L'apertura della tomba di Padre Pio

Nel massimo riserbo, la commissione medica ha aperto nella notte, a mezzanotte e trenta, la tomba che accoglie le spoglie di San Pio da Pietrelcina, avviando cosi’ l’operazione di esumazione del corpo, che sara’ esposto ai fedeli il prossimo 24 aprile. Il tutto e’ avvenuto davanti a una commissione composta da medici e religiosi. Presenti ieri sera anche alcuni parenti del Santo.
L’apertura della tomba e’ stata preceduta, il 28 febbraio, dall’insediamento del Tribunale istituito per l’occasione dall’arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, delegato della Santa Sede per il Santuario e le Opere di Padre Pio. Il Tribunale e’ presieduto dallo stesso Presule ed e’ composto da: fra’ Francesco Colacelli, sacerdote cappuccino, con il ruolo di delegato dell’Arcivescovo; don Michele Nasuti, del clero diocesano, con l’incarico di promotore di giustizia, e fra’ Francesco Dileo, come notaio attuario. Con lo stesso documento e’ stata nominata anche la commissione dei periti per l’esumazione e la ricognizione canonica: Orazio Pennelli (medico legale, sovrintendente e direttore dell’area sanitaria della Fondazione “Istituto San Raffaele – G. Giglio” di Cefalu’), Luigi Pacilli (specializzato in Igiene, Medicina preventiva e Statistica sanitaria, direttore sanitario di Casa Sollievo della Sofferenza), Nicola Silvestri (medico legale, direttore sanitario della ASL di Barletta-Andria-Trani), Michele Bisceglia (anatomo patologo di Casa Sollievo della Sofferenza) e Nazzareno Gabrielli (perito del Vicariato di Roma per la conservazione dei santi, biochimico in servizio presso la Santa Sede, che ha gia’ trattato i corpi di numerosi santi e beati, tra cui i papi Giovanni XXIII, Pio IX, Pio X.
Il 28 febbraio scorso l’Arcivescovo ha chiamato cinque testimoni della sepoltura di Padre Pio, avvenuta alle 22,30 del 26 settembre 1968: l’ufficiale sanitario dell’epoca, Giovanni Grifa; i muratori Gennaro Ricciardi e Domenico Perno; gli stagnini Antonio e Matteo De Bonis. A loro mons. D’Ambrosio ha chiesto l’assicurazione di aver trovato il sepolcro nelle stesse condizioni in cui e’ stato lasciato dopo la tumulazione. La loro risposta affermativa e’ stata, poi, confermata con giuramento sul Vangelo. Al termine della serata e’ stato rimosso il blocco monolitico di marmo verde che sovrastava la tomba di Padre Pio, con l’ausilio di quattro “binde” e di sei rulli di teflon. Infine e’ stato tolto il sottostante gradino di marmo rosa, composto da due lastre a forma di “C”, lasciando a vista uno strato di sabbia bianca. Piu’ lunga e’ stata, invece, la liturgia di ieri sera, cominciata alle ore 22,00. All’inizio della Celebrazione dell’Ufficio delle Letture, presieduta da mons. D’Ambrosio, sono stati letti il Rescritto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Decreto dell’Arcivescovo e l’autorizzazione dell’autorita’ civile. Quindi ha preso la parola fra Aldo Broccato per spiegare che l’esumazione e la ricognizione canonica esprimono “in primo luogo i sentimenti di profonda umanita’ che la nostra Provincia nutre da sempre verso questo suo figlio illustre che tanto ha amato la Provincia e tanto ha offerto e sofferto per essa”. “Questo evento – ha proseguito il ministro Provinciale – manifesti sempre piu’ il segno della nostra fede nella comunione dei santi, nella risurrezione della carne e nella vita eterna. Infatti la riesumazione del corpo di san Pio, mentre ci fa guardare da vicino le sue spoglie mortali, pur preziose e care al nostro cuore di uomini, devoti e confratelli, deve spronarci ad alzare lo sguardo verso l’alto, verso la luce della vita di Dio che in Cristo si e’ manifestata nella sua morte e risurrezione”.
”Abbiamo aperto il sepolcro di san Pio che, sapete, e’ sotto un masso dove c’e’ un loculo scavato a circa un metro di profondita’. Abbiamo estratto la prima cassa con tutti i sigilli, io ho verificato i sigilli, li abbiamo rotti e abbiamo aperto la prima cassa, piuttosto arrugginita”. E’ il racconto dell’apertura della tomba di Padre Pio fatto ai fedeli nella notte da mons.Domenico D’Ambrosio, vescovo di Manfredonia e San Giovanni Rotondo e delegato della Santa Sede per le opere di Padre Pio e per il santuario di San Giovanni Rotondo. Accanto a mons.D’Ambrosio, alcuni componenti della commissione medica che ha partecipato alla cerimonia. ”Probabilmente, e ho chiesto anche ai muratori del tempo, l’intonaco – ha detto il vescovo – era molto fresco quando e’ stato messo e quindi ha creato un po’ di umidita’, che ha rovinato un po’ la cassa, dove ci sono il crocifisso e la scritta con i dati anagrafici di san Pio. Della seconda cassa e’ stato poi tagliato lo zinco, con grande maestria e anche con tanta devozione e delicatezza”. ”Il sottoscritto e il ministro generale dei padri cappuccini abbiamo – ha aggiunto mons.D’Ambrosio, con un pizzico di emozione – sollevato il coperchio di zinco e c’era la terza cassa, con la lastra di vetro spessa credo 4-5 millimetri”. E’ la cassa contenente i resti del santo. ”Li’ per li’ – ha spiegato D’Ambrosio – non siamo riusciti a intravedere bene, perche’ si era creata una forma di condensa sul vetro. Man mano abbiamo guardato e poi con la commissione abbiamo portato le spoglie di san Pio nella stanza che e’ stata preparata per la ricognizione”. D’Ambrosio ha illustrato le condizioni dei resti di san Pio, sottolineando tra l’altro che ”i tessuti ci sono tutti” e che ”si vedono tra l’altro i piedi, perche’ sapete che i padri cappuccini vengono sepolti scalzi”. ”Non c’e’ nessun segno delle stimmate – ha spiegato subito – perche’ le stimmate sono scomparse”, chiedendo conferma tecnica ad un medico che aveva partecipato alla ricognizione.

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3 thoughts on “L'apertura della tomba di Padre Pio

  1. Ricordo anche che ha partecipato un agenzia funebre di San Giovanni Rotondo “on. fu. Valerio” oltre agli esperti per l’esumazione di Padre Pio,
    la stessa aggenzia in passato ha provveduto anche per i funerali di Padre Pio.

  2. Il cadavere sigillato in un luogo stagno (cassa ermetica e loculo impermeabile) ha ottime probabilità di esser ancora intatto all’atto dell’estumulazione.

    Invero se il cofano metallico è dotato di valvola depuratrice ai sensi dell’Art. 77 comma 3 DPR 285/90 in sostituzione della cerchiatura con liste di lamiera di cui all’Art. 30 comma 11 DPR 285/90 non abbiamo più una bara completamente stagna, come originariamente prescritto dal legislatore, bensì una cassa a rilascio controllato dei gas in sovrappressione con un filtro di carboni attivi capaci di “lavare” i miasmi, prima che essi siano liberati verso l’esterno.

    Il vero e proprio ambiente a tenuta stagna è, allora, il loculo; il suo lato più debole risulta essere la tamponatura dell’apertura da cui viene introdotta la bara, ecco perchè il legislatore richieda espressamente con l’Art. 76 comma 8 la chiusura con muratura in mattoni pieni a una testa (e non posti di coltello) con relativa intonacatura, questa metodologia può esser sostituita da una lastra di cemento armato o vibrato da assicurare stabilmente alle rimanenti pareti della cella sepolcrale.

    Altissima è l’incidenza degli inconsunti nelle estumulazioni ordinarie che, di norma, si effettuano allo scadere della concessione ai sensi dell’Art. 86 comma 1 DPR 285/90 soprattutto se il loculo era ricavato in un colombario epigeo (quindi sollevato rispetto al piano di campagna) privo di infiltrazioni d’acqua o umidità.

    Il cadavere tumulato solitamente corifica in circa 2 anni, anche per la reazione chimica dello zinco che rilascia, nel tempo, particolari impurità metalliche, spesso sono tracce di arsenico e piombo che passano nel cadavere. L’arsenico si fissa elettivamente nei capelli. Questa osservazione ci permette di leggere sotto una diversa luce il verbale, riportato fedelmente da molti storici e cronisti dell’epoca relativo all’apertura del sepolcro di Napoleone Bonaparte per trasferire la spoglia mortale dell’Imperatore francese dall’isola di S. Elena a Parigi. Napoleone potrebbe anche NON esser stato avvelenato, decendo, così, per morte naturale, poiché l’arsenico rinvenuto in buona quantità nei suoi capelli potrebbe esser dovuto proprio all’effetto conservativo della cassa di piombo in cui il suo cadavere fu sigillato. La corificazione in realtà non è un vero e proprio processo trasformativo, ma bensì più un fenomeno conservativo del cadavere. Essa si riscontra soprattutto per quei corpi riposti in casse zincate e perfettamente isolate con il mondo esterno per effetto del tumulo.

    Si produce, pertanto, un equilibrio tra l’azione dei germi aerobi e gli anaerobi, con blocco del normale processo putrefattivo.

    Il cadavere assume un sembiante simile al cuoio di concia recente (ovvero un marrone chiaro), diverso dal colorito osservabile nella mummificazione. la cute corificata si ritrae e si modella sul cadavere, s’infossa a barca sull’addome e pone in evidenza le salienze dello scheletro. Al di sotto dello strato corificato i muscoli appaiono assottigliati, ma consistenti e le articolazioni sono meno mobili.

    Le interiora preservate dal disfacimento e protette dall’involucro della pelle ancora elastica e morbida sono asciutte, ridotte di volume e di consistenza pastosa, ma la loro struttura è abbastanza integra.

    Paradossalmente la mineralizzazione in tempi lunghi, ma accettabili in passato era garantita dal cattivo confezionamento dei feretri che, scoppiando, permettevano, anche si in misura fortemente rallentata, lo scambio delle sostanze gassose con l’ambiente esterno e la percolazione dei liquami tutt’intorno alla bara. Il segno evidente della rottura a carico della cassa metallica, oltre ai cattivi odori, era il formarsi, sulla parete di fondo del loculo, di una chiazza nerastra.

    Più si segue lo spirito della legge (cassa “monoscocca”preferibilmente realizzata partendo da un solonastro di lamiera, piegature e coperchio saldati senza soluzione di continuità, robusta cassa di legno per contenere le spinte dovute all’aumento di pressione…) e maggiore lo stato di conservazione dei cadaveri, con preoccupanti riflessi nel futuro prossimo, quando, intorno al 2010 andranno in scadenza moltissime concessioni.

    Se è già stata programmata l’estumulazione del feretro conviene considerare SERIAMENTE la possibilità di rinvenire un esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo. I famigliari del de cuius, allora, dovrebbero già decidere la destinazione della spoglia estumulata anche in relazione al regolamento comunale di polizia mortuaria ed all’ordinanza sindacale che disciplina le operazioni cimiteriali ex Art. 82 comma 4 e seguenti DPR 285/90

    L’inconsunto può alternativamente esser:

    *
    Ritumulato ai sensi della Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n.10 (è di rigore l’avvolgimento solo se il resto mortale presenta parti molli con il conseguente rischio di percolazioni)
    *
    Cremato ai sensi dell’Art. 3 DPR 15 luglio 2003 n. 254 e della risoluzione esplicativa n. 400.VIII/9Q/3886 del 30.10.2003 (è, prevista la procedura più snella perchè sono già passati i 20 anni dalla sepoltura e non occorre applicare i commi 4 e 5 dell’Art. 79 DPR 285/90)
    *
    Inumato in campo indecomposti ai sensi dell’Art. 86 comma 2 DPR 285/90 (non è necessaria la cassa di legno, basta anche un semplice contenitore di cellulosa, cartone, plastica biodegradabile ai sensi del paragrafo 2 Circ.Min. 31 luglio 1998 n.10 poi richiamato anche dalla Risoluzione del Ministero della Salute n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23.03.200. Si può impiegare anche la cassa originaria, con l’avvertenza, però, di rimuovere lo zinco, così da favorire la naturale decomposizione della materia organica.

    Soprattutto in passato molte AA.SS.LL cui, secondo il dettato del DPR 285/90, compete pur sempre la vigilanza sulle estumulazioni ex Art. 86 comma 5 DPR 285/90, rifiutavano la cosiddetta “verifica del feretro” finalizzata all’apertura della bara per tentare la riduzione delle ossa in cassetta ossario ed ai sensi dell’Art. 86 comma 2 DPR 285/90 per ogni estumulazione non andata a buon fine imponevano un turno di rotazione di almeno 5 anni (o due se si addiziona il resto mortale con enzimi biodegradanti, secondo il paragrafo 2 della Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10) in campo di terra).

    Altra soluzione può essere la ritumulazione con l’obbligo, però, di aggiungere all’interno della bara gli stessi enzimi biodegradanti usati per l’interro dei resti mortali.

    Prima di asportate il coperchio della cassa metallica è opportuno dotarsi di polveri assorbenti per asciugare il resto mortale da eventuali percolazioni residue e di composti enzimatici da nebulizzare per abbattere i cattivi odori.

    Le ossa invece, potranno esser subito raccolte in cassettina di zinco e nuovamente tumulate ex Art. 86 comma 5 DPR 285/90. Di solito sul fondo della cassa, spesse volte corroso a causa dell’acidità del percolato cadaverico, si deposita uno strato di liquame torbido e nerastro conviene, allora, premunirsi con sali o polveri assorbenti per neutralizzarlo prima di manipolare le ossa o il resto mortale.

    Attraverso la corificazione, ovvero la stabilizzazione dei tessuti, la pelle assume il colore del cuoio, fissando i tratti somatici della persona che è deceduta, ma tutto dipende dalla presenza o meno, e dalle quantità di ossigeno in circolazione. Quando il corpo viene protetto con tre casse, come accade, ad esempio, per i pontefici, l’ossigeno non entra e non esce e quello che c’è si consuma in poco tempo. Se poi sono stati usati materiali come piombo e zinco, che per conto loro captano ossigeno, la trasformazione del cadavere rallenta in maniera molto sensibile.

    Nelle cripte, la continua presenza di candele accese è un mezzo molto efficace di conservazione perché assorbono l’ossigeno. E non è un caso che, quando i corpi venivano esposti, diventavano neri. È semplice:s’impregnavano subito con il nero del fumo.

  3. Bisogna sfatare un mito anche piuttosto paganeggiante: i corpi dei Santi non sempre sono preservati dalla putredine non tanto per forza dello Spirito Santo, quanto per gli effetti della formalina con cui vengono trattati per resistere a giorni e giorni durante l’esposizione per la veglia funebre. Il tragico monito biblico “[…] et in pulvem reverteris” non ammette deroghe, soprattutto se di natura chimica.

    Parificare Domine Iddio e la Sua azione salvifica… all’aldeide formica si configura come una… bestemmia!

    Di papa Giovanni XXIII (soprannominato il Papa Buono) le foto della esumazione ci sono, ne ho potuto visionare (come favore personale di un amico) solo una e ho capito (credo, ma posso sbagliarmi) il perchè non le hanno fatte circolare.
    Forse non volevano si vedesse il contrasto fra la ricomposizione (spesso strato di cera sul viso e le mani… praticamente una pesante maschera… non scendo in particolari) e lo stato effettivo all’esumazione. Che comunque -ripeto, ho visto una sola foto- non era neppure delle peggiori. Le masse muscolari avevano resistito abbastanza bene. Il problema grosso era che il corpo aveva subito danni nella parte posteriore: probabilmente si erano generati alcuni lenti processi decompositivi a causa di liquidi (liquame) depositatosi nelle parti declivi del corpo e sul fondo della bara metallica, creando muffe varie e altri fenomeni e all’annerimento quasi fuliginoso di epidermidi e paramenti. Insomma lo hanno dovuto ripulire e trattare non poco.

    Padre Pio è stato tumulato entro triplice cassa (di cui una con coperchio, ancorchè sigillato, di vetro assolutamente vietata dalla legislazione italiana, certo la tumulazione è avvenuta su suolo sacro dove, come ricorderebbe il Dr. Sereno Scolaro non valgono le norme di polizia mortuaria italiane

    La spoglia mortale di San padre Pio da Pietralcina senza dubbio si è corificata, e presenta dei danni dovuti alla corrosione dei liquidi post mortali ammassatisi sulla base della cassa, secondo la relazione medico legale riportata dal quotidiano on line http://www.corriere.it il cranio presenta evidenti segni di scheletrizzazione, mentre le parti del viso (barba compresa) hanno mantenuto una certa aderenza con la fisionomia di un tempo.

    Sulla ruggine della parti metalliche rinvenuta sulla prima cassa ho una mia teoria, per la quale rimando alla relazione ad opera Professori Risolo e Bassi pubblicata sul numero di marzo 2006 da l’Informatore-Feniof, senza dimenticare una pubblicazione “must” per i cultori della polizia mortuaria dal titolo. “Cause e soluzioni alla corrosione precoce delle casse di zinco tumulate”, a cura di “Bassi B., Risolo V.”

    Insomma, perchè parificare un Santo nelle sue specie mortali ad un normale cadavere estumulato?

    Per esperienza (e grande emozione) ho assistito e partecipato alla traslazione delle Sante Ossa di Un Martire Cristiano (Sant’Alessandro di Centocelle, presso il Sacro MOnastero di San Sarino di Sarov a Pistoia), toccando di persona i resti ossei. Ho pure baciato il teschio…e me ne vanto, perchè la polizia mortuaria con il suo portato di tragedia e dolore non è mai insulsa pornografia.

    Poi a cerimonia conclusa sono stato colto da una tragica crisi esistenziale a sfondo religioso: dinnanzi a tanto simulacro di morte, tra ossa fratturate e spezzate dalla brutalità dei carnefici romani, forse come ebbe a dire Giovanni Paolo II Nostro Signore, disgustato dalle nefandezze di questo mondo si è rinchiuso sdegnosamente nel Suo cielo!

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