Spesso le norme sono emanate con diverse velocità, nel loro succedersi nel tempo, molto dipende dalle scelte e dai ritmi della Politica, ingenerando, a volte, notevoli discrepanze tra l’asettico il mondo del diritto funerario e la cittadinanza, con i suoi comprensibili desiderata; come sempre, su una materia così controversa e spinosa, quale la dispersione delle ceneri, si scontrano ed impingono, in dottrina, opinioni e tesi divergenti, anche in modo aspro.
Secondo un certo filone del dibattito accademico no, non sarebbe lecito: i motivi di fondo sono semplici, in quanto il Comune dovrebbe preventivamente stabilire, per la propria area “giurisdizionale”, specifici iter burocratici, operativi e le tariffe (o meglio i diritti fissi, istituiti dal Consiglio Comunale, ex art. 149 comma 4 lett. c) D.Lgs n. 267/2000, da corrispondere?), che consentano da parte del cittadino di poter dar seguito alla volontà di “dispersione delle ceneri” palesata dal defunto.
In Lombardia, la dispersione delle ceneri in natura è prefigurata dall’Art. 13 del Reg. Reg. n.6/2004.
Per la dispersione delle ceneri, in Regione, la documentazione amministrativa da presentare agli atti, una volta debitamente compilata, è rinvenibile nel modulo di cui all’allegato 5 Delibera n. 20278 del 21 gennaio 2005.
In Lombardia, se eccettuiamo la problematica inumazione dell’urna, a questo punto biodegradabile ex art. 75 comma 1 D.P.R. 285/90, come velata forma di dispersione nella nuda terra, seppur sui generis, e perciò non permessa dal Legislatore Regionale, esistono tre effettive possibilità di sversamento delle ceneri in:
a) cinerario comune (l’urna è aperta, quindi dissigillata dal personale comunale preposto e il suo contenuto viene disperso o comunque sparso informa indistinta nel “manufatto comunale” previsto dal DPR 285/90 all’art. 80 comma 6 e cioè nel Cinerario Comune;
b) natura, ovviamente in ambito comunale: quindi è necessario delineare una procedura di come questo sparpagliamento possa avvenire, dove, quando, in quale modo e da parte di chi, sulla base della modulistica prima richiamata.
c) in cimitero, ma all’aperto nel Giardino della Memoria (o Rimembranze) come considerato dalla Legge nazionale n. 130/2001 e dalla Legislazione Regionale Lombarda anzi citata.
La dispersione delle ceneri determina l’impossibilità di una loro successiva raccolta e conservazione quando esse siano già state sversate in acqua (di mare, lago, fiume), in aria (es. dal cielo), in terra.
Come si vede, per la dispersione delle ceneri in natura sarebbe necessaria la predisposizione di una norma comunale ad hoc, quindi cogente, almeno nel distretto amministrativo di quel territorio specifico, in cui sarà richiesto di effettuare la dispersione.
Ai sensi del citato Reg. Reg. n. 6/2004, art. 13, la volontà di sversamento delle ceneri in ambiente esterno, rispetto al perimetro cimiteriale, deve risultare inequivocabilmente da disposizione scritta del de cuius stesso, dietro autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile che la accorda secondo le modalità volute dal defunto; l’atto sarà eseguito su precisa responsabilità (anche penale!) di chi abbia titolo a darvi luogo in quanto deputato a compiere questo “estremo gesto di pietas” (e nel silenzio del de cuius chi provvede?).
In Regione Lombardia, l’istituto della dispersione è, quindi, compiutamente regolato dall’Art. 13 del Reg. Reg. 9 novembre 2004 n. 6.
Su eventuale fumus d’illegittimità ab origine si può, obtorto collo, soprassedere, perché, per adesso almeno, la norma in oggetto e quella sovraordinata da cui essa trae origine (Legge Regionale n. 22/2003 ora confluita e trasfusa nel T.U. Leggi Sanitarie Regionali n. 33/2009) non sono state impugnate avanti la Corte Costituzionale nei modi e nei tempi stabiliti dalla Legge.
Secondo una certa linea interpretativa, cui aderisce chi – indegnamente – vi scrive, la dispersione delle ceneri sarebbe, invece, già fattiva, a prescindere da una sempre consentanea normazione di dettaglio contenuta nel Regolamento Municipale di Polizia Mortuaria. Questa corrente di pensiero trae fondamento da una storica sentenza del T.A.R. Lazio, con tutti gli ovvi limiti di un pronunciamento giurisprudenziale, il quale, come si sa, fa stato solo tra le parti ex Art. 2909 Cod. Civile e non è automaticamente estensibile erga omnes, almeno nel nostro ordinamento giuridico, dove non vale il principio dello stare decisis, tanto caro, invece, al diritto anglosassone.
La prefata sentenza del T.A.R. per la Regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2.bis, n. 3407 del 4 aprile 2013, sorge da un atto di rifiuto alla concessione dell’autorizzazione a disperdere le ceneri, opposto da un comune della Regione e motivato sulla base della tesi secondo cui sarebbe difettata, all’epoca della richiesta, norma regolamentare comunale che consentisse di autorizzare la dispersione delle ceneri, in un momento, oltretutto, aggravato dal mancato rispetto, da parte del Comune, dei termini perentori per la conclusione del procedimento amministrativo, situazione attentamente soppesata e tenuta, com’ è evidente, in debito conto ed in cale dal giudice amministrativo.
L’assunto della pronuncia considera, anche il principio del tempus regit actum, dando ad esso piena attuazione; a rilevare, nella sentenza, è questo sviluppo logico-argomentativo: il sovrapporsi (o lo stratificarsi?) di una successiva regolamentazione comunale sarebbe del tutto inutiliter data, tanto che il T.A.R. neppure si è posto la questione della sua disapplicazione ( a contrariis ex art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato “E”?), e, infine, ha annullato tout court il provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri.
Il Giudice Amministrativo Territoriale osserva, poi, come, quando sussista normativa, tanto statale quanto regionale, tale da ammettere l’istituto della dispersione delle ceneri, la legittimazione al perfezionamento della relativa autorizzazione discenda logicamente da queste pre-ordinate fonti e possa già produrre tutti i suoi effetti, anche in assenza di apposita ed opportuna riforma del Regolamento Comunale.
Si consiglia, ad ogni modo, nel caso specifico, di agire sul testo del Regolamento Comunale per recepire, in toto, i nuovi istituti previsti dalla Legge Statale n. 130/2001 nella singolare “variazione sul tema” loro impressa dalla Regione Lombardia (secondo un certo orientamento del Dicastero della Salute – Circ. Min. della Salute prot. 23919 del 22/07/2015 non sarebbe nemmeno più necessaria l’omologazione ministeriale ex Art. 345 T.U.LL.SS.) per il principio di cedevolezza, infatti, è quest’ultimo a doversi adeguare, poiché l’inerzia del Comune nella revisione della propria normativa locale non può privare la dispersione della sua efficacia già, per altro, sancita da Legge Regionale n. 22/2003 e dal Reg. Reg. n. 6/2004.