Un interessante saggio, redatto da Flavia Cristaldi e Silvia Omenetto dell’Università Sapienza di Roma – pubblicato sul Firenze University Press – ha analizzato, da nuove angolazioni, il fenomeno della mortalità correlato alle tendenze evolutive dell’immigrazione in Italia.
Lo studio evidenzia che l’immigrazione di massa verso l’Italia ha avuto inizio, in maniera più tardiva rispetto ad altri Paesi europei, a partire dalla fine degli anni Settanta.
La popolazione straniera, arrivata in Italia, presentava un’età media piuttosto bassa, rispetto alla popolazione italiana. Questa tendenza ha fatto sì che il problema dell’invecchiamento e della morte dei migranti risultasse inizialmente molto contenuto.
In un primo periodo la permanenza degli stranieri nel nostro Paese ha avuto carattere di valenza temporanea, con un progetto limitato al tempo necessario per raggiungere un certo grado di benessere economico al resto della famiglia, spesso rimasta nei luoghi di origine, dove poi si contava di fare ritorno.
Negli ultimi anni tali aspettative ed obiettivi sono mutati. La nascita di figli, cresciuti in Italia; il più frequente ricongiungimento di tipo familiare; la stabilità economica e sociale raggiunte nel Paese ospitante; l’acquisizione della cittadinanza italiana, tutti questi fattori hanno contribuito ad un più profondo radicamento nella società di arrivo, rendendo il ritorno nel Paese di origine una prospettiva più lontana, a volte abbandonata.
Secondo i dati pubblicati su demoistat.it, al 31 dicembre 2019 la popolazione straniera residente in Italia era pari a 5.039.000 unità, con un impatto sulla popolazione complessiva di circa l’8,4%. Nel 2019 inoltre l’Istat ha stimato tra gli stranieri 62.918 nati e 7.431 decessi.
Nel complesso, pertanto, le pubbliche amministrazioni si sono trovate via via sempre più coinvolte in nuove problematiche di civile convivenza “post mortem” derivanti dalle diverse appartenenze a molteplici credi religiosi.
La religione islamica prevede, ad esempio, la deposizione dei corpi in terra, in terreni all’uopo dedicati e rivolti verso la Mecca. Altre etnie, come quella cinese, preferiscono il rimpatrio di salme o ceneri nel Paese d’origine.
Quindi sempre più cimiteri italiani si preoccupano di prevedere spazi dedicati ad accogliere le salme legate ai flussi migratori transnazionali, sia nel rispetto delle norme italiane che nel rispetto dei credi individuali.
Lo studio ha analizzato un esempio di contesto urbano, interessato e trasformato dalla presenza della popolazione straniera e dalla conseguente pluralità religiosa, quale la città di Roma.
Secondo le stime fornite dall’Osservatorio romano sulle migrazioni, al 31 dicembre 2015 gli stranieri residenti a Roma Capitale erano per il 68,4% cristiani, per il 21,2% musulmani, per lo 0,1% ebrei, per il 3,3% induisti, per il 2,6% buddhisti, per l’1,4% appartenenti ad altre religioni orientali, per lo 0,7% appartenenti a religioni tradizionali.
Tra gli 11 cimiteri del demanio di Roma Capitale, solo due accolgono al loro interno sezioni dedicate al culto non cattolico: il cimitero monumentale del Verano (ormai chiuso a pratiche di inumazione) e il cimitero Flaminio-Prima Porta, che attualmente permette la sepoltura in reparti di culto non cattolico dedicati alle confessioni religiose: cattolica, evangelica, ebraica e islamica, con i rispettivi edifici religiosi.
Ad esempio, il reparto dedicato ai defunti musulmani, inaugurato negli anni Sessanta, rispetta la regola religiosa, che prevede la possibilità che un cimitero islamico si trovi nei pressi di altri luoghi di sepoltura di fede diversa a condizione che le tombe siano ben delimitate, con una recinzione ben definita, a separazione dalle tombe di altre fedi religiose.
Le pratiche rituali potevano avere luogo direttamente sul posto, grazie alla costruzione di uno spazio sacro costituito da una panca, posizionata in direzione della Mecca, su cui veniva appoggiata la bara del defunto ed un altro piccolo edificio preposto alla preparazione del rituale.
Tali costruzioni sono andate in disuso in seguito alla realizzazione della Grande Moschea di Roma, inaugurata a metà anni Novanta, che ha permesso alla comunità islamica di svolgere il proprio rituale funebre, all’interno di tale luogo di culto.
La successiva costituzione del Centro islamico culturale d’Italia-Grande Moschea di Roma, riconosciuto come ente giuridico dallo Stato italiano, ha consentito un successivo ampliamento del reparto di sepoltura dedicato al culto islamico, individuando nuovi spazi. Ed oggi l’area, a ciò deputata, costituisce la somma di cinque limitrofe sezioni tra loro separate da siepi, strade o cancelli.
Nei prossimi anni ci si aspetta pertanto un aumento del numero dei cittadini di fede non cattolica che dovranno essere seppelliti nei cimiteri romani, ma anche nel resto d’Italia.
Se il nucleo familiare si trova ormai tutto nel Bel Paese, anche le famiglie preferiscono seppellire i loro morti nei cimiteri italiani, anziché riportarli in un luogo dove non c’è più nessuno che possa prendersi cura della tomba.
Le prime generazioni migratorie stabilizzate in Italia, non prevedono più “ritorni in Patria” perché questa è diventata, a tutti gli effetti, l’Italia.
I defunti vengono sepolti negli unici cimiteri non cattolici presenti in Italia, spesso assai lontani dal luogo di residenza.
Aumenta, nel contempo, anche il numero delle cremazioni, considerate la soluzione più economica, che permette sia la conservazione familiare delle ceneri in loco, sia l’eventuale invio dell’urna nel Paese di origine, anche in tempi diversi.
Le diverse motivazioni sociali, demografiche, religiose, economiche spingono sempre più comunità religiose a chiedere alle amministrazioni comunali la realizzazione di aree dedicate alla sepoltura o interne o esterne ai cimiteri già esistenti, alimentando talvolta reazioni polemiche da parte della locale cittadinanza.
Vanno altresì considerati i frequenti episodi di partenze dalle coste nordafricane a quelle italiane che, in taluni casi, si sono purtroppo tradotti in numerose morti in mare e in conseguenti sepolture emergenziali, quando è stato possibile recuperare i poveri corpi.
I cimiteri più coinvolti sono stati, al momento, quelli costieri della Sicilia e della Calabria.
Il saggio segnala infine la lodevole iniziativa del Comune di Tarsia (CS), che ha pianificato la realizzazione del primo cimitero internazionale del migrante. Su di un’area di 30.000 mq. il cimitero intende configurarsi come il luogo di pace e riposo per le vittime dei tragici naufragi e come vero modello di un’architettura del dialogo.