia mortuaria può intervenire sul suo testo per cambiarne l’assetto anche con potere “abrogante”, così come conferma lo stesso Ministero della Salute con risoluzione n. 400.VIII/9Q/3886 del 30.10.2003: “A parziale modifica ed integrazione del citato articolo 86 del tuttora vigente regolamento di polizia mortuaria di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.285 del 1990, è consentito autorizzare, ad istanza degli aventi titolo, anche la cremazione dei resti mortali provenienti da estumulazione alla scadenza del prescritto periodo ventennale, senza alcun obbligo di una preventiva, ulteriore fase di inumazione di durata almeno quinquennale” .
Le soluzioni ragionevolmenteproposte allora sono almeno due:
1) se il cimitero de quo è frazionale e cioè è parte di un più ampio sistema cimiteriale in capo allo stesso Comune (ossia il Comune dispone di più campisanti) con oneri a carico di quest’ultimo (e con i minori riflessi possibili per la cittadinanza dato il vizio di fondo imputabile ad una mala gestione, da cui scaturisce il problema) si dirottano gli eventuali resti mortali in un diverso cimitero dotato di almeno un campo di terra, adeguatamente dimensionato, da adibire all’accoglimento degli indecomposti, ma a mio avviso è il rimedio più macchinoso e costoso.
2) Sfruttando le opportunità offerte dall’art. 3 commi 5 e 6 D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254 per i resti mortali non richiesti dai famigliari per una nuova sistemazione privata e dedicata e con spese da essi stessi sostenute, con l’ordinanza sindacale (o anche dirigenziale) con cui si disciplinano ex artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 D.P.R. n.285/1990 si statuisce che il trattamento d’ufficio cui sottoporre tali esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo sarà la diretta cremazione. Oggi è, infatti, possibile bypassare il passaggio intermedio dell’inumazione ex art. 86 comma 2 D.P.R. n. 285/1990, per le ragioni di cui sopra. Sarebbe meglio poter contare su un impianto di cremazione interno al Comune, altrimenti si consiglia di consultare diversi forni anche per comparare i prezzi per i quali, almeno per la massima tariffa applicabile, in linea generale vale pur sempre il D.M. 1 luglio 2002 conseguente all’art. 5 comma 2 Legge 30 marzo 2001 n. 130.
Nel lontano Maggio del 1978, dopo la nascita e pochi minuti di vita, all’ottavo mese di gravidanza, è deceduta la mia prima figlia, con notevoli difficoltà, mi è stato assegnato un loculo mortuario (alcune interpretazioni davano come riconoscimento un feto e non un essere umano completo). Sono passati 40 anni dalla sua morte ora c’è la scadenza legale e devo togliere mia figlia dal loculo. Dopo 40 anni, il desiderio di mio marito ed il mio, è quello di poter cremare ciò che rimane e di portarla, un una piccola Urna a casa, visto che per 40 anni non abbiamo avuto la felicità di averla tra noi. Come posso ottenere la cremazione? ed eventualmente la possibilità di tenerla tra noi?? Abito a Torino e molto presto ci recheremmo in altra città come residenza. Grazie.
Gentile signora Marcella,
il dolore che deve aver provato in questi quarant’anni lei e suo marito deve essere stato tanto. Ben difficilmente comprensibile da chi non ha avuto una esperienza simile. E sono in imbarazzo nel dare una risposta alla sua accorata richiesta. Sono in imbarazzo perché devo dirLe che per la mia esperienza ben difficilmente potrà – a distanza di 40 anni di tumulazione – rinvenire dei resti mortali scheletrici di un feto.
Laddove si rinvenissero, può chiederne la cremazione. Ma a maggior ragione, ben difficilmente sarà possibile raccogliere ceneri.
Per cui anche se è possibile quanto da Lei chiesto in termini procedurali, concretamente è ben difficile rinvenire ceneri di un feto, addirittura dopo la cremazione dei prodotti derivanti da una estumulazione quarantennale.
Mi rendo conto di darLe un dolore aggiuntivo nel dirLe questa amara verità. Ma è corretto che io La informi sull’esito effettivo della sua richiesta.
Per cui, signora Marcella e marito della signora Marcella, restate col ricordo nel cuore della vostra una figlia nata morta e limitatevi a questo. Eventualmente potreste chiedere di avere il rinnovo della concessione del loculo per un certo numero di anni o il trasferimento delle spoglie mortali in un fabbricato, che a Torino mi consta esista, dedicato proprio ad accogliere situazioni come quella da Lei descrittami.
Sono un Impresario funebre della Lombardia e ho un quesito da porre: sono stato incaricato da una famiglia di procedere all’estumulazione di un parente dal loculo e di portare i resti mortali al forno crematorio per la cremazione e di riportare le ceneri in cimitero in un cinerario. Quando andrò ad emettere fattura dovrò farlo esente i.v.a. o dovrò applicare l’aliquota al 22% ? grazie
Per Omar
1) la estumulazione non è attività funebre, bensì attività di servizio cimiteriale, soggetta ad IVA ad aliquota intera se svolta da soggetto diverso da Pubblica Autorità (Comune), cioé se è fatta dal gestore del cimitero.
In base alla norma vigente nella Regione Lombardia (art. 33 comma 4 del regolamento regionale 6/2004 in materia funeraria) alla sua impresa funebre è inibito svolgere direttamente tale servizio (estumulazione). Occorre quanto meno la separazione societaria.
“4. I soggetti autorizzati all’esercizio di attività funebre non possono:
a) gestire obitori, depositi di osservazione, camere mortuarie all’interno di strutture sanitarie o socio-sanitarie;
b) effettuare denuncia della causa di morte o accertamento di morte;
c) gestire cimiteri, ivi compresa la loro manutenzione. Qualora il soggetto svolga anche tale attivitàè d’obbligo la separazione societaria ai sensi dell’articolo 9, comma 3, della legge regionale.”
Più correttamente il Comune dovrebbe svolgere una gara per l’affidamento del servizio di gestione del cimitero (ivi compresa la estumulazione) e, a seconda che si tratti di appalto di servizio o di concessione di servizio, cambia la situazione fiscale. Nel caso di appalto di servizio la ditta vincitrice svolge un servizio per il Comune e fattura a questi con IVA la 22%. Il Comune ha il rapporto col cittadino e fa pagare la tariffa per l’importo stabilito dall’Organo competente (GM) e tale tariffa è fuori campo d’imposta. Se, invece il Comune concede ad un terzo la gestione del servizio cimiteriale il terzo fattura direttamente al cittadino ad aliquota IVA piena (22%).
2) L’impresa funebre, se incaricata da un avente titolo (familiare del defunto) di effettuare un trasporto funebre (e il trasporto di urna cineraria sicuramente lo è) può fatturare tale importo in esenzione di IVA, ex art. 10 DPR 633.
3) Diversamente il trasporto di un contenitore di resti mortali, ad avviso di chi scrive, non è detto che sia configurabile come trasporto funebre. Potrebbe rientrare nell’attività funebre ove fosse esplicitamente previsto dalla norma regionale in materia. Pertanto se la regione di appartenenza ha individuato senza ombra di dubbio e con legge/regolamento attuativo di legge regionale il trasporto di resto mortale come attività funebre e se lo stesso è stato commissionato da familiare avente titolo del defunto, è plausibile ritenere che questo trasporto sia anch’esso in esenzione IVA. Se invece il trasporto è commissionato dal gestore del cimitero o dal Comune, potrebbero non essere considerate pompe funebri, ma attività di servizio e quindi applicabile l’Iva ad aliquota intera (22%).
Ma quindi…se il comune tramite i suoi addetti provvede all’estumulazione ed io come impresa (visto che il comune non lo fornisce) provvedo a fornire al familiare del defunto il contenitore per la salma indecomposta,il trasporto al forno crematorio di essa,l’urna cineraria e il rientro di essa in cimitero devo fatturare la mia prestazione esente iva perchè è da considerarsi come attività funebre. Ovviamente opero nella regione lombardia
x Omar
la fornitura del contenitore di resti mortali fuori da un funerale, a nostro avviso, è un cessione di beni (e non prestazione di servizio proprio delle pompe funebri). Conseguentemente è assoggettata ad IVA ad aliquota intera. E’ lo stesso caso della vendita di una bara distinta dal funerale. Al resto si è già risposto.
X SILVIA,
il diritto a disporre dei cadaveri (e dei loro resti) non si esaurisce in seguito alla prima sepoltura, magari più convenzionale, degli stessi, ossia dopo il periodo legale di sepoltura. Circa l’assenso alla cremazione dell’ossame trovano applicazione le norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare le ossa. Non è più necessaria, infatti, per ovvi motivi la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato. La cremazione delle ossa provenienti da operazioni cimiteriali o da un precedente deposito in ossario comune può esser deliberata d’ufficio da parte del comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto.
Qui si scontrano due grandi filosofie e scuole di pensiero, e non è chiaro quale delle due abbia la predominanza. Invero la cremazione delle ossa, la quale gode pur sempre di piena cittadinanza nel nostro ordinamento funerario, non ha una procedura univoca e sin in fondo delineata dal Legislatore, essendo un istituto del tutto nuovo, in linea con le recenti tendenze cremazioniste.
Gli sforzi maggiori per ottenere un iter standardizzato si riscontrano soprattutto nella modulistica, tuttavia, spesso si provvede per prassi ed analogia con la cremazione di cadavere vera e propria regolata ora dall’Art. 79 DPR 10 settembre 1990 n. 285, ora dalla Legge 30 marzo 2001 n. 130. Per brevitas io, assumerò a rifermento la norma del DPR n. 285/1990, ossia dell’attuale regolamento nazionale di polizia mortuaria, l’unico in vigore in tutt’Italia (per le parti non novellate da Legge Regionale o regolamento)
La prima corrente dottrinaria ritiene che l’istanza di cremazione (indifferentemente di cadavere, resti mortali o ossa) da inoltrare presso il Comune in cui si trovino le spoglie mortali (o quanto ne residui) attenga all’esercizio di un diritto intimissimo e personale in termini di pietas ed affetti, la prefata richiesta, allora, si concreterebbe in un atto di disposizione motu proprio, in cui rileva, nel decidere la sola volontà del famigliare, ovviamente nel silenzio del de cuius (se questi ha espresso volontà contraria alla cremazione il problema non si pone più, perchè il suo volere, in tema di destinazione per il post mortem è sovrano). La forma dell’atto, allora, dovrebbe necessariamente esser quella della domanda, corredata da sottoscrizione debitamente autenticata da pubblico ufficiale ex Art. 21 e 38 commi 2 e 3 DPR n. 445/2000.
Alla seconda impostazione, invece, pare aderire il Ministero degli Interni, con circolare telegrafica 1 settembre 2004 n. 37: secondo essa l’avente titolo a pronunciarsi, in realtà, non manifesta una volontà propria, bensì, quale semplice nuncius esprime un desiderio del de cuius stesso, riportandolo formalmente, ecco, quindi, il motivo per cui il suddetto Dicastero operi una scelta di fondo per l’atto sostitutivo di atto di notorietà ex Art. 47 DPR n. 445/2000, come strumento in cui estrinsecare la volontà cremazionista.
La differenza pare di lana caprina, almeno per i non addetti ai lavori e sostanzialmente si riduce a questo: l’atto è soggetto, sin dall’origine ad imposta di bollo: nel primo caso sì, nella seconda ipotesi no.
x Carlo
sei stato molto professionale sicuramente nella risposta ma scusami l ignoranza in merito….. io non ho capito se la mia volontà ( cioe quella di figlia) mi permette di poter scegliere di cremare le ossa di mio padre.
ripeto la “MIA volontA” o devo dichiarare che erà la volontà di mio padre?
GRAZIE E SCUSAMI
X Silvia,
Il problema interpretativo è tutto interno agli uffici comunali, e agli afficionados, causidici e legulei (come me!) del diritto funerario, ma per l’utente finale dei servizi di polizia mortuaria, cioè il normale e privato cittadino, nulla cambia e con la volontà (elemento sempre e comunque, centrale e dirimente) si procede in ogni caso alla cremazione delle ossa. Spesso queste difficoltà sono superate attraverso una modulistica piuttosto “elastica” ed omnicomprensiva delle diverse fattispecie in esame.
Nel merito, credo che tutto si incentri sulla natura della dichiarazione che può essere:
a) esercizio di un diritto, personalissimo, di disposizione del cadavere in termini di ‘pietas’,
b) rappresentazione di una volontà del defunto.
Da ciò discende, rispettivamente, che:
a) i famigliari esprimono una volontà propria,
b) i famigliari “riportano” la volontà del defunto o secondo altri commentatori, dalla posizione più sfumata, una non contrarietà del de cuius alla cremazione.
Nel primo caso, l’autenticazione della firma si fonda sull’art. 79 comma 2 DPR n.285/1990.
Nel secondo frangente, invece, si può/potrebbe fare riferimento alle norme in materia di documentazione amministrativa.
La volontà del defunto in termini di “qualsiasi altra espressione della volontà” é presente nell’ art. 3, lett. b. n. 3 Legge 30/3/2001, n. 130, se e quando potrà essere, in toto, applicabile, ma, a questo punto, molto dipende dall’eventuale Legge REGIONALE in materia di cremazione.