Nota dell’autore: per gli argomenti trattati e le immagini proposte questo testo è sconsigliato a persone particolarmente suggestionabili o impressionabili.
L’ordinamento italiano (DPR 10 settembre 1990 n. 285), oltre ai più tradizionali (almeno nella realtà europea) metodi dell’interramento e dell’incenerizione, contempla una terza possibile destinazione per i cadaveri, ormai largamente maggioritaria nel nostro paese: la tumulazione; di essa si può reperire induttivamente una fonte primaria del diritto, ossia nell’Art. 340 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265, da tale formulazione si evince come la tumulazione sempre si configuri come una sepoltura privata e dedicata.
Questo sistema consiste nel deporre le salme entro nicchie o celle murarie, in luogo delle comuni fosse e richiede una procedura quanto mai complessa ed articolata.
In effetti, il potenziale pericolo di contagio, che deriverebbe dalla diffusione all’esterno della tomba di materiale putrefattivo ed umori organici, impone il più scrupoloso rispetto delle disposizioni legislative in tema d’igiene pubblica.
Dopo il boom economico degli anni sessanta la tumulazione, però, è divenuta un fenomeno di massa ed ha fortemente contribuito alla selvaggia espansione delle aree cimiteriali, con notevoli problemi di logistica e gestione degli spazi, perché consente la conservazione delle spoglie per lunghissimi periodi ed è nata, tra la fine dell’ottocento ed i primi anni del XX secolo, in corrispondenza alla concessione perpetua delle tombe nei sepolcreti monumentali (Prof.Ivan. Melis).
Il decreto presidenziale n. 285 del 10 settembre 1990, con cui era regolamentata, in modo quasi esaustivo, l’intera attività necroscopica funebre e cimiteriale, prima dell’avvento delle Leggi Regionali, in seguito alla riforma del Titolo V Costituzione, riserva ampio spazio di trattazione per tale pratica, sempre più diffusa anche tra le classi sociali meno abbienti.
Il combinato disposto tra l’art.30 e gli articoli, compresi nel quindicesimo capo del testo, contiene le norme in materia di sepoltura nei loculi, integrate poi dai paragrafi 9.2 (indicazioni su caratteristiche costruttive per le bare. cautele per i trasporti funebri oltre una certa distanza. valvole o altri dispositivi per fissare o neutralizzare i gas di putrefazione) e 13 (revisione dei criteri costruttivi per i manufatti a sistema di tumulazione) Circolare ministeriale 24 giugno 1993 n. 24 Il DPR 285/90, infatti, per l’estrema delicatezza dell’argomento, esamina la questione sotto diversi profili. I regolamenti attuativi dei comuni, di conseguenza, devono obbligatoriamente conformarsi a questi indirizzi generali, anche perché essi sono pur sempre soggetti ad omologazione ex Art. 345 Regio Decreto 27 Luglio 1934 n. 1265, laddove apposita legge regionale di specifichi diversamente trasferendo tale competenza all’assessorato della Sanità. Sono quindi due le sezioni del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria dedicate alla tumulazione: nella prima sono elencate le caratteristiche che il feretro idoneo debba necessariamente presentare. Queste proprietà sono analoghe ai requisiti di cui la bara deve essere dotata, nell’evenienza di trasferimento fuori dei confini nazionali o dall’Estero verso l’Italia, ovviamente per i trasporti internazionali disciplinati, invece, dalla Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937) si seguiranno le regole dettate dalla Convenzione stessa.
Il DPR 285/90, allora, con l’Articolo 30, centrale e trasversale in tutta la sua architettura normativa, fissa precisi criteri costruttivi in merito alle bare predisposte per:
1) Tumulazione in loculo stagno (Art. 76 e seguenti DPO 285/1990
2) Traduzione di cadaveri da e verso l’Estero (eccetto i casi previsti dalla convenzione di Berlino 10 febbraio 1937)
3) Trasferimenti da comune a comune ed oltre i 100 Km
4) Trasporto e sepoltura di infetti (Artt. 18 e 25 DPR 285/90) a prescindere da come saranno sepolti (inumati, tumulati o cremati)
ovvero per tutti quei feretri confezionali con doppia cassa lignea e metallica, cui si debbono aggiungere particolari dispositivi meccanici, quali reggette, valvola depuratrice a depressione, e chimico-fisici, come strato di torba, segatura o polvere assorbente biodegradabile, da sistemare nell’intercapedine, tra cassa di legno e vasca zincata, per il contenimento di eventuali percolazioni cadaveriche gassose o liquide.
Per tale ragione esso, grazie alla sua poliedricità si applica ecletticamente a più fattispecie prese in esame dal DPR 285/1990.
La seconda parte, invece, tratta delle modalità con cui debbono essere costruiti e tamponati i colombari, così da riuscire impermeabili a gas e liquidi cadaverici.
Il regolamento, ai sensi dell’art.30 di cui sopra, stabilisce in modo inderogabile che il cofano funebre, ove saranno racchiuse le spoglie, debba comporsi di due elementi distinti e sovrapposti. La legge, dunque, prescrive una duplice cassa formata da una normale bara di legno ed una controcassa in metallo inossidabile (zinco o piombo). La vasca zincata, munita di coperchio, sia quando accolga il cofano ligneo o che sia inclusa in quest’ultimo, al momento della chiusura viene in ogni caso sigillata ermeticamente mediante saldatura a fuoco o altro metodo equivalente, (Paragrafo 9.1 Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24) tale da assicurarne, comunque, l’ermeticità.
Invero se il cofano metallico è dotato di valvola depuratrice ai sensi dell’Art. 77 comma 3 DPR 285/90 in sostituzione della cerchiatura con liste di lamiera. di cui all’Art. 30 comma 11 DPR 285/90. non abbiamo più una bara completamente stagna, come originariamente prescritto dal legislatore, bensì una cassa a rilascio controllato dei gas in sovrappressione con un filtro di carboni attivi capaci di “lavare” i miasmi, prima che essi siano liberati verso l’esterno.
Queste valvole sono tarate sul valore di 0,03 atmosfere, ma alcuni studiosi, per maggior sicurezze consiglierebbero di abbassare tale valore a 0,01 atmosfere. Se i gas, infatti, per accumulo raggiungono le 2,5 atmosfere lo scoppio del feretro diviene pressoché inevitabile.
Il vero e proprio ambiente a tenuta stagna è, allora, il loculo; il suo lato più debole risulta essere la tamponatura dell’apertura da cui viene introdotta la bara, ecco perché il legislatore richieda espressamente con l’Art. 76 comma 8 la chiusura con muratura in mattoni pieni a una testa (e non posti di coltello) con relativa intonacatura, questa metodologia può esser sostituita da una lastra di cemento armato o vibrato da assicurare stabilmente alle rimanenti pareti della cella sepolcrale. (si veda l’ l’Articolo di Giorgiò Disarò, “progettare e costruire loculi di qualità, pubblicato su Nuova Antigone, anno 10 n. 1 gennaio/marzo 1998 pagg. 41 e segg. )
In teoria l’Art. 31 (impiego di materiali alternativi allo zinco) così come richiamato dall’Art. 77 legittimerebbe anche per i cofani da tumulazione l’uso di casse parimenti stagne, ma non per forza metalliche (fermo restando l’obbligo della cassa lignea). L’industria funeraria, però, non ha mai seriamente esplorato questa avveniristica possibilità, studiando prodotti di minor impatto ambientale (lo zinco è un rifiuto difficile cimiteriale da trattare e smaltire ed anche il suo recupero ex Art. 12 comma 4 DPR 15 luglio 2003 n. 254 risulta particolarmente critico ed oneroso).
Nell’intercapedine tra i due contenitori è poi collocato uno strato di torba, segatura o altro composto atto ad assorbire eventuali percolazioni.
Anche una formulazione così cogente del comando legislativo lascia, però, spazio ad alcune interpretazioni tra loro contrastanti.
L’ordine con cui debbano essere disposte le due casse non è esplicitamente indicato ed è, di fatto, rimesso alla discrezione dell’impresa funebre (paragrafo 3 Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24). Il legislatore non ha volutamente specificato se il cofano in lamiera debba sempre essere interno, come, invece, parrebbe, esaminando la consuetudine invalsa tra gli operatori de settore funerario, anzi con il paragrafo 9.1 del Circ.Min. 24/1993 si sono dichiarato illegittime tutte quelle disposizioni volte ad imporre la cassa di zinco fuori di quella lignea. Nell’esperienza italiana, di solito solo nelle azioni di risanamento di un loculo o nelle traslazioni si ricorre ad una cassa metallica esterna con cui effettuare il rifascio del feretro (art. 88 comma 2 DPR 28571990 e paragrafo 3 Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10). L’avvolgimento di un feretro danneggiato da un improvviso scoppio consiste, appunto, nel deporre il cofano originario, che non assicura più un’efficace tenuta stagna, entro un nuovo involucro di zinco o piombo. Ragioni d’opportunità ed igiene, infatti, sconsigliano di rimuovere il coperchio del feretro da cui si verifichi la fuoriuscita di liquami per ripristinare la saldatura o trasferire direttamente il cadavere in un diverso contenitore. La scelta di mantenere la vasca in lamiera all’interno della bara risponde soprattutto a motivazioni di carattere estetico ed emotivo.
Il legno può essere elegantemente lavorato con intagli e modanature che impreziosiscono senza dubbio la fattura del sarcofago, mentre, al contrario, un manufatto con le pareti di zinco visibili presenterebbe un aspetto piuttosto anonimo e squallido.
Al di là di valutazioni morali e sociologiche il vero imballo con cui trasportare i cadaveri e seppellirli per le sue intrinseche funzioni di contenimento è propriamente la bara di legno, meglio se abbinata a maniglie davvero “portanti”, la lamiera, invece, risulta più insidiosa e tagliente durante la sua movimentazione.
Il legislatore, però, con il paragrafo 9.1 della Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 legittima ancora entrambe le ipotesi, senza schierarsi con chiarezza per una soluzione precisa. Mostrerebbe infatti, anche se implicitamente, un certo favore per la possibilità secondo cui sia la bara lignea ad esser deposta nella cassa di zinco.
Il passaggio logico-deduttivo è semplice: L’Art. 30 comma 11 stabilisce che il feretro sia sempre cerchiato con nastri di ferro (le cosiddette “reggette” per assicurarne una reale chiusura anche quando la pressione interna aumenti sotto la spinta dei gas putrefattivi.
Quest’operazione, per la verità abbastanza anacronistica, però, è ritenuta superflua quando sia la cassa di zinco, anche non munita di valvola depuratrice, a contenere quella di legno.
Secondo altri studiosi della materia funeraria (Ing. Giorgio Stragliotto, L’Informatore/Feniof n. 1 2001, Pagg. 12 e 13) l’impostazione dell’Art. 75 comma 2 PR 285/1990 e soprattutto di una fonte di diritto internazionale come l’Art. 3 della Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937) lascerebbe, invece, pensare ad una preferenza per il metallo dentro alla cassa di legno (altrimenti perché richiedere la temporanea rimozione del coperchio di legno prima di tagliare la lamiera?).
I fenomeni percolativi (1), con la seguente perdita di sostanze liquide o aeriformi dal disgustoso odore, sono dovuti principalmente al cedimento della saldatura sul coperchio di zinco o sul fondo della cassa stessa o sui lati, a causa delle sollecitazioni meccaniche che l’elevata pressione dei miasmi comporta, assieme all’acidità del liquami (2)
La costruzione della cassa zincata in un pezzo unico secondo lo spirito della legge, ribadito anche dal paragrafo 16 della Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24 così da evitare saldature negli angoli e sui lati delle pareti, nonché il rigoroso rispetto degli spessori minimi (0,660 mm per lo zinco oppure 1,5 mm per il piombo) rappresenterebbero tuttavia la soluzione migliore, siccome limiterebbero il ricorso allo stagno solo per la chiusura del coperchio.
Una vasca metallica, capace di ospitare al proprio interno l’intero feretro, sarebbe sicuramente di maggiori dimensioni, sempre compatibili, però, con le misure dei colombari, ma difficilmente potrebbe esser realizzata con la tecnica della monoscocca cioè partendo da un unico figlio di lamiera, così da limitarne al massimo giunture e saldature, ossia le zone di contatto più sensibili allo stress meccanico.
Sul fondo, allora, potrebbero essere collocate quantità più consistenti di quei composti enzimatici che neutralizzano i liquami della decomposizione (si veda ad esempio l’allegato tecnico al paragrafo 16 della Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 per le “tumulazioni in deroga”).
Al di là del maggiore apporto d’aria, l’assenza di un diretto contatto tra i tessuti organici e lo zinco potrebbe favorire anche una forse più rapida e sicura mineralizzazione dei corpi.
Si è, infatti, dimostrato (Corrado Cipolla d’Abruzzo, “La mineralizzazione dei cadaveri”) come questo metallo rilasci nel lungo periodo particelle che rallentano o, addirittura, inibiscono le trasformazioni postmortali.
Nell’eventualità di un risanamento, per altro, il personale del cimitero potrebbe intervenire agevolmente sulla lamiera per controllare la stabilità della saldatura, senza venir mai a contatto ravvicinato con il cadavere in avanzato stato di decomposizione.
Intuitivamente è difficile pensare che lo zinco, all’esterno della bara, potesse perdere le sue proprietà chimiche a causa dell’azione degli agenti atmosferici o del tempo.
Questo metallo notoriamente grazie alla sua ossidazione superficiale (della anche stagionatura), è, infatti, massimamente indicato per il contenimento di liquidi con PH molto aggressivo. La doppia cassa, al momento della tumulazione, viene comunque inserita in una cella muraria chiusa ermeticamente, al riparo da piogge, intemperie o rilevanti variazioni di temperatura.
Tante volte, però, come è stato ampiamente dimostrato da studi scientifici (di Dr.ssa B. Bassi e Prof. Vincenzo Risolo, La nuova Antigone n. 5/1997) la corrosione dello zinco, sino alla sua perforazione avviene a causa di passaggi di corrente elettrica che trovano nel piano d’appoggio del loculo (magari in calcestruzzo) un efficace conduttore.
Le corrosioni verificate, dunque, sono di tipo elettrolitico, con conseguente formazione di micropile a concentrazione. Il fenomeno risulta esponenzialmente accentuato per la presenza di liquido organico (quando la corrosione ha interessato l’intero spessore della parete costituente la cassa di zinco) e nel caso di innalzamento della temperatura, come può succedere in estate, poiché esso abbassa ulteriormente il PH all’interno dei loculi. (di Dr.ssa B. Bassi, Prof. Vincenzo Risolo, La Nuova Antigone n. 7/1997). Ad oggi, però, non risultano esistere dalla letteratura tecnica dati certi sulla velocità di logoramento dello zinco esposto ad ambienti quali gas, vapori e liquami di decomposizione cadaverica. L’unica soluzione empirica potrebbe esser il passaggio al laminato 14 (0,74 mm) proprio come accade per le bare predisposte per la tumulazione in deroga ex Art. 106 DPR 285/90 e paragrafo 16 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24. La cassa di zinco interna è di certo più efficiente e sicura, nella sua funzione impermeabilizzante, ci sono situazioni, però, in cui essa diventa motivo di notevoli criticità, quando essa, ad esempio deve esser asportata (se il crematorio non è predisposto per filtrare lo zinco) o neutralizzata ai sensi dell’Art. 75 comma 2 DPR 285/1990 così da facilitare la percolazioni delle acque meteoriche e dei liquidi cadaverici. Almeno per quei particolari tipi di feretri in cui necessariamente si dovrà manomettere l’ermeticità della cassa saldata, però, sarebbe molto meglio introdurre, se non la regola, almeno la prassi della bara zincata che fascia esternamente quella di legno. Così si potrebbe comodamente intervenire senza dover mai entrare a diretto contatto con il cadavere.
Ancora più pratica sarebbe l’adozione di quei dispositivi di plastica biodegradabile ex Art. 31 DPR 285/1990 e D.M 7 febbraio 2007 e 28 giugno 2007) e in sostituzione della lastra metallica.
L’unico problema di difficile risoluzione è rappresentato dal comprensibile disagio dei dolenti di fronte ad un feretro di freddo metallo.
L’avvolgimento della bara nel contenitore ermetico, allora, potrebbe ragionevolmente tenersi in un secondo momento, quando il corteo funebre, terminata la cerimonia delle esequie, sia ormai giunto al camposanto.
I costruttori di cofani si dicono fermamente contrari al rifascio generalizzato, quindi, con zinco esterno per tutti feretri da tumulazione perché:
- La cassa di metallo esterna pesa almeno 8 o 10 KG di più e l’ispessimento, paradossalmente, diminuisce la sua resistenza alla pressione interna. Le violente estroflessioni della lastra possono provocare persino lo scoppio del feretro.
- Una bara più voluminosa faticherebbe ad entrare nella tomba, soprattutto se pensiamo a nicchie di antica costruzione e magari non a norma con l’Art. 76 DPR 285/1990 (mancanza di vestibolo).
- ” L’“handling”, durante le operazioni di trasporto ed inserimento nel loculo, diverrebbe molto più difficile per la mancanza di maniglie o punti d’appoggio.
- ” Non si potrebbero applicare le reggette di cui all’Art. 30 comma 6 DPR 285/1990 senza compromettere con viti o buchi l’ermeticità della cassa stessa.
- Le reggette stesse perderebbero la loro originaria funzione di controspinta per bilanciare la sovrappressione dei gas putrefattivi, perché solo la bara di zinco andrebbe in pressione rigonfiandosi, con notevole deformazione della lamiera, senza trovare il supporto ed il contenimento della robusta bara lignea (un cofano di legno sul fondo può reggere un peso sino a 4000 o 5000 Kg.
Addirittura, soprattutto in passato, quando non si applicava ancora la valvola depuratrice, come si nota dalla foto qui sopra proposta, si sono verificati casi in cui le assi di legno sono state divelte per la violenta sovrappressione dei gas putrefattivi.
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(1) Si veda per maggiori dettagli “Fenomeni percolativi nelle tumulazioni”, L’Informatore-Feniof, n. 11, novembre 2000)
(2)La stessa formalina usata per la siringazione cavitaria di cui all’Art. 32 DPR 10 settembre 1990 risulta particolarmente aggressiva sul nastro metallico.
X Antonio,
il cimitero, come impianto a rilevanza igienico-sanitaria, parificato alle opere di urbanizzazione primaria, appartiene al demanio comunale ex Art. 824 comma 2 Cod. Civile, il comune ne è, quindi, proprietario e, come tale, attraverso il proprio regolamento di polizia mortuaria decide a quale regime siano sottoposte le operazioni cimiteriali, quali appunto la tumulazione. Ora la legge n. 440/1987 parifica inumazione e cremazione, definendo entrambe servizi pubblici locali, ma se osserviamo attentamente non parla della tumulazione, la quale si configura sempre come una sepoltura privata e dedicata (Capo XVIII DPR n. 285/1990). Tutte le tumulazioni, dunque, quali allocazioni diverse dei defunti dal campo comune di terra a sistema di inumazione (di cui ogni municipalità deve pur sempre disporre ex Art. 337 Regio Decreto n. 1265/1934) sono sempre sepolcri privati nei cimiteri.
Molto dipende dal regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale potrebbe permettere anche a soggetti terzi, purchè autorizzati a lavorare entro il sepolcreto, su istanza del concessionario, rispetto al gestore del camposanto, l’esecuzione di murature, smurature e movimentazione dei feretri in occasione di tumulazioni estumulazioni e traslazioni, perchè, ribadisco il concetto, la tumulazione che, quale diritto di sepolcro, sorge da un rapporto concessorio instauratosi tra comune ed il privato cittadino concessionario è, seppur all’interno del recinto cimiteriale, un momento PRIVATO e non istituzionale, come avverrebbe, invece, per inumazione/esumazione e cremazione.
Secondo un’altra “filosofia” normativa, al contrario, tutti i servizi cimiteriali, tumulazione compresa, ai sensi del combinato disposto tra il D.M. 28 maggio 1993, L’Art. 3 comma 1, lettera a) numero 6) del D.LGS n.216/2010 e l’Art. 21, comma 3 Legge 5 maggio 2009, n. 42, quali prestazioni indispensabili per ogni comune spettano esclusivamente al comune stesso che li può erogare nelle forme stabilite dall’Art. 113 D.LGS n. 267/2000. Secondo questa corrente di pensiero (almeno, formalmente) ogni operazione entro il cimitero dovrebbe essere riservata al personale comunale (o del gestore del cimitero, se diverso).
Si e’ detto “almeno, formalmente”, in quanto ben puo’ accadere che il comune disponga sempre del personale necessario, e sufficiente, neppure quando si possa distaccare, pur se temporaneamente, altro personale (es.: personale addetto a manutenzioni o a strade, ecc.), essendovi sembre (maggiori) limiti nelle assunzioni di forza lavoro e simili (oltre che aspetti organizzativi non sempre risolvibili con immediatezza).
In ogni caso, si tratta di aspetti i quali devono essere affrontati dal comune, non sussistendo piu’ di tanto l’ammissibilità che soggetti terzi possano, anche se si siano dotati del DUVRI sostituirsi a funzioni proprie del comune ,improvvisandosi necrofori ed affossatori.
La legge dispone che l’Amministrazione quando concluda contratti debba scegliere il contraente mediante procedimento di gara.
La formazione del contratto a trattativa privata è pertanto consentita solo in presenza delle seguenti condizioni:
1. se la gara è andata deserta;
2. se l’oggetto del contratto presenta peculiarità dal punto di vista tecnico o produttivo tali da non consentire l’interpello di più ditte;
3. se vi sono ragioni d’urgenza tali da non consentire l’indugio degli incanti o della licitazione;
4. in ogni altro caso in cui ricorrono speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possono essere utilmente seguite le forme proprie della gara. Tale principio è estensibile anche alla scelta del gestore del cimitero, se il servizio non è assicurato direttamente dal comune con proprio personale dipendente.
Salve, io vorrei porre un quesito, a chi compete il servizio di tumulazione??? il cimitero in questione è gestito se così si può dire dal comune, spetta alle imprese funebri oppure il comune deve provvedere se mettere impiegati comunali oppure sub appaltare i lavori ad una ditta esterna privata????
Grazie
X Rosario,
Con la formula linguistica di “cimitero gestito da una confraternita” si possono intendere due fattispecie:
1) cimitero particolare o “privato” che di si voglia, di proprietà della stessa confraternita, impiantato antecedentetemente all’entrata in vigore del Testo Unico Leggi Sanitarie ed oggi regolato dall’Art. 104 comma 4 DPR 10 settembre 1990 n. 285. E’un’ipotesi abbastanza rarefatta ma significativa, in questo caso tale cimitero particolare è comunque sottoposto alla vigilanza del comune attraverso anche l’obbligatoria osservanza del regolamento comunale di polizia mortuaria da parte del proprietario. Sono comunque ammessi pure regolamenti interni per disciplinare, in modo residuale, il diritto d’uso sulle sepolture e la relativa ripartizione degli oneri.
2) un cimitero comunque pubblico, comunale (Artt. 337, 343 e 394 Regio Decreto n. 1265/1934) e, quindi, demaniale (Art. 824 comma 2 Cod. Civile), ma condotto ed amministrato, per quanto riguarda l’esecuzione delle operazioni cimiteriali e la tenuta dei registri mortuari di cui agli Artt. 52 e 53 DPR n. 285/1990, da una confraternita.
Nel frangente di sepolcri in concessione ad enti, vi e’, spesso, un duplice rapporto, l’uno intercorrente tra il comune e l’ente (confraternita od altra denominazione) e l’altro intrattenuto tra l’ente e le persone che appartengono all’ente stesso.
La durata di questo secondo rapporto, e’ regolata dall’ordinamento dell’ente.
Prescinderei anche dall’art. 1 comma 7-bis D.-L. 392/2000 (Legge n. 26/2001), sull’onerosità delle operazioni cimiteriali, siccome un tale principio sussisteva anche prima di tale norma.
Infatti, trattandosi di sepolcri privati, ogni onere non puo’ che essere che a carico dei familiari, non potendosi avere che tale tipologia di sepoltura comporti oneri a carico del bilancio comunale. In nessuna evenienza.
Quindi sono, ed erano a titolo oneroso le estumulazioni, le spese di pulizia e sanificazione del loculo, la sostituzione della lapide (in modo che, dal giorno successivo alla scadenza possa esservi assegnazione a terzi), l’onere dell’inumazione post-estumulazione, l’eventuale cremaziopne, incluse le operazioni di collocamento nell’ossario comunale, quando possano eseguirsi.
L’onere grava sul concessionario per le prime, mentre per le seconde sul coniuge o, se manchi, sui parenti nel grado piu’ prossimo e, in caso di pluralità, tutti solidalmente.
Gli affini sono … estranei (a questi fini), salvo non intendano, spontaneamente, compiere atti di liberalita’.
Se il gestore è esterno occorre verificare l’atto di affidamento e il connesso contratto di servizio al fine di verificare se questi oneri (che, poi, sono spese) debbano/possano essere riscossi direttamente dal gestore, oppure se debbano essere introitati dal comune e poi, trasferiti, nella misura prevista dagli atti contrattuali, al gestore. Se si tratti di un appalto, nel senso proprio del termine, il soggetto gestore (si presume per l’esecuzione delle sole operazioni) opera per conto del comune e dovrebbe essere il comune a pagare i corrispettivi delle singole operazioni, nei ternini contrattuali (avendo “coperto” tali corrispettivi con le somma gia’ introitate con le relative tariffe, stabilite in misura non inferiore a quanto risulti dall’applicazione dei criteri dell’art. 117 TUEL, inclusa la sua lett. d).
chi paga le spese di tumulazione o estumulazione in un manufatto all’interno di un cimitero comunale gestito da una confraternita?
X Franco,
la situazione da Lei rappresentata è sì patologica, tuttavia del tutto possibile ed in qualche modo immaginato dal legislatore, data la frequenza del fenomeno percolativo nelle tumulazioni stagne detto altrimenti “scoppio del feretro”.
La Legge (Art. 76 DPR n. 285/1990) proprio a questo proposito prevede una serie di precauzioni come la tamponatura ermetica del loculo e l’inclinazione del piano d’appoggio dello stesso, su cui è collocata la bara, verso l’interno proprio per trattenere, quanto meno, la fuoriuscita di liquami e miasmi cadaverici in caso di fessurazione della cassa metallica con cui il feretro è confezionato in maniera da riuscire, nel tempo, perfettamente impermeabile. Ora i motivi che originano il cosiddetto fenomeno percolativo sono molteplici e spesso non direttamente imputabili a chi ha fornito e debitamente sigillato il cofano mortuario il giorno del funerale.
I liquidi cadaverici, in ambiente stagno (sino a quando, cioè il nastro metallico della cassa zincata non si rompa) ristagnano anche per decenni nel fondo della bara, ecco perchè, anche a distanza di anni, possa verificarsi una fuoriuscita degli stessi.
Gli oneri per l’estumulazione straordinaria e, se vogliamo, di emergenza
1) rifascio del feretro ex Art. 88 DPR n. 285/1990 con relativo ripristino delle condizioni di impermeabilità.
2) sanificazione del loculo e suo lavaggio con apposita sostanza disinfettante
sono stabiliti, di solito con l’ordinanza sindacale con cui ex Artt. 82 comma 4 ed 86 comma 1 DPR n. 285/1990 si disciplinano le operazioni cimiteriali ed usualmente sono individuati in capo al concessionario della sepoltura privata.
La procedura da Lei delineata, per quanto spiacevole, mi pare legittima e corretta, tuttavia in alcune realtà locali è il comune, quando e se proprietario del loculo dato in concessione, ad accollarsi le spese per la manutenzione straordinaria, lasciando al concessionario solo quelle per l’avvolgimento del feretro lesionato in un nuovo cassone di zinco da collocarsi esternamente.
I costi sostenuti per murature, smurature e rimozione dell’eventuale lapide sono sempre a carico del concessionario, il quale ex Art. 63 comma 1 DPR n. 285/1990 deve, per tutta la durata della concessione, garantire il buono stato ed aggiungo io, l’igienicità della sepoltura a sistema di tumulazione.
Mi trovo nella stessa situazione di Alessandra e, nonostante attenta lettura dei commenti, non ho trovato risposta alle sue (e quindi anche mie) domande: è possibile che i liquidi cadaverici fuoriescano dal loculo e il sottoscritto debba accollarsi tutte ma proprio tutte le spese (dalla riapertura/richiusura del loculo al “rifasciamento”) nonostante l’evidente mancata impermeabilità tanto della bara quanto del loculo?
X Alessandra,
La garanzia non è legata alla tenuta della cassa di zinco dentro al loculo, essa, infatti, deve solo assicurare che la lastra metallica sia corrispondente a quanto la legge prevede (Art.30 DPR 285/90) e cioé “Lo spessore di lamiera della cassa metallica non deve essere inferiore a 0,660 mm se di zinco, a 1,5 mm se di piombo.”, diviene per altro molto difficile imputare eventuali responsabilità all’impresa funebre che materialmente curò il servizio delle esequie, senza un’ispezione sul feretro (ed essa, quasi mai avviene!)
I prodotti sono garantiti da vizi di costruzione o difetti di materiale riscontrati entro i ventiquattro mesi dalla data di consegna al consumatore (non tra fabbricane e impresa funebre, che ha ordinariamente la garanzia stabilita nel contrato di acquisto, oppure 12 mesi se non previsto all’acquisto).
In base al nuovo articolo 1519-ter del codice civile, il fornitore finale ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi a quanto previsto dal contratto di vendita.
Il legislatore precisa che i beni devono essere conformi alla descrizione fatta e possedere le qualità del bene eventualmente presentato come campione o modello.
I beni, in ogni caso, devono presentare le qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi tenuto conto della natura del bene e delle dichiarazioni fatte da produttore o fornitore in pubblicità o sulle etichette. Qualora il consumatore scelga il bene per soddisfare un uso “particolare” e porti a conoscenza del fornitore tale volontà di utilizzo, il bene dovrà soddisfare detto uso “particolare” salvo che il fornitore non dimostri di non aver mai accettato la destinazione d’uso “particolare” richiesta dal consumatore.
Si veda per maggiori informazioni: sito GdF
Difatti sono troppe le variabili in gioco che incidono sulla possibile rottura dello zinco:
ad esempio e senza la pretesa di esser esaustivi:
l’esposizione del loculo e l’alternanza di caldo e freddo,
la temperatura esterna massima che ha un effetto dilatatore e potenzialmente dirompente,
i medicinali con cui è stato trattato il defunto,
l’eventuale trattamento antiputrefattivo a base di formalina
la tipologia della morte (ad es. gli annegati hanno una produzione copiosa di liquidi cadaverici),
la non corrispondenza dello spessore minimo (stabilito dala legge) della cassa d zinco,
un confezionamento della bara non regolare (ad es. a vite o il chiodo con cui si monta un piedino della bara può essere tropo lungo e “passare” lo spessore del legno,
la tipologia del legno (ad es. i castagno ha una forte componente di tannini che favoriscono la passivazione dello zinco), il tempo intercorso (lo zinco passiva naturalmente),
la consumazione dello zinco per effetto della “pila elettrostatica” che si crea tra armatura in ferro del loculo e lo zinco stesso, in presenza di ambienti umidi, ecc.
l’ambiente fortemente acido che si crea all’interno del feretro per la presenza dei liquidi cadaverici
Si aggiunge che una fessurazione dello zinco può essere stata determinata da una saldatura del coperchio non conforme alla legge (essa, in effetti deve esser continua ed estesa su tutta la superficie di contatto tra il coperchio ed il labbro perimetrale della cassa), o ancora per un accatastamento in magazzino non corretto.
Di tute queste cose è ben consapevole il legislatore che all’art. 76 del DPR 285/90 ha previsto:
“I piani di appoggio dei feretri devono essere inclinati verso l’interno in modo da evitare l’eventuale fuoriuscita di liquido”.
Il feretro non deve per forza esser riaperto, quasi mai si giunge a questa extrema ratio, basterà, da parte di chi sovrintende alle operazioni cimiteriali disporre l’estumulazione straordinaria con conseguente “rifascio”, detto altrimenti avvolgimento ex Art. 88 DPR n. 285/1990 ciè estrarre dal loculo la bara lesionata e deporla entro un nuovo cassone esterno di zinco che verrà poi a sua volta saldato. Gli oneri di questa sistemazione d’emergenza (ribadisco il concetto: la situazione rappresentata è del tutto patologica ed insalubre e non è proprio possibile continuare così o, peggio ancora, far finta di niente) sono a carico del concessionario, mentre la sanificazione del sepolcro spetta al concessionario stesso se è questi ad aver realizzato a proprie spese il saccello sepolcrale su terreno cimiteriale, ossia demaniale ex Art. 824 comma 2 Cod. Civile, dato in concessione, altrimenti se il manufatto è stato costruito dal comune le spese di questa manutenzione imprevista spettano a quest’ultimo.
Salve, io e la mia famiglia ci troviamo in una spiacevole situazione:dalla bara di mio nonno,morto 14 anno fa, fuoriesce un cattivo odore e del liquido. Da profana ho cercato di leggere diversi articoli sull’argomento ma ad una domanda no riesco a rispondere: chi deve pagare per sistemare la situazione?
Ho letto che la garanzia dura un anno( se non sbaglio) ma come faccio a capire se è solo un problema di ossidazione oppure che non ci siano state delle negligenze da parte dell’agezia o dal fornitore (cassa non a norma, saldatura sbagliata, chiodi troppo lunghi ecc..).
Mi sembra assurdo che dopo cosi tanto tempo bisogna trovarsi nella situazione a dir poco sconvolgente di dover riaprire la bara, considerando anche le implicazioni psicologiche di tale avvenimento….
grazie.
Senza accogliere la provocazione (siamo tutti del beccamorti ignoranti) o polemizzare sul niente è opportuna una precisazione, affinchè non passino messaggi sbagliati, tendenziosi o smaccatamente autoassolutori, soprattutto perchè questo sito è assiduamente visitato anche da comuni cittadini avulsi dalla vulgata necroforese.
Il Legislatore che, fortuna sua, ignorante non è con il DPR n.285/1990 stabilisce: a) le caratteristiche dei loculi (art. 76 commi 6, 7, 8 e 9); b) l’onere per la conservazione dei manufatti (art. 63/1); c) le caratteristiche dei feretri all’atto della tumulazione (art. 77); d) il tipo di sistemazione del feretro (perfetta tenuta) quando si provvede ad un suo trasferimento in altra sede (art. 88). Secondo la legge la circostanza della mancata tenuta del loculo non è prevista, quando invece è notorio che il cosiddetto “scoppio di bara” avviene in periodi estivi caratterizzati da alte temperature o forti escursioni termiche, con possibili fuoriuscite di miasmi e/o liquidi. Il DPR 285/90 richiede infatti che l’impermeabilità ai liquidi ed ai gas debba essere mantenuta nel tempo.
La tumulazione stagna è garantita su due livelli:
1) ermeticità della cassa tramite saldatura
2) impermeabilità del tumulo su tutti i lati del parallelepipedo tramite tamponatura con mattoni, intonaco o lastra di cemento vibrato.
Ribadisco il concetto a costo di risultare inutilmente perfezionista: la fuoriuscita di composti aeriformi dallo sgradevole olezzo non è normale, anzi è patologica.
La valvola depuratrice si chiama così proprio perchè deve “lavare”, filtrare, grazie ad uno strato di carboni attivi al proprio interno, e neutralizzare l’olezzo della putrefazione, anche per evitare la fessurazione della lamiera.
Tutti i Decreti MInisteriali che autorizzano produzione e commercializzazione della valvola depuratrice replicano il seguente contenuto:
a) l’impiego della valvola è facoltativo e sostitutivo delle reggette (paragrafo 9.2 Circ. MIn. n.24/1993). Per converso si pensi al confezionamento dei feretri rispondenti alle prescrizioni tecniche della Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937), la quale non contempla la valvola ed obbliga, così, alla cerchiatura della bara con listelle metalliche.
b) la valvola non si applica in caso di infetti
E’inutile ostinarsi a dire, tutto normale, tutto OK, magari per non dover sostenere a proprie spese il cosidetto “rifascio” ex Art. 88 DPR n.285/1990.
La cassa da tumulazione è concepita per non rilasciare all’esterno nè gas fetidi nè, tanto meno, liquami, l’unica “perdita” ammessa e quella dello sfiato controllato dei miasmi attraverso la valvola, purchè questa li “depuri”…altrimenti non si chiamerebbe valvola “depuratrice”.
Leggo con fervore alcune risposte in merito alla valvola. L’odore che si puo’ sentire dopo un giorno o anche dopo un mese è del tutto normale, visto che la valvola funge da sfiato tra l’interno della cassa e l’esterno. Quindi a dare delle risposte improprie tanto per scrivere è solo sinonimo di ignoranza.