Psicologia della tanatoestetica

Il Sig. XYZ chiede come ci si debba comportare durante la vestizione di una salma che presenti un’ingessatura. L’antiestetico gesso può esser rimosso senza provocare improvvise ed evidenti profonde deformazioni nella parte del corpo immobilizzata dalla fasciatura rigida?

No, il rischio è pressoché nullo, siccome oggi, le moderne tecniche d’ortopedia in caso d’arti “spappolati”, ovvero interessati da profonde ferite accompagnate da fratture plurime ed esposte, non si ricorre più al gesso, ma ad un supporto elastico, come ad esempio un gambaletto, capace, tuttavia di garantire una certa durezza e consistenza per impedire il movimento nella zona corrispondente alla rottura ossea.
È, quindi, quasi impossibile che un arto maciullato sia stato ingessato.
L’operatore funebre potrà così togliere il gesso; l’unica vera difficoltà potrebbe consistere nel reperire il “seghetto” idoneo a tale intervento.
Per precauzione conviene sempre esser dotati di bende in modo da avvolgere e “bloccare” l’arto prima ingessato nella sua posizione più naturale, solo dopo si procederà ad abbigliare il corpo.
Di solito, poi, nelle salme braccia e gambe sono sempre coperti dagli abiti, per tale ragione sarebbe estremamente difficile, per i dolenti, accorgersi d’eventuali fratture.
C’è un altro elemento da ricordare: il segreto della perfetta vestizione consiste proprio nel far indossare gli abiti con movimenti spontanei senza moti violenti o forzature sulla postura del cadavere.
Per eventuali arti slogati o fratturati occorrerà, allora, impiegare ancor maggiore dolcezza.

Possiamo enucleare meglio le tappe psicologiche ed emotive del lutto?

Sì: ecco uno schema su questi passaggi.
L’annuncio del decesso, spesso seguente ad una diagnosi grave, di quelle che non lasciano speranza, provoca in quanti lo ricevono, un vero e proprio shock (oppure “urto”, se preferite la terminologia italiana).
Il dolore è forte a tal punto da provocare un fenomeno di diniego incontrollato.
Questa reazione si manifesta attraverso comportamenti che, dall’esterno, sembrano anormali, oppure, al contrario, non si rivela per nulla.
Si tratta di una difesa psicologica contro un’aggressione troppo forte per il soggetto che ha appena perso colui, o colei, ai quali era legato.

  • Questa eventualità è tanto più importante in funzione di certe circostanze di morte che appaiono particolarmente brutali o inattese.
  • La morte diviene allora ingiusta e insopportabile, inaccettabile (soprattutto quando si tratta di soggetti giovani).

Le reazioni

Ecco, allora, una piccola antologia delle emozioni più diffuse quando si vive un lutto.

Lo stupore

Presente in quasi tutti i casi, anche quando la morte è annunciata, ed, in qualche modo, prevista.
Si ha sempre “difficoltà a crederci”. Subentrano allora i “perché?”, seguiti da sensi d’impotenza, di rimorso, di smarrimento, secondo gli infiniti casi della mente umana.

La collera

O, ancora, la rivolta assoluta contro:

  • Il defunto stesso (“perché mi hai lasciato?”).
  • La malattia o l’équipe medica (“non hanno fatto niente per salvarlo”, “non hanno agito come avrebbero dovuto”)…
  • Dio o la Fede (senso d’abbandono: Se Dio ci fosse non dovrebbe permettere certe cose).
  • “Il mondo intero” (“gli altri sono vivi, perché lui/lei no?”).
  • I rappresentanti delle Pompe Funebri.

In quei momenti la morte diventa un evento che avremmo potuto o voluto controllare…

La colpevolezza

Spesso indissociabile dalla rabbia, lascia emergere sensi d’amarezza e d’impotenza di fronte al defunto e a se stessi.
Questa situazione viene vissuta come una vera e propria sofferenza, poiché essa rivela l’incapacità ad intervenire per modificare il corso degli avvenimenti che conducono alla morte.
Essa si traduce spesso con: “cosa ho fatto io?” o al contrario “che cosa non ho fatto io per evitare ciò?”.
Il ruolo di chi accompagna la famiglia, nel momento del lutto, assume allora la sua importanza nell’ascolto e nella compassione.
Per le persone in lutto questi momenti sono di grande sconforto morale.

Comportamenti prioritari:

  • Presenza
  • Ascolto
  • Disponibilità
  • Sostegno

Il vissuto delle famiglie

Prima di tutto bisogna notare che ogni famiglia ha la propria storia, un passato più o meno difficile di fronte a colui che sta per morire.
La fine della vita riattiva strascichi d’eventi e sensazioni anche molto lontani nel tempo, rende fragili i contatti nel contesto emotivo, comportando un certa tipologia d’afflizioni.

Sofferenze psico-affettive:

  • Rotture, conflitti più o meno risolti
  • Sensi di colpa
  • Reminiscenza di circostanze simili, legate ad uno o più lutti non elaborati.

Modificazione dei rapporti affettivi:

I comportamenti del malato in fin di vita disorientano spesso il gruppo familiare che “non lo riconosce più”.
Effettivamente, il morente attraversa tappe identiche a quelle che ritroviamo nel percorso del lutto, per via delle diverse perdite che egli subisce:

  • Perdita della vita (deduzione rapida dopo l’annuncio della gravità del proprio stato di salute).
  • Perdita progressiva dell’autonomia
  • Perdita dell’immagine di sé
  • Perdita dei ruoli sociali e familiari
  • Difficoltà di distacco dai suoi cari

Ciascuno cerca di “proteggere” l’altro dalle proprie emozioni e l’incomprensione da una parte e dall’altra può rapidamente subentrare se non si fa attenzione.
Il ruolo di chi effettua i trattamenti è  favorire il più possibile gli scambi per permettere a ciascuno di esprimere i propri sentimenti, prima che sia troppo tardi.
Sono questi i rimpianti, queste le delusioni, queste le mancanze e queste le difficoltà che dovremo gestire dopo il decesso.
Ecco perché è necessario lasciar parlare la famiglia, quando essa lo desideri, o quando noi stessi avvertiamo questo bisogno. Così comprenderemo meglio in quali circostanze sia avvenuto il decesso e saremo più preparati ad aiutarla.
La famiglia è, del resto, molto sensibile all’immediatezza dell’ambiente circostante nel quale essa cerca l’appoggio necessario.
Coloro che praticano l’arte della tanatoestetica, oltre alle tecniche d’intervento sulla salma, debbono necessariamente imparare ad “essere vicini” alla famiglia in quei momenti nei quali l’emozione è di grande intensità; pur rimanendo “professionisti” essi sapranno proporsi nell’ascolto, rispondendo alle domande dei familiari e prevenendoli se necessario, così da risolvere subito i loro dubbi.

Written by:

Carlo Ballotta

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