Studi settoriali analizzano le stime provvisorie del forte calo di aspettativa di vita dovuto ai decessi della pandemia

Uno studio, recentemente realizzato da Elizabeth Arias, Betzaida Tejada-Vera e Farida Ahmad del National Center for Health Statistics (NCHS) ha fornito dati interessanti sulle stime provvisorie dell’aspettativa di vita negli Stati Uniti da gennaio a giugno 2020, in rapporto alla pandemia da Covid-19.
Il Centro è usualmente deputato a raccogliere e diffondere le statistiche di vita americane ufficiali, attraverso un proprio sistema di rilevamento ed utilizzando sia dati statistici provvisori, di aiuto per il compito di sorveglianza della sanità pubblica, sia dati finali necessari per produrre statistiche nazionali annuali sulla natalità e sulla mortalità.
In questo studio, per la prima volta, il NCHS ha utilizzato e pubblicato tabelle basate su dati statistici provvisori, al fine di meglio valutare gli effetti dell’eccesso di mortalità – osservati nel corso del 2020 – sull’aspettativa di vita.
I dati si traducono in stime basate sui certificati di morte ricevuti, da considerarsi provvisorie in quanto le informazioni sul certificato di morte potrebbero essere successivamente riviste, dando vita ad ulteriori e successivi certificati di morte, possibili fino a circa 6 mesi dopo la chiusura statistica annuale dei dati.
Nello specifico, il rapporto presenta le stime dell’aspettativa di vita – basate sul conteggio provvisorio della morte per i mesi gennaio-giugno 2020, per sesso, relativamente alle popolazioni nere totali, ispaniche, non ispaniche bianche e non ispaniche.
Per il calcolo delle stime provvisorie dell’aspettativa di vita sono state utilizzate tabelle di vita a periodo limitato, basate sui conteggi provvisori dei morti nella prima metà del 2020 desunti dai registri di morte; sui numeri provvisori delle nascite nello stesso periodo, basati sui registri di nascita ricevuti e sulle stime mensili della popolazione, dedotte dal censimento risalente al 2010.
L’aspettativa di vita alla nascita rappresenta il numero medio di anni in cui un soggetto vivrebbe, in base ai tassi di mortalità – specifici per età – prevalenti nel lasso di un determinato periodo.
Per la popolazione totale degli Stati Uniti, nella prima metà del 2020, l’aspettativa di vita alla nascita è risultata pari a 77,8 anni, quindi in calo di un anno rispetto ai 78,8 del 2019.
Nella classificazione di genere, per i maschi è stata di 75,1 anni nel primo semestre del 2020, con un calo di 1,2 anni rispetto ai 76,3 del 2019, mentre per le donne, l’aspettativa di vita è scesa a 80,5 anni, diminuendo di 0,9 anni dagli 81,4 del 2019.
Analizzando invece le diverse etnie, tra il 2019 e la prima metà del 2020, l’aspettativa di vita è diminuita di 2,7 anni per la popolazione nera non ispanica (da 74,7 a 72,0); di 1,9 anni per la popolazione ispanica (da 81,8 a 79,9) e di 0,8 anni per la popolazione bianca non ispanica.

Un altro studio condotto da Héctor Pifarré i Arolas, Guillem López-Casasnovas (Centro di ricerca in economia sanitaria, Universitat Pompeu Fabra di Barcellona), Enrique Acosta, Tim Riffe (Max Planck Institute for Demographic Research di Rostock -Germania), Adeline Lo, (Dipartimento di Scienze Politiche, Università del Wisconsin – USA), Catia Nicodemus (Nuffield Department of Primary Care Health Science, Università di Oxford, GB) e Mikko Myrskyl (Centro di Scienze dei Dati Sociali, Università di Helsinki – Finlandia, si è occupato degli anni di vita persi – a causa del COVID-19 – in oltre 81 Paesi.
Per meglio comprendere tale impatto di mortalità, al di là degli effetti numerici, si è reputato necessario analizzare quanto siano state effettivamente premature le morti, nel loro complesso, nel periodo pandemico.
La quantità di anni di vita persa – valutata in ben 81 paesi – è risultata pari a 20.507.518, risultando causata da oltre 1.279.866 decessi.
Lo studio si è basato sia sui dati dei decessi attribuibili a Covid, sia sul numero dei decessi in eccesso stimati.
Le stime dei decessi in eccesso sono infatti in grado di fornire informazioni sull’onere della mortalità, compresi i decessi che sono direttamente o indirettamente attribuiti al COVID-19.
I decessi in eccesso risultano definiti come la differenza tra il numero osservato di decessi in periodi di tempo specifici ed il numero previsto di decessi negli stessi periodi di tempo pregressi.
Ciò permette di determinare se il numero di decessi è significativamente superiore al previsto, anche al netto delle specifiche diversità dei vari paesi, rispetto all’andamento della curva pandemica ed alle politiche di contenimento adottate.
Lo stesso indice è stato rapportato con gli impatti della mortalità prematura di tre cause di morte comuni globali e cioè le malattie cardiovascolari, le lesioni riportate a causa di incidenti stradali e le influenze stagionali.
Confrontando il tasso dell’indice di morte prematura per COVID-19 con queste altre cause di morte, è apparso evidente che è stato dalle 2 alle 9 volte superiore rispetto a quello di un’influenza stagionale media, dalle 2 alle 8 volte superiore rispetto a tassi di morte derivanti da incidenti stradali, collocandosi tra un quarto e mezzo dei tassi attribuibili a malattie cardiovascolari.
Il calcolo dei decessi in eccesso invece è risultato particolarmente utile, a seguito del riscontro di una probabile complessiva sottovalutazione dei decessi attribuibili al COVID-19, soprattutto in contesti extra ospedalieri.
I dati risultanti hanno pertanto confermato che il vero tributo di mortalità pagato al COVID-19 risulterà – alla fine – essere sostanzialmente più elevato, seppur rapportato alle diverse realtà esaminate.
I tassi di mortalità per COVID-19 risultano significativamente più alti per la fascia di età anziani, anche per la frequente compresenza di patologie pregresse più o meno gravi, che ne aumentano il fattore di rischio morte.
L’età media emersa dallo studio sui morti per Covid – nei paesi esaminati – è stata di 72,9 anni; con un 44,9% dell’indice totale attribuibile alla morte di individui compresi tra i 55 e i 75 anni, un 30,2% con meno di 55 anni ed un 25% con età superiore ai 75 anni.
Ciò detto, la cifra media di 16 anni di vita persa include sì gli anni imputabili a persone ormai prossime alla fine della loro vita prevista, ma la maggior parte di quegli anni in realtà proviene da individui con una più significativa aspettativa di vita rimanente (considerato l’intervallo di età numericamente più rilevante, più sopra detto, tra i 55 ed i 75 anni).
Considerando invece il conteggio dei morti per genere, i dati confermano che gli uomini hanno perso il 44 per cento in più di anni rispetto alle donne.
Questo è dovuto principalmente a due cause: una maggiore età media alla morte per le donne decedute a causa del Covid-19 (75,9 contro 71,3 per i maschi) ed il totale di decessi maschili numericamente più importante rispetto a quelli femminili in termini assoluti (1,39 è il rapporto emerso tra decessi maschili e femminili).
Il risultato dello studio conferma quanto sia stato elevato l’impatto della mortalità da COVID-19, non solo numericamente, in termini di morti, ma anche – e soprattutto – in termini di anni di vita persi.
Alla luce di tali considerazioni si è evidenziata, a lato delle politiche già intraprese per proteggere le età più vulnerabili – superiori ai 75 anni – la necessità di un’azione consapevole di tutela anche per le fasce più giovani immediatamente sottostanti.
Nel caso della popolazione maschile, inoltre, va considerato che, oltre al fatto che più uomini muoiono di COVID-19 va anche rilevato che, fra questi, ne muoiono molti in età relativamente più giovane, rispetto ai potenziali anni di vita persi, se confrontati con le donne.
E questo aspetto dovrebbe altresì alimentare nuove e più mirate politiche sanitarie di genere per mantenere, quanto più possibile costante la distribuzione dei decessi.
Tutti i dati dello studio sono disponibili al link di Open Science Framework (OSF).

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