Autorizzazione alla cremazione
Per la Legge Italiana tutte le operazioni di polizia mortuaria soggiacciono sempre a preventiva autorizzazione.
Si parla di “autorizzazione”, intendendo con essa il provvedimento amministrativo con il quale la Pubblica Amministrazione, in funzione preventiva e su istanza di parte, provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo preesistente in capo al destinatario.
Per tumulazione ed inumazione, tuttavia, non sono contemplati particolari filtri o procedure ben più strutturate rispetto alla semplice verifica dei titoli formali.
Come noto i principi legislativi da assumere a riferimento in materia di cremazione sono quelli stabiliti dall’articolo 343 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 “Approvazione del Testo Unico delle leggi sanitarie” e dagli Artt. 78 e seguenti del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria DPR 285/90.
L’autorizzazione alla cremazione e alla sepoltura si collocano su due ambiti distinti, ed hanno finalità diverse, così come ha confermato lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia con nota n. 1/50/FG 33 (92) 114 del 12 giugno 1992.
La prima attiene all’autorità comunale (dirigente o funzionario incaricato) l’altra, invece, appartiene agli adempimenti propri dell’Ufficiale di Stato Civile.
L’autorizzazione alla cremazione rientra, oggi, nelle prerogative del dirigente di settore (Art. 107 comma 4 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) individuato da ciascun Comune, di fatto può essere anche, ma non necessariamente, l’Ufficiale di stato civile, qualora vi sia identità personale nell’esercizio delle due funzioni, ma i due ruoli debbono rimanere separati. Tra l’altro l’istituto della delega sul potere di autorizzare la cremazione è fondato sull’Art. 17 comma 1 bis (e 17 bis) del Decreto Legislativo 165/2001.
Autorizzazione al trasporto ed alla cremazione possono esser contestuali, ossia insistere fisicamente sullo stesso supporto cartaceo (occorre sempre applicare l’imposta di bollo ex DPR 642/1972). Il documento, però dovrebbe esser redatto in duplice copia; l’una da consegnare, dopo l’arrivo in cimitero, al responsabile del servizio di custodia, l’altra, invece, dovrebbe rimanere agli atti nell’archivio dell’impianto di cremazione. Questa possibilità di notevole semplificazione è inibita per le autorizzazioni al trasporto ed alla sepoltura in quanto l’una riguarda il dirigente, l’altra, invece, l’Ufficiale di Stato Civile (si veda l’Art. 11 della Legge 4 Gennaio 1968 n. 15).
La competenza dirigenziale risulta, oggi, perfino non derogabile, se non per espressa disposizione di legge, tuttavia per rendere più efficiente la macchina comunale la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento sino alla stessa sottoscrizione finale degli atti autorizzativi può esser trasferita ad altri dipendenti comunali (subordinati rispetto al dirigente) in servizio presso la stessa unità.
Il personale dipendente incaricato è tenuto ad osservare le direttive impartitegli dal datore di lavoro e non può rifiutare tale incarico detto altrimenti “delega interna”. Rispetto alla qualificazione del personale dipendente verso cui il dirigente possa attribuire, ove lo ritenga, tale incarico, occorre precisare che l’individuazione del personale dipendente rientra nei poteri del dirigente che li esercita nel rispetto del CCNL e del Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi. Questo principio è valido per tutte le autorizzazioni comunali di polizia mortuaria.
E’ il comune nel quale è avvenuto il decesso a rilasciare l’autorizzazione alla cremazione, naturalmente, se si ignora la località in cui si sia consumato il trapasso l’autorizzazione spetta al comune in cui la salma, prima ed il cadavere, poi, sono stati deposti per il periodo d’osservazione. Per la sua intrinseca irreversibilità la cremazione è sottoposta ad un particolare meccanismo autorizzatorio, in cui elemento costitutivo soggettivo è la volontà di procedere alla cremazione di un defunto, in quanto le spoglie umane non sono né di proprietà pubblica né res nullius (ossia cosa di nessuno) e la loro tutela assume riflessi di natura penale.
La cremazione eseguita senza autorizzazione configurerebbe, oltre ad una violazione regolamentare, la fattispecie criminosa di distruzione di cadavere.
La cremazione da effettuarsi in territorio italiano richiede il preventivo rilascio di un’autorizzazione amministrativa, il cui inadempimento comporta l’immediata segnalazione al procuratore della Repubblica (art. 75 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396).
La legge italiana regola il rilascio dell’autorizzazione alla cremazione su più piani, riconducibili a due principali:
- La volontà, con ulteriori livelli distintivi (testamento una volta pubblicato, autonoma volontà dei familiari, adesione ad una SO.CREM.);
- La definitiva rimozione anche del solo sospetto che la morte sia dovuta a reato, ottenuta, in via ordinaria, attraverso apposito certificato redatto dal medico curante o dal medico necroscopo (di solito spetta a quest’ultimo la segnalazione all’Autorità Giudiziaria di eventuali notizie di reato, ma questa responsabilità di informare la magistratura ai sensi dell’Art. 365 Codice Penale sorge in capo a qualunque sanitario).
In sostanza la norma nazionale con l’Art. 79 comma 4 DPR 10 settembre 1990 n. 285 stabilisce che occorre una determinata verifica in certe situazioni funerarie estreme come, appunto la cremazione con cui si può eliminare definitivamente ogni prova in caso di morte per reato, ed il tipo di soggetto legittimato a compierla
E’, allora, il medico curante o il necroscopo a certificare l’assenza di sospetto che la morte sia dovuta a reato.
Il DPR 285/90 chiede l’autenticazione della la firma da parte del coordinatore sanitario. Ciò dare a chi autorizza la cremazione (dipendente del Comune a ciò incaricato) questa certezza: la firma apposta dal medico è proprio del soggetto che la può apporre. Cosicché il ruolo del coordinatore sanitario (leggasi responsabile del servizio ASL, dopo il riordino del Servizio sanitario nazionale nel 1992 come già giustamente rilevato dalla stessa circolare ministeriale 24 giugno 1993 n. 24), citato dal DPR 285/90, è solo quello di autenticare la firma del medico il quale attesta la morte per cause non dovute a reato.
L’autenticazione della firma, sembra, tuttavia, un’anacronistico bizantinismo per almeno due ragioni:
1) ai sensi del DPR 445/2000 la firma dei pubblici ufficiali non è soggetta ad autenticazione;
2) la stessa legge 130/2001 non fa menzione di questa procedura.
La certificazione di cui sopra essendo meramente sanitaria ai sensi dell’Art. 49 DPR 445/2000 non può esser sostituita da altra documentazione non medica.
Diverse regioni, allora, seppur con tecniche diverse non richiedono più l’autenticazione.
Se la morte è violenta (la violenza si qualifica come un evento in cui vi sia una certa forza e brutalità contro natura, non necessariamente correlata a un reato o ad un sospetto di reato) o, peggio ancora è stata prodotta da un omicidio, occorre il Nulla Osta alla sepoltura della Procura della Repubblica e diventa superfluo il certificato di cui sopra firmato dal medico curante o da quello necroscopo.
Abbiamo, quindi 4 possibili fattispecie:
a) la morte dovuta a reato; b) la morte dovuta a sospetto di reato; c) la morte per causa violenta; d) la morte sospetta di causa violenta.
Questo Nulla Osta, tuttavia non è sufficiente per procedere alla cremazione, se esso non riporta espressamente che il cadavere può essere cremato.
Difatti l’Autorità Giudiziaria può consentire l’effettuazione dei funerali e la temporanea sepoltura, riservandosi di procedere ad ulteriori indagini nell’interesse della giustizia in un secondo momento.
In questo frangente non viene consentita la cremazione del cadavere, ma unicamente la sepoltura a sistema di inumazione o di tumulazione, che consentono in tempi successivi ulteriori indagini previa, rispettivamente, esumazione od estumulazione.
Senza Nulla Osta della Autorità Giudiziaria (in questi casi) il comune non può autorizzare la cremazione.
La cremazione, così come il diritto di scegliere il proprio sepolcro, e la tipologia della tomba, è annoverata tra i diritti della personalità.
La cremazione sembrerebbe attenere alla determinazione dei livelli essenziali concernenti i cosiddetti diritti civili e sociali costituzionalmente garantiti e l’espressione del suo desiderio viene pertanto regolata dalla legge nazionale applicabile alla persona.
Questa disciplina vale per deceduti su territorio italiano quando siano cittadini italiani, mentre se si tratta di cittadini stranieri, parimenti venuti a mancare su suolo italiano, si deve provvedere in conformità alla Legge Straniera (art. 24 Legge 31 maggio 1995, n. 218 sul diritto internazionale privato).
Quindi si può cremare in Italia il cadavere di una persona di altra nazionalità se, e solo se, la legge di quella Nazione contempla la possibilità di cremare i defunti della propria popolazione.
L’esclusione che la morte sia dovuta a reato costituisce disposizione imprescindibile ed inderogabile, anche per la cremazione di defunti stranieri.
Di conseguenza le norme volte a fugare il sospetto della morte dovuta a delitto si applicano non solo ai cittadini italiani, ma anche a quelli stranieri per il principio dell’obbligatorietà della legge penale.
Un cittadino italiano deceduto all’estero può esser colà cremato se l’Autorità Straniera del Paese di decesso ha dato il suo Nulla Osta alla cremazione.
Nella maggior parte degli Stati moderni sussistono, infatti, precise cautele per evitare la cremazione di cadaveri nell’evenienza di morte sospetta.
Quando, invece, si abbia l’estradizione del cadavere in Italia e la cremazione sia richiesta in territorio italiano, il requisito dell’esclusione del sospetto di morte cagionata da reato costituisce condizione sostanziale ed inderogabile.
In assenza di documentazione certa acquisita all’estero, attestante la morte provocata da cause naturali non resta che appurare tali circostanze attraverso idonea valutazione medico-legale conseguente a specifico esame autoptico da svolgersi in Italia, prima della cremazione del cadavere.
La regola generale del “comune di decesso” non risulta evidentemente idonea per definire quale comune debba autorizzare l’incinerazione se la cremazione viene richiesta successivamente all’introduzione del feretro dall’estero. La cremazione del cadavere di persona deceduta all’estero dopo l’avvenuto trasporto del feretro in Italia, determina, davvero, conseguenze rilevanti sotto il profilo del procedimento.
In tali casi, la titolarità dell’autorizzazione alla cremazione va definita, in via interpretativa, attraverso un altro criterio da individuare alla luce del punto 14.2, secondo periodo della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, essa, quindi, sorge in capo al comune italiano in cui il cadavere, in transito verso la sua destinazione ultima, è stata introdotto.
Dopo il 27 ottobre 1990 il diritto di scelta della cremazione è possibile anche ai familiari del de cuius, in forza dell’Art. 79 comma 2 DPR 285/90, purché, ovviamente, non vi sia una un desiderio contrario espresso e documentato in vita dal defunto.
E’ pertanto ammessa anche la cremazione di un minore, poiché l’ordinamento italiano riconosce la legittimità della rappresentazione da parte di entrambi i genitori su dichiarazione congiunta (dopo la Legge 8 febbraio 2006 n.54) di quest’ultimi anche attraverso atti separati. Così, basterà che uno solo dei genitori si trovi nella condizione di non poter esercitare la potestà attribuitagli (eccezion fatta, beninteso, per i casi di interdizione giudiziale), oppure sia contrario, per impedire il rilascio dell’autorizzazione alla cremazione.
Ove entrambi i genitori fossero deceduti (mettiamo la disgraziata ipotesi di un incidente), e ci fosse concorrenza di più parenti nello stesso grado, anche in tal caso occorrerà la manifestazione di volontà da parte di tutti i soggetti di pari grado, salvi i casi, anche qui, di interdizione giudiziale attestata nei modi di legge.
Anche il cadavere di una persona interdetta (la quale non può decidere di sé nemmeno per il tempo successivo alla sua morte) può esser cremato perché se l’interdizione risulta da sentenza passata in giudicato, il soggetto è privo della capacità di agire e non potrà rendere alcuna manifestazione di volontà, ma in suo luogo potrà pronunciarsi il tutore (art. 424 del codice civile).
Se il feretro era stato precedentemente sepolto, è il comune di seppellimento che autorizza la cremazione. Ciò vale sia nella situazione giuridica di cadavere, sia nella situazione giuridica di resto mortale (esito di fenomeni cadaverici trasformativi conservativi).
Conviene soffermarsi ancora sulla cremazione dopo un primo periodo di sepoltura:
E’ del tutto legittimo cremare un cadavere precedentemente tumulato o inumato, il comune è tenuto a rilasciare detta autorizzazione purché si acquisiscano agli atti:
1) una dichiarazione di tutti i familiari (in primis il coniuge) circa la loro volontà alla cremazione.
2) una dichiarazione degli stessi familiari di mancanza di espressa volontà contraria del de cuius alla cremazione.
3) l’attestazione comprovante l’effettiva estumulabilità/esumabilità del feretro. In una sepoltura privata, a sistema di inumazione o tumulazione, potrebbero, infatti, esservi dei divieti in tal senso da parte del fondatore del sepolcro, così il disseppellimento potrebbe avvenire solo alla scadenza della concessione (per concessioni a tempo determinato). L’inaccessibilità del feretro, perchè il tumulo è sprovvisto di vestibolo (cioè di spazio necessario alla sua movimentazione senza dover spostare altre bare, comporta l’inestumulabilità, ma, questo impasse potrebbe esser superato con la procedura di deroga di cui all’Art. 106 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria.
In seguito si segue lo stesso protocollo operativo di routine, come se ci si trovasse di fronte al cadavere di un soggetto appena deceduto.
A questo proposito occorre ricordare come, per fugare anche il solo dubbio di morte dovuta a fatto criminoso, si possa procedere a riscontro diagnostico o autopsia anche dopo diversi anni dalla morte qualora non si riesca a reperire idonea certificazione per le finalità di cui all’Art. 79 commi 4 e 5 del DPR 285/90 (esclusione di morte sospetta o dovuta a delitto ed eventuale Nulla Osta dell’Autorità Giudiziaria).
Saranno poi parimenti necessarie le autorizzazioni ad esumazione/estumulazione e quella al trasporto se il feretro per esser cremato dovrà uscire dal recinto cimiteriale.
Se, però, il de cuius, in forza del suo jus eligendi sepulchrum, ossia diritto a scegliersi la propria tomba, aveva chiesto di esser sepolto (non specificando se come cadavere o sue trasformazioni di stato) in una determinata tomba (esempio: a fianco dei genitori o di un figlio prematuramente scomparso) questo suo desiderio deve esser rispettato (inibendo, così, la possibilità di traslazione) e le ceneri verranno ritumulate nello stesso avello dove fu racchiuso il feretro.
Bisogna ora chiarire il problema dello spartiacque temporale rappresentato dal 27 ottobre 1990, data in cui entrò in vigore il DPR 285/90.
In precedenza, in regime di DPR 803/75, poi sostituito dal più recente DPR 285/90, la cremazione di un cadavere sarebbe stata ammessa solo dietro precisa volontà del de cuius formalizzata per mezzo di una disposizione testamentaria scritta.
L’Art 79 comma 2 del DPR 285/90 (cremazione su dichiarazione di volontà resa dai congiunti del de cuius) non è retroattiva, essa, infatti, opera solo per i cadaveri di soggetti morti dal 27 ottobre 1990 in avanti.
Per una certa corrente della dottrina il problema cronologico non dovrebbe porsi in quanto l’Art. 108 comma 2 del DPR 10 settembre 1990 n. 285 ha abrogato il vecchio regolamento di polizia mortuaria in tutte le sue parti e limitazioni, con riflessi anche sulle situazioni pregresse.
Dunque, ad oggi, la cremazione del cadavere di persona deceduta prima del 27 ottobre 1990 e tumulata da meno di 20 anni sarebbe ammissibile solo caso di rinvenimento postumo di una volontà del de cuius a favore della cremazione (per gli inumati non si registrerebbe, invece, nessuna difficoltà, in quanto per essi sarebbe già pienamente trascorso il periodo legale di sepoltura fissato ordinariamente in 10 anni).
Il 27 ottobre 2010, se non frattempo non sarà intervenuta una riforma dell’ordinamento nazionale di polizia mortuaria, il DPR 285/90 compirà 20 anni, da quel momento in poi tutti i cadaveri tumulati prima del 27 ottobre 1990 saranno direttamente cremabili, in quanto per essi saranno già trascorsi almeno i 20 anni di sepoltura richiesti dal DPR 15 luglio 2002 n. 254(detti cadaveri non saranno più tali in quanto del tutto assimilabili alla fattispecie del resto mortale).
Possiamo, dunque, sintetizzare tutto l’iter autorizzatorio in questo schema: Se il de cuius è deceduto dopo l’entrata in vigore del DPR 285/90 e non vi è uno scritto da parte del defunto che affermi la sua contrarietà alla pratica della cremazione, il comune in cui il feretro è stato tumulato o inumato deve autorizzare l’estumulazione per avviamento a cremazione su esplicita richiesta di tutti i familiari aventi diritto previa la presentazione di tutti i titoli richiesti dal’Art. 79 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria.
Per la cremazione di cadavere l’autorizzazione deve sempre esser individuale e nominativa.
Cremazione di parti anatomiche, prodotti abortivi ed ossa.
La cremazione è un atto di disposizione non solo su cadaveri o loro sezioni (parti anatomiche riconoscibili) ma anche sulle loro trasformazioni di stato postmortali (ossa e resti mortali). Cerchiamo, ora di esaminare in modo analitico queste diverse fattispecie:
- Parti anatomiche riconoscibili: le inerenti autorizzazioni al trasporto, alla sepoltura o alla cremazione attengono all’Autorità Sanitaria Locale del luogo ove dette parti anatomiche sono state “prodotte” per effetto di intervento chirurgico. Entro 48 ore la persona che ha subito l’amputazione con oneri a proprio carico può deciderne la destinazione, altrimenti prevarrà il trattamento deciso in via generale dall’ASL, la quale corrisponderà al gestore del crematorio o del cimitero la tariffa relativa alla prestazione erogata. Quando non vi sia una destinazione “dedicata” su istanza degli aventi diritto le parti anatomiche possono anche esser sepolte in maniera promiscua ed indistinta in un’unica cassa o fossa. Le parti anatomiche non riconoscibili sono unicamente smaltite attraverso termodistruzione in apposito impianto
- Prodotti abortivi: sempre se hanno raggiunto le 28 settimane di età intrauterina o, comunque, su esplicita istanza dei genitori possono esser accolti in cimitero. L’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 non individua il termine di presunta età di gestazione di 22 settimane (termine presente in altre legislazioni, es.: quella francese), quanto tre ipotesi di presunta età gestazionale: 1) meno di 20 settimane, 2) tra le 20 e le 28 settimane, 3) oltre le 28 settimane. La legge Italiana sembra considerare solo la loro sepoltura (inumazione o anche tumulazione se sussiste il titolo di accettazione in sepoltura privata ex Art. 50 comma 1 lettera c) DPR 285/90) con le due autorizzazioni (al trasporto ed al seppellimento) spettanti alla locale ASL; per la loro cremazione, invece, servirebbe una terza autorizzazione firmata dall’autorità comunale. Se ci limitassimo strettamente ad dato testuale, senza considerare lo sviluppo storico e sociale della normativa funeraria la cremazione dovrebbe esser inibita, siccome il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria distingue e pone una rigida separazione tra la tradizionale sepoltura in tumulo o fossa di terra e l’incinerazione. Ma in realtà non è così, perchè ormai le tre pratiche funerarie ammesse dalle Legge Italiana (inumazione, tumulazione e cremazione godono di pari dignità. Un’interpretazione più evolutiva, soprattutto alla luce dell’Art. 3, comma 4 D.M. 1° luglio 2002 consentirebbe, addirittura, di sostenere che le modalità di cui all’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 possano essere ritenute vigenti per quanto riguarda la competenza soggettiva alle autorizzazioni, attribuita all’ASL anche per la cremazione dei prodotti abortivi. Tutto il procedimento autorizzatorio, dunque, si concentrerebbe nella sola ASL, senza, più il bisogno di un’ulteriore provvedimento da parte del comune,con una notevole semplificazione burocratica. L’estensione alle tre pratiche funerarie possibili (inumazione in campo comune o sepoltura privata, tumulazione in sepoltura privata e cremazione) tra l’altro, è considerata anche per le parti anatomiche riconoscibili dall’art. 3, comma 2 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 senza limitazioni di ordine giuridico. Possiamo, dunque, giungere a questa conclusione: il prodotto abortivo è sempre cremabile solo se richiesto dai genitori attraverso un atto di disposizione in termini affettivi e di pietas verso i defunti. Feti e prodotti abortivi non accoglibili in crematorio (poichè non richiesti), in quanto più assimilabili a rifiuti ospedalieri speciali, ai sensi dell’Art 2, lett. h), punto 2) DPR 254/2003, così come le parti anatomiche non riconoscibili, debbono esser avviati a termodistruzione presso un inceneritore (Art. 14 DPR 15 luglio 2003 n. 254). Si rendono necessari alcuni chiarimenti: il prodotto abortivo non potrebbe essere considerato neppure un minore non avendo acquisito la capacità giuridica (art. 1 c.c.), esso non è oggetto delle registrazioni di stato civile, per cui non sussiste “titolo” probatorio della cittadinanza bisogna, allora distinguere in relazione alla cittadinanza (seppure questa si acquisti solo con la nascita, almeno nell’ordinamento giuridico italiano) quanto meno con riferimento alla madre (sussistendo con essa rapporto giuridico di filiazione). Per i cittadini stranieri trova applicazione la loro legge nazionale, alla luce dell’art. 24 L. 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”. Naturalmente, trattandosi di un onere a carico della struttura sanitaria laddove l’espulsione del prodotto del concepimento ed assimilati è avvenuta, qualora vi sia richiesta di parte per una specifica pratica funeraria, l’onere viene a porsi in capo al soggetto richiedente. Se è lecita (e lo è!) la cremazione dei prodotti abortivi ed assimilati, deve anche ammettersi la conseguente applicabilità delle forme di conservazione e/o destinazione delle ceneri alternative alla collocazione in cimitero che ne risultino previste dalle norme, anche regionali, laddove emanate.
- Ossa: il diritto a disporre dei cadaveri (e dei loro resti) non si esaurisce in seguito alla prima destinazione degli stessi, ossia dopo il periodo legale di sepoltura. Circa l’assenso alla cremazione dell’ossame trovano applicazione le norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare le ossa. Non è più necessaria, infatti, per ovvi motivi la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato. La cremazione delle ossa provenienti da operazioni cimiteriali o da un precedente deposito in ossario comune può esser deliberata d’ufficio da parte del comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto.
Ovviamente per le ossa contenute nell’ossario comune non sussiste più nessun potere di disposizione da parte dei possibili aventi titolo, in quanto la destinazione dell’ossario comune si configura come un trattamento irreversibile provocato anche dall’inerzia dei congiunti del de cuius. L’unico a poterne deliberare la calcinazione, per recuperare spazio, è il sindaco attraverso un proprio atto.
Il disinteresse si qualifica come un atteggiamento inequivocabile di rifiuto ad esercitare lo jus sepulchri, protratto per un tempo sufficientemente lungo e certo o quale mancanza di soggetti titolati a decidere sulla destinazione alternativa di ossa e resti mortali.
Secondo un certo filone del dibattito tra gli studiosi della materia funeraria l’assenso all’incinerazione delle semplici ossa non sembrerebbe richiedere requisiti particolari di forma, come accade, invece, per incinerare un cadavere, se non quello della sua dichiarazione a chi è legittimato a richiedere ed ottenere la cremazione dei resti mortali. Per le ossa racchiuse ancora nella cassetta ossario, ma non più richieste per ulteriori periodi di sepoltura “dedicata” in loculo o celletta e naturalmente per l’ossame dell’ossario comune si possono adottare provvedimenti autorizzatori contestuali e cumulativi (una sola autorizzazione per più resti ossei appartenute a diversi cadaveri. Per le ossa dell’ossario comune il problema nemmeno si pone perchè l’ossario comune presuppone già una conservazione in forma promiscua ed indistinta.
X Anna,
sugli errori (oppure ORRORI???) tecnico-giuridici confezionati dai nostri saggi legislatori in sede di redazione degli atti a contenuto normativo convengo pienamente, in effetti l’istituzione di una sorta di registro comunale per la cremazione pone inquietanti interrogativi sul limite oltre il quale sia, a questo punto, giusto e legittimo spingersi nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, magari anche a fin di bene, nell’intento di avvicinare il cittadino, senza alcun pregiudizio o retaggio storico negativo, al nobile rito della cremazione.
La cremazione attiene ai diritti della personalità, e, quindi, ai diritti sociali e civili, come tali regolati dalla sola Legge Statale ai sensi dell’Art. 117 lettere L) ed M) Cost. e tra l’altro s’interseca, almeno dopo la Legge n. 130/2001, con la materia dello Stato Civile, la quale è di sola ed esclusiva competenza statale ex Art. 117 lett. i) Cost, senza poi contare come le disposizioni per il proprio post mortem siano già ampliamente disciplinate dal Cod. Civile, attraverso la non derogabile forma della scheda testamentaria (olografa, pubblica o segreta).
Trascorrendo ad altre facezie procedurali, come rilevato prima, la cremazione è diritto della personalità e di conseguenza ai sensi dell’Art. 24 Legge n.218/1995 sul diritto internazionale privato, ai cittadini stranieri si applica la normativa italiana sull’incinerazione delle spoglie umane, solo in rapporto ed in subordine alla Legge nazionale del Paese di provenienza cui la persona è sottoposta (nella fattispecie in esame l’Iran essendo una Repubblica Islamica, -teocrazia secondo altri, meno benevoli, osservatori- di sicuro disapprova e vieta la cremazione in quanto pratica funebre non conforme al dettato Coranico ed alla giurisprudenza da cui spesso, quest’ultimo è implementato nella soluzione dei casi concreti).
Per rapporti giuridici con cittadini extracomunitari si consulti anche il DECRETO del PRESIDENTE della REPUBBLICA 31 agosto 1999, n. 394.
Buongiorno,
sono la segretaria della Socrem di Bolzano. Volevo comunicare che dal gennaio 2014, nella nostra provincia, sarà possibile lasciare le proprie volontà ad essere cremati e dispersi al comune di residenza. Il nostro dubbio, espresso già al legislatore, è che questa modalità di accesso alla cremazione non sia del tutto lecito. Nessun dirigente o amministratore locale ha dato segno di preoccuparsi di ciò. Effettivamente questa iniziativa si inquadra in una scelta di semplificazione burocratica che, forse, non è negativa. Avrei, invece, un quesito da porLe: un ragazzo di 25 anni iraniano è rifugiato politico in Italia. Ha passaporto e documenti italiani, anche se rimane di cittadinanza iraniana. Se tornasse in Iran verrebbe subito arrestato. Non ha più alcun rapporto con i famigliari rimasti nel loro paese. Vuole assolutamente essere cremato e non vuole che neanche il suo cadavere o le sue ceneri siano rimpatriate. La sua iscrizione alla Socrem è possibile e valida affinchè le sue volontà siano assolutamente rispettate? Oppure, non essendo cittadino italiano, i parenti o il governo iraniano potrebbero avanzare diritti ed impedire la sua cremazione? La ringrazio
X Patrick,
Purtroppo la Legge in materia di cremazione non definisce in modo inequivoco il concetto del “silenzio” (consapevole o meno) delle persone titolate a pronunciarsi, tra l’altro secondo il rigido ordine di poziorità. Il disinteresse (caso, per certi aspetti assimilabile alla fattispecie in esame), ad esempio, si configura come l’animus, ossia l’atteggiamento volitivo, sicuro e protratto nel tempo di chi, “fregandosene bellamente” proprio non ha intenzione alcuna, benché nel pieno delle proprie facoltà, di esercitare il proprio jus sepulchri sulla spoglia mortale di un congiunto.
A tal proposito il regolamento comunale di polizia mortuaria, senza sconfinare nell’attività giurisdizionale propria della Magistratura, potrebbe prevedere una specifica procedura a riguardo, in modo da far emergere chiaramente questo disinteresse, figura giuridica a cui, tra l’altro, si collega piuttosto strettamente anche la cosiddetta irreperibilità del coniuge superstite. L’irreperibilità può esser provata in via amministrativa attraverso apposito procedimento anagrafico, da coordinarsi con le disposizioni del Cod. Proc. Civile. (Art. 140)
Si può sempre, in ultima analisi, quando si rilevino questioni afferenti ai diritti soggettivi, esperire l’accertamento giudiziale (Art. 700 Cod. Proc. Civile?) sul diritto alla cremazione della spoglia del de cuius.
Salve, un mio parente nel 2005 si sposava con una marocchina, all’insaputa di parenti e amici, che dopo 6 mesi abbandonava l’abitazione per poi sparire nel nulla. Purtroppo scorsa settimana è morto per una malattia, i familiari volevano cremarlo, ma l’agenzia di onoranze funebre si rifiutava perché era necessaria la firma della “moglie”. In questo momento si trova in un loculo, ma l’intenzione resta sempre quella di cremarlo e portarlo vicino casa, in quanto la “moglie” è irreperibile. Quale strada bisognerebbe seguire? Come la legge tutela questa casistica? Grazie
Mia madre è deceduta il 22 marzo 2013.Vorrei sapere chi ha progettato l’opificio della cremazione una cosa a dir poco mostruosa, come è possibile che non c’è un filo di buon senso e amore per chi ha subito un lutto. Sarebbe più logico fare lasciare la bara dentro il carro funebre e salutare il congiunto, invece di salire su quell’orrenda collinetta con una puzza orrenda di cadavere bruciato entrare dentro in quella camera spettrale con in mezzo un montacarichi, dove viene messa la bara e poi ti viene detto ” salutate” senza un minimo di cortesia e poi con rumore stridente vedere andare giù la bara come in un girone dantesco. E stato orribile avrei voluto fare fermare tutto, ma ero talmente confusa che non ho fatto nulla. Che schifo è stata un’esperienza terribile, spero che si accorgano che non siamo animali da macello.Anna
X Antonio
Come al solito regna la confusione più totale…d’altra parte siamo in Italia, dove in campo funerario vige l’anarchia più totale: dipende, comunque da quale regione Lei mi scriva, perchè le leggi regionali regolano diversamente l’istituto dell’affido delle ceneri. Volendo cercare una norma unificante, anche se residuale, non possiamo prescindere dall’Art. 81 DPR 10 settembre 1990 n. 285, secondo cui copia del verbale di avvenuta cremazione e consegna delle ceneri va trasmessa all’Ufficiale dello Stato Civile del comune che ha autorizzato la cremazione, cioè a quello di decesso, perchè nell’ordinamento italiano fulcro di tutto il procedimento istruttorio è sempre il comune di decesso, il quale ha competenza non solo funzionale, ma anche territoriale. Attenzione, però, il sullodato Art. 81 DPR n. 285/1990 non considera minimamente la possibile fuoriuscita delle urne dal circuito cimiteriale, in altre parole non ne contempla l’ipotesi, invero oggi del tutto legittima, di affido familiare/personale, perchè nello spirito del DPR n. 285/1990 le ceneri possono solo esser tumulate in cimitero (Art. 80 comma 3) o disperse in cinerario comune ex Art. 80 comma 6.
Diventa così necessaria, per uscire dall’empasse procedurale, la laboriosa (ed artificiosa????) costruzione di un “doppio binario”, ragion per cui se l’urna è depositata in un colombario del cimitero si segue il percorso delineato dal pur sempre valido ed applicabile Art. 81 DPR n. 285/1990, mentre se le ceneri saranno collocate presso un domicilio privato ai sensi del DPR 24 febbraio 2004, poi implementato dalle diverse leggi regionali o, addirittura dai regolamenti comunali, copia dell’atto di affido (= verbale di consegna) sarà consegnata all’affidatario delle ceneri, mentre una seconda copia permarrà agli atti del comune che materialmente avrà autorizzato l’affido. SE l’affido avverrà in un comune diverso da quello di decesso, il quale autorizza solo la cremazione ed il trasporto, il comune di decesso si limiterà ex Art. 26 DPR n. 285/1990 a perfezionale e rilasciare i titoli di cremazione, autorizzando solamente il trasporto delle ceneri presso il comune terzo, luogo di stabile destinazione delle medesime, colà si provvederà in base alla normativa locale all’atto di affido.
Grazie Carlo,
un’ ultima : una copia del verbale di consegna urna ai familiari, a chi và consegnata ?
comune di residenza-
comune di decesso-
saluti
X Antonio,
chiedo scusa del ritardo con cui rispondo, ma la faccenda ha richiesto una lunga fase istruttoria di approfondimento.
La questione, invero, molto complessa dell’istituto della rinuncia alla costodia familiare/personale delle urne cinerarie non ha un’unica soluzione a livello nazionale, nel silenzio della Legge n. 130/2001 perchè è, in toto, demandata alla normazione locale (leggi regionali e regolamenti comunali di polizia mortuaria), anzi diverse regioni affrontano il problema con differenti filosofie.
Ad ogni modo, volendo generalizzare in un quadro d’insieme al fine di non esser eccessivamente dispersivi:
L’affidatario:
1. ha l’obbligo di custodire l’urna con modalità tali da consentirne una destinazione stabile e da offrire garanzie contro ogni profanazione;
2. è tenuto a comunicare al Comune, dove le ceneri sono custodite, le modalità della loro conservazione;
3. deve comunicare tempestivamente l’eventuale trasferimento dell’urna in altro Comune, sia nei confronti del Comune di provenienza, sia nei confronti di quello di nuova destinazione, previa acquisizione dell’autorizzazione al trasporto da parte del Comune nel quale si trova l’urna affidata;
4. se, per qualsiasi motivo, intende rinunciare all’affidamento dell’urna, è vincolato a conferirla, per la conservazione, nel cimitero comunale, previa acquisizione dell’autorizzazione al trasporto da parte del Comune nel quale si trova l’urna affidata.
A nostro avviso il comune cui comunicare e formalizzare l’atto di rinuncia allo jus sepulchri sulle ceneri è quello che, precedentemente ha autorizzato l’affido stesso.
Nel caso di rinuncia all’affidamento familiare/personale consegue la conservazione dell’urna nel cimitero comunale (dove? Magari per un congruo tempo in camera mortuaria?) del comune nella cui giurisdizione amministrativa ha originato l’atto di affido, l’ ipotesi per cui sarebbe prevista una comunicazione al Comune di residenza del defunto, avrebbe un’improbabile “ratio” che, a me personalmente rimarrebbe oscura, in quanto sarebbe meglio comprensibile un’avviso a familiari, se reperibili, anche se questo aspetto può essere contemplato in sede di normativa comunale, individuando le condizioni per una presa d’atto della situazione venutasi a creare e di una eventuale “nuova” dichiarazione concernente l’affidamento ai familiari dell’urna cineraria, se vi sia interesse da parte dei familiari medesimi titolati a disporre sulle ceneri medesime.
Comune di residenza, di decesso o conservazione dell’urna al momento della rinuncia sono le tre opzioni per il conferimento delle ceneri in cimitero, ai sensi dell’Art. 50 DPR 10 settembre 1990 n. 285, purchè nel cinerario comune ex Art. 80 comma 6 DPR n. 285/1990 in cui hanno diritto ad esser sversate le ceneri, seppur in forma promiscua ed indistinta. Si tratta di un’azione irreversibile e definitiva su cui è bene ponderare attentamente prima di deliberare una destinazione di questo tipo, altrimenti l’urna potrà pur sempre tumulata ai sensi dell’Art. 80 comma 3 in un sepolcro privato (deve, però, pre-sussistere lo jus sepulchri cioè, in altre parole, un rapporto concessorio da cui far sorgere una sepoltura privata ex Capo XVIII DPR n. 285/1990) in un qualunque cimitero italiano, anche se privato (ipotesi rarefatta, sì residuale, ma sempre di un certo fascino)
In altri termini infatti, non si individuerebbe il senso riguardo alle funzioni cui potrebbe essere chiamato, e dichiarato competente, il Comune di residenza del defunto, magari a distanza di tempo dal decesso.
X Carlo
Grazie x la tua disponibilità e gentilezza, cosi ho spunto per potermi muovere poi ti farò sapere
Grazie e buon lavoro
X Stefano, l’incomprensione con l’Autorità Sanitaria nasce
da un errore di fondo, o se si preferisce da un equivoco: L’Art. 3
lettera g) Legge 30 marzo 2001 n. 130 si riferisce alla cremazione
non dei cadaveri, bensì dei resti mortali (= esiti da fenomeno
cadaverico di tipo trasformativo-conservativo) provenienti da
esumazione o estumulazione una volta decorso completamente il
periodo legale di sepoltura pari a 20 anni per i feretri tumulati e
10 anni per quelli, invece, inumati. Per quanto riguarda la
cremazione di resti mortali si ritiene che con la L.R. Marche n.
3/2005 si sia data attuazione alla L. 130/2001, che parla in
maniera generale di autorizzazione alla cremazione (senza
distinguere tra resti mortali e cadaveri, attribuendola, come
competenza funzionale, allo stato civile). Dal punto di vista
sostanziale però la questione è trattata all’art. 3, comma 1, lett.
h) della L. 130/2001 laddove si prevede esplicitamente che per le
salme inumate da più di 10 anni o tumulate da più di 20 anni (non
cera ancora la definizione ufficiale di “resto mortale” oggi
formulata con l’Art. 3 comma 1 lettera b) DPR n. 254/2003), si deve
acquisire l’assenso dei soggetti di cui alla lett. b), punto 3) e
quindi maggioranza assoluta dei parenti di pari grado e se non si
trovano occorre la pubblicazione allalbo pretorio del Comune di
specifico avviso per 30 giorni. Si ritiene che, oggi, a livello
nazionale, la potestà autorizzatoria sia passata in capo al Comune
ai sensi dell’art. 3 comma 5 del D.P.R. 254/2003, mentre la
competenza alla pubblicazione all’albo pretorio debba essere dello
Stato civile. Tutto questo iter, però, riguarda i resti mortali, ma
non i cadaveri ed un defunto tumulato da pochi anni (per la
precisione meno di 20) per la Legge Italiana è ancora cadavere, e
non, appunto, resto mortale. In questo caso, infatti stiamo
ragionando su questo quesito: è possibile cremare un cadavere
estumulato quando non sia ancora trascorso completamente il periodo
legale di sepoltura pari ad anni 20? Le certificazioni mediche
relative a situazioni pregresse si chiamano, per consuetudine, “ora
per allora”. l’autorizzazione “postuma” alla cremazione e non
contestuale al giorno del funerale può essere certamente
rilasciata, previa, però, l’acquisizione della documentazione
richiesta dall’art. 79 comma 4 D.P.R. n.285/1990 (disposizione
replicata poi, in toto, dalla Legge n. 130/2001) attestante che la
morte non è dovuta a reato. l’unica figura deputata
istituzionalmente al rilascio del certificato ex art. 79 co. 4 “ora
per allora” è il medico necroscopo il quale al momento del decesso
aveva rilasciato il certificato ex art. 4 D.P.R. n.285/90 e
soprattutto di cui all’Art. 74 del DPR n. 396/2000. Se neghiamo
questo presupposto per ogni estumulazione straordinaria finalizzata
ad avviare il feretro a cremazione sarebbe allora obbligatorio
disporre l’autopsia/riscontro diagnostico. L’autopsia di un
cadavere estumulato è straziante per le famiglie: non va inoltre
trascurato l’aspetto economico. La mia proposta è di affidare allo
stato civile il compito di rintracciare il certificato necroscopico
stilato in occasione del decesso (quelli degli anni passati sono
archiviati presso l’Ufficio Territoriale di Governo in allegato
all’atto di morte) e di controllarlo: se non figura una causa di
morte violenta e non ci sono condizioni particolari poste
dall’autorità giudiziaria l’autorizzazione alla cremazione dovrebbe
essere concessa automaticamente, senza l’acquisizione,ex novo, del
certificato di cui all’art. 79, co. 4 D.P.R. n.285/90. Siccome so
per primo che modifiche in questo senso dell’ordinamento dello
stato civile e del D.P.R. n.285/90 sono molto improbabili, credo
che ancora per molto tempo il problema ruoterà attorno alla firma
del medico necroscopo.