Quanto s’intersecano inscindibilmente polizia mortuaria e ordinamento di Stato Civile!
E’ interessante un parallelismo tra le varie Leggi Regionali che hanno introdotto e liberalizzato l’istituto del trasporto a cassa aperta, in regime di D.P.R. 285/1990, invece, fortemente inibito e compresso.
Non ancora paghi e mai domi di queste lunghe dissertazioni funerarie ricordiamo, in ultima analisi, questi concetti: il trasporto di salma, anche se “legittimato” da certificazione del medico, il quale assicura come ciò possa realizzarsi senza pregiudizio per la salute pubblica e che non vi è sospetto di morte dovuta a fatto criminoso, è del tutto indipendente dai processi di cui all’art. 72, comma 3 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396: essi rimangono immutati (né la regione potrebbe incidere su di loro con propria legge regionale, stante l’art. 117, comma 2, lett. i) Cost.).
Il trasporto di salma si ha, per la definizione stessa di “salma” (data, ad esempio, all’art. 1, comma 3, lett. a) L.R. Puglia n.34/2008 nella fase temporale intercorrente tra il decesso e l’accertamento della morte.
Ne consegue che il trasporto di salma, sulla base dell’anzidetta documentazione medica, può aver seguito anche, e spesso così è, prima dell’avviso cui la struttura sanitaria o ad essa assimilabile è tenuta ai fini della formazione dell’atto di morte.
Il soggetto obbligato, ope legis, a tale avviso (ospedale, casa di cura, casa di riposo, ecc.) è, e continua ad essere, vincolato, anche per i termini, a trasmettere gli incartamenti all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune nella cui circoscrizione amministrativa si è registrato il decesso.
L’atto di morte è, comunque, atto proprio del comune di decesso.
L’ipotesi di cui all’art. 72, comma 1 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (sul luogo di deposizione del cadavere) è del tutto inapplicabile, avendo a proprio presupposto il caso eccezionale in cui non sia noto il Comune di decesso (ad esempio: quando la morte sopraggiunga in ambulanza durante il trasporto di un ferito al pronto soccorso: è il caso della cosiddetto protocollo sanitario del “giunto cadavere”), in quanto, nella specie, la stessa certificazione medica, funzionale al trasporto di salma, esclude che si ignori il luogo di decesso o, altrimenti, presuppone che questo sia pacificamente noto.
La certificazione medica finalizzata trasporto di salma, non sostituisce, né potrebbe essere così, tale avviso, in quanto estranea, anche negli scopi, al procedimento di stesura dell’atto di morte.
L’avviso di cui all’art. 72, comma 3 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 non ha relazioni di sorta con l’accertamento della morte, ma la sua imperatività discende dalla morte stessa.
In tutti i casi, comunque, l’accertamento della morte non può non essere se non successivo alla morte, tanto che potrebbe intervenire anche dopo il limite temporale ultimo per trasmettere tale avviso (si pensi, al frangente dell’accertamento della morte tramite visita necroscopica entro il termine massimo di 30 ore dalla morte, dove, nell’arco tra le 24 e le 30 ore, l’avviso di morte dovrebbe (almeno se si rispettassero le norme, ma il D.P.R. n.396/2000, stante l’art. 23 Cost, essendo un regolamento è privo di un proprio apparato sanzionatorio!) essere già stato compilato, inviato e ricevuto dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di decesso (e, di rigore, dovrebbe essere già stato formato anche il relativo atto di morte).
Non nascondiamo come siano del tutto inquietanti alcune tesi, quale quella esposta, poiché dimostrerebbero un’assoluta e crassa ignoranza della materia funeraria in sé, delle procedure e, delle funzioni da parte anche e soprattutto dei pubblici poteri. Sia permesso, infine, sollevare qualche dubbio sulla liceità dell’operatività di talune nostrane case funerarie, in particolare in relazione al possesso dei necessari standards strutturali, ma altresì per il fatto che non si è a conoscenza se il Comune in cui siano insediate ne abbia autorizzato, con apposito provvedimento, l’impianto ed esercizio, con preventiva verifica documentale della sussistenza dei titoli formali richiesti.
X Maurizio,
E’proprio così: al termine del periodo di sepolura legale, le ossa rinvenute durante le operazioni di disseppellimento, se non richieste per un’ulteriore sepoltura privata e dedicata sono avviate irreversibilmente all’ossario comune in forma promiscua, anonima, indistinta e massiva. C’è di più: quando l’ossario comune sia saturo l’ossame ivi contenuto può esser, per una riduzione del proprio volume, calcinato in forno crematorio, divenendo a sua volta cenere, la quale sarà custudita in perpetuo nel cinerario comune, in modo massivo, indistinto, anonimo e promiscuo.
La ringrazio per la sua dettagliata risposta. Quali sono le norme attualmente in vigore che dispongono tale ‘sistemazione’? Perché i Comuni italiani, considerato l’esiguo costo delle cassettine, non provvedono a riporre le ossa nella singola cassetta con i dati anagrafici ? Non crede che i resti mortali necessitino di un maggiore ‘rispetto ‘? Cordiali saluti e complimenti per il sito, Maurizio.
X Maurizio,
la norma formale di riferimento è rappresentata dall’art. 67 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, poichè il fine della permanenza dei cadaveri nel cimitero, una volta trascorso il periodo legale di sepoltura, è la completa mineralizzazione dei tessuti molli, sino a provvedere al recupero delle sole ossa. Qual è la differenza tra i Santi ricordati nel calendario liturgico e gli spiriti beati festeggiati il primo di novembre? I primi hanno un giorno dedicato, gli altri, quale innumerevole schiera celeste vengono celebrati in forma collettiva, siccome la vita eterna non può esser (stando al S. Evangelo, almeno….) appannaggio di così pochi. Tralasciando, per un attimo, cieli danteschi, superne rote e metafisica, il problema non è tanto il costo della cassetta ossario, ma lo spazio che sarebbe necessario a raccogliere per sempre tutte quelle ossa, in forma individuale e nominativa. I cimiteri, già saturi, esploderebbero, erodendo i già esegui confini da cui sono separati nettamente dalla periferia della grande città. La promiscuità tra vivi e morti – tipica del medioevo – è stata superata definitivamente, qui da noi, almeno dopo l’editto napoleonico di St. Cloud, del 1804, il primo testo unico di polizia mortuaria dell’evo moderno.
Buonasera. Due miei zii sono sepolti nei colombari del cimitero pugliese di Bisceglie . Mi e’ stato riferito che alla scadenza dei 50 anni della concessione , laddove nessun familiare provvedesse al rinnovo della concessione o all’acquisto di cassette di zinco e cellette loculi ossario , le loro ossa verrebbero depositate nell’ossario comune senza cassetta che li identifichi e senza possibilita’ di poter piu’ disporre in futuro la loro deposizione in ossarietti privati o pubblici …Cosa prevede la normativa in merito? E’ corretto, giusto, rispettoso che le ossa vengano “accatastate ” negli ossari comuni senza possibilita’ futura di risalire ai nominativi ? Vi ringrazio per un Vs. eloquente parere in merito .Maurizio