In ogni caso, anche in mancanza di una chiara asserzione di volontà, il cadavere, seppure res nullius, ma mai res derelicta in quanto ogni cadavere è pur sempre titolare di un insopprimibile jus sepulchri ex art. 50 D.P.R. 285/1990 (ma, generalmente, ope legis, in campo comune di terra e non, di default, in sepolcro privato oggetto di concessione amministrativa!) conserva, in quanto tale, i diritti collegati ad un trattamento conforme alla pietà dei defunti ed al rispetto della dignità umana.
La locuzione latina “res nullius” è qui utilizzata senza alcuna connotazione di valore spregiativo, ma semplicemente come presa d’atto che, con la morte fisica viene meno la titolarità non solo attiva, ma anche passiva, per essere soggetto intestatario di diritti.
Va rimarcato come il cadavere non sia di per sé privo di qualsiasi diritto in senso totale, in quanto mantiene il diritto passivo ad essere sepolto, non fosse altro per imprescindibili ragioni igienico-sanitarie!
I diritti del post mortem non a caso sono garantiti penalmente (artt. 407-413 Cod. Penale), non potendo essere oggetto di difesa in sede civile, in quanto questa presupporrebbe una qualche capacità giuridica.
Secondo un altro filone ermeneutico della dottrina l’Ordinamento, in invero, ammetterebbe unicamente tutela penale al sentimento di pietà verso i defunti serbato nella memoria dei vivi, i morti, dunque, formerebbero solo oggetto di diritti in termini di affetti struggenti e pietas.
Era proprio questo status di res nullius, che acquisirebbe il corpo del deceduto, a plasmare il modello funerario italiano (dall’Editto di Saint Cloud in avanti) ricavabile dal complesso delle norme con cui il Legislatore demanda al Comune, quale espressione della collettività, e cellula prima della polizia mortuaria, il compito di provvedere al trasporto (art. 16 D.P.R. 285/1990) ed alla sepoltura del cadavere in appositi reparti ad inumazione predisposti all’interno dei cimiteri ex artt. 337 R.D. 1265/1934 e 49 D.P.R. 285/1990.
Questa architettura risulta, ora, abbastanza implicita, dal punto di vista del diritto positivo (artt. 337 e 340 T.U.LL.SS, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 ed artt. 12, 13, 14, 15, 16, comma 1, lettera b)), artt. 19, comma 1 (ma, per certi versi, anche comma 2), 49, 50, 51, 52, 58, 64, 67, 68, 69, 70 e seguenti D.P.R. 285/1990, anche se potrebbero essere citate, specie “in negativo”, molte altri disposizioni), mentre ciò riusciva indiscutibilmente evidente e perspicuo in vigenza del testi unici della legge comunale e provinciale, specie nelle parti in cui si enumeravano le spese obbligatorie per i comuni.
Un tempo, infatti, vigenti i vecchi Testi Unici Leggi Provinciali e Comunali, varati nel periodo di governo fascista, o all’alba del Regno d’Italia (art. 1, comma 1, punto 8 R.D. del 15 ottobre 1925, n. 2578 ora abrogato con l’art. 35, lett. g) L. 28 dicembre 2001, n. 448) e la stessa provvista dei feretri, oltre all’ovvia realizzazione e manutenzione dei cimiteri (art. 824, comma 2 Cod. Civile, art. 51, comma 1 D.P.R. 285/1990, art. 91 lett. f) punti 11 e 14 T.U.L.P.C. approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383 Capitolo IV R.D. 2322/1865 e, soprattutto Allegato c L. 2248/1865) il servizio cimiteriale, compresa la cura dei sepolcreti, era a carico della fiscalità generale, come confermato dal più recente art. 12, comma 4 L. di conversione n. 440/1987, con cui si ribadiva la gratuità dell’inumazione e della cremazione, quali servizi pubblici locali (la tumulazione, invece, come destinazione privata e dedicata per le spoglie mortali è sempre a titolo oneroso per il richiedente, poiché si basa su un atto concessorio).
L’insieme dell’Ordinamento Giuridico, nel settore funerario, era, ed è tuttora, improntato alla logica per cui alla sepoltura dei cadaveri, in quanto res nullius, debba procedere d’ufficio la comunità locale, nella persona del Comune.
Non viene, però, escluso aprioristicamente che i familiari, ma anche soggetti terzi per liberalità, possano, motu proprio, cioè su impulso di parte, provvedere ad assicurare una funzione sostanzialmente pubblica, sebbene per inerzia, nel senso di gravare sul bilancio del comune.
Tale prerogativa risponde ad un corretto rispetto degli affetti di quanti stiano in prossimità del cadavere, perché legati da vincoli di famiglia o di affetto o di altro genere alla persona scomparsa.
Di fatto, questa opzione risultava, agli effetti concreti, già negli scorsi decenni, così praticata e diffusa da far crescere, anche nel dibattito pubblico, la convinzione che giuridicamente spettasse a familiari interessarsi della sepoltura, mentre contemporaneamente, l’incombente per il comune sarebbe venuto a scaturire in via residuale, quando non vi fossero state persone di sorta a pensarvi spontaneamente entro un congruo periodo di tempo (Così Sereno Scolaro, su I Servizi Demografici n. 12/2000, giusto qualche tempo prima dell’emanazione dell’art. 1, comma 7-bis L. 28 febbraio 2001, n. 26 sui cui esiti … si veda infra!).
Infatti, il naturale percorso di sepoltura è giuridicamente impostato con alcuni meccanismi automatici, ad esempio quello della sepoltura nel comune di decesso, ad inumazione: essi traggono la propria gratuità (ma non significa che tutti questi interventi siano privi di costi!) proprio dalla titolarità dell’onere in capo alla comunità locale.
E non a caso si prevede l’onerosità generalizzata per i servizi, in senso ampio, che eccedano questa ragione di minima garanzia, come nel caso dei trasporti a pagamento, delle sepolture private, oggi ampiamente maggioritarie.
La questione del soggetto titolare di una potestà di disporre del cadavere, ossia di prediligere una sepoltura invece di un’altra, o di richiedere certe prestazioni integrative, si pone nel caso in cui vi sia, a monte, quell’assunzione di onerosità da parte di persone diverse dal soggetto obbligato, cioè una volta che sia stato superato l’assolvimento del dovere istituzionale della sepoltura del cadavere, in campo comune di terra.
Il cadavere è, quindi, res nullius, ma anche oggetto di salvaguardia penale sotto il profilo della pietà dei defunti, potrebbe, però, anche essere oggetto di una qualche utilità per terzi viventi (mors gaudet succurrere vitae?): si pensi al caso della donazione di organi, dove si pongono interrogativi abbastanza analoghi sulla loro utilizzabilità, se idonei al trapianto, sulla disponibilità degli stessi, o sulla potestà di alcuni soggetti, famigliari, di disporre di parti di cadavere a fine terapeutico, tutte argomenti controversi affrontati dalla legislazione speciale in materia (da ultimo, la L. 1° aprile 1999, n. 99) con soluzioni compromissorie che non hanno sempre visto elevati livelli di unanimità in fase di stesura delle norme, si tratta, infatti, di aspetti eticamente sensibili, perché coinvolgono la coscienza del singolo.
Questa mancanza di un pensiero forte ed unificante (fortunatamente, altrimenti saremmo dinanzi ad uno strisciante totalitarismo mortuario!) è la spia che evidenzia come nella galassia nebulosa del post mortem non si annoverino esclusivamente asettici e freddi contenuti giuridici o amministrativi, bensì prospettive culturali, di tradizione, connesse ai riti, alla molteplici filosofie esistenzialistiche, spesso anche a visioni del vivere e del morire variamente articolate e comunque suscettibili del massimo rispetto, soprattutto quando coinvolgano la sfera degli affetti e del dolore personale.
In realtà questa condizione impropria di res nullius (o se si preferisce di “esternalità negativa” a carico della società ed in altri termini – più brutali ed economici – dell’erario comunale), secondo alcuni giuristi (cfr. Sereno Scolaro) sarebbe decaduta con l’avvento dell’art. 1, comma 7-bis L. 28 febbraio 2001, n. 26.
La prefata norma stravolge radicalmente questo schema concettuale testé delineato e così, paradossalmente è il familiare, e non più la collettività, a riappropriarsi dello jus inferendi mortum in sepulchrum inteso come profondo ed interiore atto di disposizione sulla salma del de cuius, ossia come vincolo non solo morale, bensì legale a procurare una decorosa sepoltura per un corpo umano esanime, il quale cessa, così, di essere res nullius per divenire oggetto di lutto individuale, secondo quella “corrispondenza d’amorosi sensi” di foscoliana memoria.