Come conclusione di codesta indagine che si è articolata sul sito in più puntate è, a questo punto, doverosa una sintesi di carattere politico-programmatico, con i giusti indirizzi e contributi costruttivi (anticipati dall’Ing. Fogli stesso, in un suo pezzo pubblicato il 14/09/2023) in previsione (finalmente) di qualche L. “quadro” statale, di riforma seria sulla polizia mortuaria.
“Quando parlo di semplificare, è perchè vorrei uscire dal contenzioso unanimità/maggioranza assoluta, che è sorto con la L. 130/2001, in quanto la discussione tra d.P.R. 285 e L. 130 porta, anche noi, a condizionamenti interpretativi.
Mi pare che l’esigenza sia quella di individuare (se sia desumibile) una “regola”, rispetto a cui, dopo, poter ragionare sulle “eccezioni” e loro portata e ambiti di applicazione. Altrimenti, giriamo vorticosamente attorno alle questioni di fondo, senza uscire da queste poi rigidità di pensiero, deformanti della realtà davvero vissuta, quotidianamente dagli operatori del post mortem”, ci spiega Sereno Scolaro.
Pragmatica e molto concreta la posizione di Daniele Fogli, che ci ricorda la necessità soprattutto di prevenire i conflitti endo-famigliari, con norme ad hoc, ben inserite nella tassonomia del nostro poliedrico e tentacolare ordinamento pluri-legislativo.
“Se c’è, dunque una norma chiara di legge statale non contraddetta da legge regionale posteriore nella sfera di legislazione concorrente, prevale la legge statale.
Se c’è norma regolamentare statale non superata da regolamento regionale successivo in materia di potestà legislativa concorrente, predomina la norma regolamentare statale.
In presenza di norme regionali emanate dopo la norma di pari rango statale prevale quella regionale, se in regime legislazione concorrente, o non esclusiva dello Stato.
In carenza di chiarezza normativa sovraordinata occorre agire con norma regolamentare comunale o (c’è chi la la predilige, in quanto strumento più snello) o con l’ordinanza sindacale che disciplina esumazioni ed estumulazioni.
E se nulla di questo c’è, aiuta, quale ausilio ultimo, la giurisprudenza dominante e in ogni caso quelle fonti non scritte che una volta si chiamavano “gli usi e le tradizioni” e tanto buon senso.
Quindi non mi arrovellerei più di tanto. Spesso aiuta in questi casi una normetta che c’è in quasi tutti i regolamenti comunali di questo tenore:
“Il richiedente s’intenda agisca in nome e per conto e col preventivo consenso di tutti gli interessati aventi titolo”.
Se non fa così cominciano i guai giudiziari, si susciterà un giudizio con rito contenzioso tra le parti in lotta…
Il Comune si limiterà a garantire il mantenimento dello stato di fatto, in attesa che intervenga accordo tra le parti o sentenza passata in giudicato”.
Anche la Responsabile di SEFIT, interviene qui in Redazione, sull’intenso dibattito che ci ha assorbito nei mesi estivi, ed il cui logico portato sono poi gli articoli già comparsi nelle ultime settimane su funerali.org.
“Credo – afferma Valeria Leotta – che in una materia tanto complessa, per i vari interventi legislativi susseguitisi, con lacune e stridenti disomogeneità, sia opportuno semplificare nel senso appunto non di trovare un’unica soluzione (che appunto richiede intervento del legislatore nazionale) ma di ricostruire un quadro della situazione attuale senza prendere una posizione preconcetta.
Molto interessante ed utile sarebbe ricostruire l’orientamento della giurisprudenza, anche quella minoritaria e gli ultimi interventi che magari segnalano dei cambiamenti (vedi. Trib. Frosinone)”.
La conoscenza di come si siano davvero svolti i fatti è sempre importante. Si potrebbe anche ricordare come (SEFIT 10 2000) si fosse rappresentato al relatore all’allora PdL il pericolo del rinvio alle modifiche regolamentari (incipit, poi, dell’art. 3 L. 130/2001), osservazioni non accolte per le preoccupazioni che la PdL non venisse approvata, mentre col l’espediente del rinvio (l’ennesimo!) a modifiche regolamentari si forniva un alibi alle posizioni anti-cremazioniste. Il resto con il groviglio costituzionale tra Stato Centrale e Regione che ne conseguì, è storia nota, ci ricorda, poi Sereno Scolaro.
Per altro è opportuno sottrarsi dalle discussioni sui rapporti a geometria variabile tra d.P.R. 285 del 1990 e L. 130/2001, che producono sono complessità, per ora insolute.
Ri-compulsando nuovamente tutti gli atti preparatori di questo saggio, ho individuato alcune zone d’ombra riguardo alla proposta avanzata dal Dr. Scolaro, ovvero: escludendo per il momento la cremazione, quindi, ad esempio, in qualunque altra operazione cimiteriale tra più soggetti post su un livello di pari ordinazione chi deve manifestare la volontà di disposizione su di una spoglia mortale?. Tutti all’unisono o basta la maggioranza?
La successiva destinazione delle ossa o delle ceneri, a mio avviso è e sarà ancora più problematica, perchè pure il silenzio vale assenso o disinteresse manifesto, non occorre, infatti, manifestazione di volontà se ossa o ceneri saranno avviate di default o al cinerario comune o all’ossario comune, per la loro conservazione in perpetuo.
Per le ossa almeno il D.P.R. n. 285/1990 ricorre alla formula linguistica de: “i famigliari interessati”, nell’individuazione delle figure legittimate a conferir sistemazione finale a ossa e ceneri (implicitamente).
Al quesito specifico di siffatto tenore: “il disinteresse del coniuge prevale sull’interesse affettivo e spirituale di altri famigliari a garantire, diversamente, una sepoltura privata e dedicata da assicurarsi alle alle spoglie mortali”. si decise congiuntamente di rispondere positivamente, quindi, da quel momento in poi almeno in Redazione avremmo affrontato liti endo famigliari di tal fatta replicando in tal modo: “si applica – tassativo e rigido il principio di poziorità, che vede nel coniuge superstite la persona con facoltà/potere di decisione. Così, anche il solo silenzio (dinego?) del coniuge ancora in vita significa implicitamente una volontà precisa: la scelta è per il cinerari/ossario comune, a nulla valendo lo jus inferendi mortuum in sepulchrum di altri parenti, perchè esso – da potenziale – sorgerebbe solo in subordine, ossia solo in assenza del coniuge ancora vivo. Ciò, almeno, in sede amministrativa di polizia mortuaria, il Giudice, d’altro canto potrebbe aderire ad altre interpretazioni più ardite, anche di segno opposto.
La criticità si ravvisa anche per le ceneri, con uno sviluppo della stessa dinamica contenziosa.
Su Funerali.org, almeno, abbiamo deciso di tenere questa linea ermeneutica, molto formale e legalista, ed ha portato i suoi frutti di coerenza, eliminando la necessità di rispondere volta per volta a quesiti di analogo contenuto, spericolandosi tra pronunce a volte “lunari” ed incerte.
Lo scoglio, per ora insormontabile, è pur sempre rappresentato dal dilemma tra unanimità e maggioranza assoluta. Quale paradigma seguire, alla fine?
Come al solito, si arriva al nocciolo del problema da aggredire, e cioé che l’unico modo di ridurre la complessità strutturale della polizia mortuaria odierna sarebbe intervenire in forma legislativa statale, iniziativa bypartisan tentata a più riprese, ma senza mai ottener successo. Imporre all’attenzione del Parlamento la necessaria Legge di settore è pressochè impossibile, come ampiamente dimostrato (sarei felicissimo di esser pubblicamente sconfessato!)
“L’impianto normativo ormai sconnesso che vede Stato, Regioni, Comuni insieme a regolare la materia ha fallito.
Bisognerebbe estromettere un attore storicamente assente dal circuito della moderna polizia mortuaria (Regione), ma molto ingombrante e uniformare grandemente anche la possibilità regolatoria comunale (regolamento di ambito, per intenderci), così da ridurre la frammentazione.
Rispetto ad un tempo in cui si moriva soprattutto dentro i confini comunali e il morto non si spostava se non da casa (poi da ospedale) verso il cimitero, ora è maggiormente consentita la mobilità di salme e cadaveri verso crematori lontani o case funerarie altrettanto distanti, e quindi è cambiato proprio tutto.
“E’ partendo da questa considerazione che si deve rivedere completamente il sistema autorizzatorio e regolatorio.
Il passaggio di competenze allo Stato Civile, inteso come soggetto istituzionale rappresentante dello Stato Centrale che rilascia un’autorizzazione valevole per l’intero Paese può essere una rimedio temporaneo, ma la soluzione definitiva sarebbe il passaggio ad un sistema autorizzatorio informatizzato e centralizzato stile anagrafe”,
Conclude i lavori con questa nota di redazione l’Ing. Fogli.