Stato Civile ed atti tipicamente di polizia mortuaria: la reperibilità non è obbligatoria

Come primo aspetto lessicale, pur se fortemente nominalistico e d’accademia, andrebbe ricordato come – correttamente – non possa parlarsi più di “permesso/licenza/bolletta di seppellimento”, almeno dall’entrata in vigore del D.P.R. 3 novembre 200, n. 396, quanto piuttosto di autorizzazioni, distintamente, in relazione alle pratiche funebri richieste (inumazione, tumulazione, cremazione) contemplate dalla Legge.
Nella questione sollevata già nel titolo di questa breve riflessione, concorrono differenti elementi, il primo dei quali riguarda il il termine di cui all’art. 72 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Esso costituisce un dies ad quem perentorio posto al dichiarante (commi 1 e 2) oppure al direttore, o suo delegato, della “struttura” di ricovero (comma 3), ciò, per altro, non determina in capo all’ufficio dello stato civile alcun obbligo giuridico o dovere specifico nella determinazione degli orari di apertura al pubblico in funzione di consentire il rispetto degli adempimenti di legge; secondo la giusta tempistica.

Anche in vigenza del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, che al suo Titolo XII regolava l’aspetto delle infrazioni allo stesso, non sarebbe sussistito in capo agli uffici di stato civile alcun vincolo di definire gli orari di apertura al pubblico in relazione all’imprevedibilità dell’evento morte.
Nell’eventualità che il termine non fosse rispettato dagli obbligati in ragione della chiusura degli uffici per l’intero arco temporale durante il quale, invece, si sarebbe dovuto ottemperare alla norma imperativa in caso di ipotizzabile (ma, risulta, che accadesse del tutto di rado) trasgressione, quand’anche fosse avvenuta  avvenuta  la contestazione formale dell’anomalia registrata, il colpevole avrebbe potuto dimostrare al Tribunale, organo competente all’elevazione delle sanzioni (oltre che del relativo procedimento di applicazione)  lo stato o condizione di impossibilità materiale.
Ferma restando la non derogabilità del termine (l’assenza di reali sanzioni attuale non deve far pensare che quest’ultimo sia venuto meno o addirittura spirato), poiché spetta al Comune la determinazione degli orari di apertura al pubblico, non vi sono ragioni di diritto che giustifichino neppure prestazioni di reperibilità.
Tuttavia, qualora, in sede di scelte organizzative tutte politiche e previa contrattazione decentrata, si sia, in ambito locale, ritenuto di assicurare un servizio di reperibilità, questa formula può anche può anche esser implementata.
Ma deve essere ribadito come si sia in presenza di una “decisione” locale, talora fondata su presunte considerazioni in ordine alla qualità del servizio funerario per i familiari o altri operatori del post mortem (rileva, comunque, che non vi sia alcun obbligo giuridico ad assicurare questa opzione organizzativa e gestionale, comunque sempre praticabile.).

La formazione dell’atto di morte (in particolare nelle ipotesi dell’art. 72, commi 1 e 2 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, non avviene se non al momento in cui sia resa la relativa dichiarazione: essa, infatti, – per assurdo -non potrebbe essere verbalizzata, cioè iscritta nel registro per gli atti di morte, se non quando sia resa oralmente.
Il relativo atto (processo verbale) quindi  sarà letto all’interveniente e, di seguito a tale solenne lettura, il documento verrà sottoscritto e chiuso dall’Ufficiale dello stato civile con la sua firma.
Ogni altro comportamento, anche se, talora, presente per prassi, rasenta fattispecie penali (es.: quella considerata all’art. 479 c. p.).
Nell’ipotesi dell’art. 72, comma 3 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, la formazione dell’atto di morte non può che essere se non conseguente al ricevimento dell’avviso trasmesso dal direttore, o suo delegato, dell’ospedale o struttura assimilata, sulla base del principio per il quale i procedimenti di stato civile, salvi i casi (ben rarefatti) in cui siano definiti termini diversi, vanno (o, andrebbero) completati senza indugio di sorta.
Per quanto riguarda, poi, il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (e, qui, per ragioni di brevità espositiva, ci si limita alle sole due distinte autorizzazioni considerate dai commi 1 e 2, trascurandosi quella considerata dal comma 3, che richiederebbe altre specificazioni), esse sono subordinate unicamente a due pre-condizioni, cioè:
a) a che sia decorso il termine delle 24 ore dal decesso,
b) al fatto che l’Ufficiale dello stato civile sia sia accertato della morte, a mezzo del certificato fatto dal medico necroscopo della visita con cui è stata accertata la morte (artt. 4 e 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
Come si nota dalla norma stessa, la formazione dell’atto di morte non è neppure indicata (ma è considerata all’art. 73, ad esso del tutto precedente), siccome essa può essere antecedente, contemporanea, successiva al rilascio delle autorizzazioni all’inumazione, oppure, distintamente, alla tumulazione.
In sintesi: i procedimenti che conducono alla formazione dell’atto di morte, in quanto atti propri del servizio dello stato civile, sono autonomi e logicamente distinti (pur se, spesso, avvengano pressoché contemporaneamente, così da lasciar percepire una sorta di (inesistente) unitarietà dei diversi iter burocratici del post mortem), se non altro per il fatto di assolvere funzioni del tutto diverse e separate.

Volendo (osare!) si potrebbe considerare come il procedimento di rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 non attenga neppure al servizio di stato civile, o, almeno, nel senso di non attenere alle funzioni proprie del servizio di stato civile, quali definite dall’art. 5, comma 1, lett. a) D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, ma si tratta di un atto tipicamente di polizia mortuaria attribuito (per ragioni storiche, di cui molti hanno perso la memoria motivazionale) alla figura dell’Ufficiale dello stato civile.
Oltretutto, si consideri anche l’art. 77 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396: esso opera una volta che l’Ufficiale dello stato civile si sia accertato della morte, per mezzo del certificato necroscopico /(cioè dell’avvenuta visita necroscopica volta all’accertamento (della effettività) della morte.
Si tratta, pur sempre, di una delle pre-condizioni per il rilascio delle autorizzazioni considerate al precedente art. 74, laddove l’acquisizione di alcune “notizie” è in rapporto funzionale rispetto alla (successiva e futura) formazione dell’atto di morte.
Non solo, ma ancora dopo, nello sviluppo logico-formale del dettato normativo, si veda a tal proposito il seguente art. 78, si ha una situazione in cui il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art.74, è del tutto indipendente dalla formazione dell’atto di morte, solo se ci si sofferma su questo punto in diritto si potrà convenire comunemente su questa opinione dottrinaria.
Difatti, è notorio come, nella fattispecie, questo ultimo non possa essere formato (immediatamente), ma richieda l’emanazione di un decreto, di rettificazione, da parte del Tribunale, su azione del pubblico ministero (= procuratore della Repubblica), decreto che potrà essere seguito, solo una volta divenuto definitivo.
Ma, nel frattempo, il corpo, se rivenuto, non può non essere oggetto d’inumazione (si trascurato le altre pratiche funerarie, presupponendo la tumulazione (la quale costituisce sempre modalità di sepoltura in un sepolcro privato) la riconoscibilità del corpo è necessaria quanto meno ai fini della riserva di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 o presupponendo la cremazione altrettanto la identificazione del corpo, diviene essenziale in relazione alle forme di manifestazione di volontà alla cremazione stessa, tanto riferite dal defunto o dai familiari aventi titolo.
Diversi orientamenti risentono, evidentemente, della diffusione in larga scala di questa situazione ormai – di fatto -generalizzata:  molti di questi procedimenti prima enumerati, per loro natura separati e dotati di un proprio e specifico timing  si svolgono, in realtà quanto meno, nella ristrettezza dei termini minimi che riguardano le differenti ed autonome pratiche amministrative sopra analizzate, relative all’evento funerale.

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Carlo Ballotta

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