Messico, il rito della “Santa morte”

Nota dell’autore: già tanto tempo fa mi occupai delle pratiche funerarie in Messico, ma l’articolo pubblicato in questi giorni sul sito di www.Repubblica.it è fonte per me di nuove riflessioni. Così ho riesumato dal mio polveroso archivio intere pagine di appunti per offrirVi questo piccolo rèportage.

Più di 500 anni fa, i Conquistadores spagnoli, quando approdarono sulle assolate coste di quell’immenso territorio che, oggi, chiamiamo Messico, ap109793051308095139 bigincontrarono le popolazioni indigene mentre si esercitavano in un rituale così pittoresco e bizzarro da sembrare, addirittura, un teatrale sberleffo per deridere la morte. Si trattava di un cerimoniale che la gente indigena praticava con intensità da almeno 3.000 anni, in onore delle anime dei loro cari scomparsi. Gli spagnoli, imponendo un’evangelizzazione forzata delle popolazioni locali, cercarono di sradicare questi costumi e retaggi millenari, senza però, ottenere significativi successi. I riti in onore dei defunti sono ancora diffusi in tutto il Messico, ma anche in alcuni territori degli stati Uniti,dove più forti sono i contatti con la cultura ed il mondo ispanico. Queste suggestive cerimonie, infatti, seppur in diverse forme vengono officiata anche ai nostri giorni e sono conosciute come le feste per celebrare il giorno dei morti. Ogni anno sontuose liturgie si tengono nelle grandi località di Mesa, Chandler e Guadalupe, città nota anche per il famoso santuario cui, ogni anno, si recano, in pellegrinaggio, intere folle di fedeli, provenienti da tutta l’America Latina. Secoli di dominazione spagnola hanno contribuito ad una profonda commistione tra arcaiche credenze tribali, mai sopite, e diversi elementi della teologia cattolica, magari facilmente assimilabili, proprio per il loro spiccato impatto emotivo.

Continuano, infatti, a sopravvivere, soprattutto nelle liturgie più teatrali di una religiosità popolare così diffusa, diverse formule o gesti magici, riconducibili al remoto passato atzteco, come, ad esempio, l’uso di teschi umani in funzione oggetti rituali.

Anche oggi la gente indossa mascherine, chiamate calacas, modellate a forma di teschio, magari fortunosamente ricavate da un pezzo di legno oppure con una sapiente lavorazione della carta.

Così paludati, con una testa di morto che copre il viso, i fedeli danzano in memoria dei propri defunti

Modellini di crani umani sono spesso disposti con eccentriche geometrie su altari appositamente allestiti per il suffragio dei morti.

Per l’occasione le pasticcerie di ogni paese creano piccoli teschi con la pasta di zucchero, sui quali verrà impresso il nome del defunto da ricordare.

Spetterà poi a parenti oppure amici più stretti consumare questo dolce, in segno di comunione con le anime dei propri cari scomparsi.

Diversi studiosi hanno ravvisato una vaga similitudine con il Sacramento dell’Eucaristia che gli europei diffusero nel nuovo mondo.

Anche in questo atto, solo apparentemente cannibalico, si celano complesse simmetrie: ancora una volta il consumare assieme un pasto, anche se in maniera idealizzata, come accade nella Santa Cena eucaristica, diventa presenza di una forza vivificante, perché il nutrimento materiale si trasforma nel simbolo stesso di una vita immortale che travalica i confini dell’esperienza fisica, legando vivi e morti con dolci catene d’affetti oltremondani.

Altri studiosi, invece, individuano in questa esposizione ostentata di ossame e vessilli mortiferi un riflesso delle remote credenze pagane.

Presso le civiltà precolombiane era, infatti, abitudine diffusa conservare i crani, magari come un sinistro trofeo di guerra. I macabri reperti venivano mostrati con fierezza durante riti e cerimonie collettive perché rappresentavano i moti naturali di nascita e distruzione della materia nei cicli perpetui dell’universo.

Le culture precolombiane dedicavano un intero mese alla commemorazione dei defunti: secondo la tradizione in quei giorni particolari le anime dei defunti, liberate dalle ombre dell’oltremondo, sarebbero ritornate nel mondo dei vivi, a recar visita ai famigliari nella loro casa.

Precedentemente, questa festività pagana cadeva nel nono mese del calendario solare di Aztec, approssimativamente all’inizio del nostro mese di agosto, riti propiziatori, esorcismi e preghiere per i morti si articolavano sull’intero mese.

Patrona di questo sacro periodo era la dea Mictecacihuatl, la divinità dell’oltretomba conosciuta come “la signora dei morti,” si credeva, infatti, fosse morta non appena nata per divenire signora degli inferi.
Oggi, il giorno dei morti è celebrato nel Messico ed in determinate zone degli Stati Uniti e dell’america centrale.

Diversamente dal pensiero giudaico cristiano, dove la morte è sentita come traumatica conclusione di vita a causa del peccato, gli Atzechi la concepivano come naturale continuazione di vita in altre forme viventi.

Invece di temere la fine dell’esperienza terrena la abbracciavano quale divino decreto della sapienza eterna che governa il mondo.

Le popolazioni precolombiane dimostravano un rapporto più di ingenuo e solare idillio con la natura ed i suoi tempi: la vita, in fondo,, rimaneva una strana illusione e soltanto nella morte ci si sarebbe potuti destare da questo sogno.

I popoli precolombiani credevano fermamente in un sovrannaturale equilibrio tra gli opposti capace di reggere l’intero universo.

Questi processi di continuo divenire si traducevano in un vorticoso dinamismo dove ogni differenza si stemperava nell’unità dell’infinito.

Queste culture, dunque, non ebbero mai bisogno di scindere la morte da dolore, ricchezza da povertà come hanno fatto nelle colture occidentali.”

Tuttavia, gli Spagnoli, spesso mossi da ignoranza, o fanatismo religioso, considerarono queste pratiche, del tutto innocenti, come sacrileghe e blasfeme manifestazioni di una barbara idolatria primitiva.

Nei loro ripetuti tentativi di conversione di massa al cattolicesimo romano i nuovi signori dell’America Latina cercarono, con ogni mezzo, di sopprimere il culto per i morti, anche ricorrendo a quella violenza assassina che lo stesso Evangelo condanna con estrema durezza.

Ma, come accadde anche per altri riti ancestrali dell’ormai scomparso mondo Atzeco, la festa dei defunti non fu mai completamente estirpata dal sentimento religioso di quelle lontane terre d’America

Per rendere il rituale più cristiano e meno traumatico il passaggio alla nuova Fede gli spagnoli indissero la festività dei defunti per il giorno Due di Novembre, così da farlo coincidere con la data che la chiesa ha stabilito per onorare tutti i defunti.

Negli USA e nelle grandi metropoli del Messico la gente devota al culto dei morti alleste piccoli altari nelle loro case, tali are così rudimentali sono dedicate ai defunti delle diverse famiglie.

I fedeli circondano gli altari con ghirlande floreali, succulente vivande e malinconiche fotografie dei propri morti.

Accendono poi candele e le collocano vicino a questi simulacri.

Se qualcuno chiede il motivo di tanto sfarzo macabro la risposta è sempre dei messicani pronta ed arguta: “Onoriamo i nostri cari scomparsi trasformando le nostre case in un piccolo, accogliente tempio.

Tributiamo loro il dovuto rispetto offrendo incenso e boccioli, suoniamo la loro musica preferita e cuciniamo quei piatti prediletti che essi amarono da vivi.”

Nel rito della “Santa Morte” la folla porta con sé una statua della nera signora dal ghigno ossuto, protagonista di ogni nostro più lugubre incubo, per farla benedire dopo la recitazione di un rosario. I fedeli di questo cerimoniale pagano così antico si inginocchiano di fronte alla morte e chiedono protezione.

Il rito è stato più volte condannato dalla chiesa cattolica, ma sembra convivere, nella coscienza popolare, senza troppi problemi con la liturgia ufficiale, in fondo fu San Francesco d’Assisi, e non un eretico, a parlare in termini di “sorella morte”.

Written by:

Carlo Ballotta

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