Polizia Mortuaria: il problema della “delega” a firmare le autorizzazioni

Secondo la giurisprudenza amministrativa (TAR Basilicata, 2 agosto 2005, n. 739; ma nello stesso senso, Cass. Civ. sez. II, 6 novembre 2006, n. 23622) va disattesa la lettura dell’art. 107, comma 5, per quale il rimando operato da tale norma all’art. 50, comma 3, comporterebbe la salvezza di tutte le pre-vigenti disposizioni (già emanate prima del 13 ottobre 2000, data di entrata in vigore del T.U.E.L.), che rimettono ai Sindaci la competenza ad emanare atti amministrativi di gestione: infatti, lo stesso art. 50, comma 3, facendo espressamente salvo quanto previsto dall’art. 107, il cui comma 3, lett. f), come prima agevolmente dimostrato, attribuisce claris verbis ai dirigenti la competenza ad adottare tutti i provvedimenti di autorizzazione amministrativa.

Il ripetuto richiamo a determinati organi comunali, da parte del D.P.R. 285/90, principalmente al Sindaco, ma non solo, anche una volta acclarata la sua “post-maturità”, non favorisce, tuttavia, l’immediata individuazione dell’idoneità funzionale in capo alle diverse persone fisiche del comune che, in nome e per conto dell’Ente, pongono in essere atti giuridici, discrepanza che può dare adito a prassi non sempre pienamente conformi alle norme, secondo la loro gerarchia e prevalenza all’interno delle fonti del diritto.
Il dirigente, poi, non può delegare, nel pieno senso tecnico del termine, occupazioni sue proprie ed esclusive, ma può attribuire, anche nella sua qualità di datore di lavoro, titolare della funzione dispositiva di cui all’art. 2104 Cod. Civile, l’incarico a sottoscrivere gli atti di autorizzazione di cui, ad esempio, agli Artt. 23 e 24 D.P.R. n. 285/1990, (trattasi del c.d. decreto di trasporto), e non solo, a personale dipendente, rimanendo comunque responsabile giuridico dell’atto emanato (culpa in vigilando ex Art. 2049 Cod. Civile in caso di fatto illecito, eccettuando, però, la colpa grave o il dolo?), si veda anche il Capo II della Legge n. 241/1990 sulla titolarità del procedimento e della sua fase istruttoria.

L’istituto, allora, consiste nella possibilità soggettiva di attribuzione di competenze ad un soggetto, che non necessariamente (anzi, quasi mai) è titolare ex lege delle stesse.
Il personale dipendente incaricato è tenuto ad osservare le disposizioni impartitegli dal datore di lavoro (Art. 2094 Cod. Civile) e non può rifiutare tale adempimento, salvo non incorrere in una chiara trasgressione disciplinare, ex Art. 94 D.Lgs n.267/2000, naturalmente sanzionabile.
Rispetto alla qualificazione del personale dipendente verso cui il dirigente possa trasferire, ove ritenga opportuno agire così, tale incarico, occorre precisare che da designazione del personale dipendente per un particolare scopo, rientra nei poteri del dirigente, ed egli li esercita nel rispetto del CCNL e del Regolamento Comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi di cui all’Art. 48 comma 3 e 89 D.Lgs n.267/2000.
In tali casi, il personale dipendente firmerà con la nota formula del “d’ordine del dirigente, il ……….” (c.d. “delega interna”). Tra l’altro, l’istituto della delega, oggi, è compiutamente ammesso e considerato dall’Art. 17 comma 1-bis D.Lgs n.165/2001; mentre c’è chi ragiona, invece, in dottrina, di semplice mandato a firmare.

Esaminiamo, ora, brevemente, l’istituto della delega: essa consiste nella facoltà di accordare competenze da parte di un soggetto titolare della funzione jure proprio, il quale, tuttavia, considerato il disposto dell’art. 5 Cost. – uno dei pilastri fondamentali dell’Ordinamento Italiano – conserva, a monte, la competenza delegata.
La delega è un atto amministrativo contenente una manifestazione di “volere”, cioè la volontà di consentire che un altro soggetto eserciti funzioni rientranti nella competenza del soggetto che delega.
Presupposto essenziale della delega è, pertanto, la titolarità di peculiari funzioni, di una determinata competenza da parte del soggetto delegante.
Secondo requisito essenziale, ad avviso della  maggior parte degli studiosi del diritto amministrativo, è che la legge preveda la fattibilità della delega, anche se su questo punto, alquanto controverso, l’opinione della dottrina non è unanime.

Secondo i fautori del principio di decentramento, con perspicuo impegno, per il Legislatore, di informare a tale postulato tutta la propria produzione normativa, è da condividere l’idea secondo cui la delega, con la quale, in buona sostanza, si attua un decentramento di servizi, debba considerarsi preclusa soltanto in presenza di una evidente statuizione legislativa, negativa in tal senso.
Abbiamo detto che la delega, o, meglio, l’atto di delega, consiste in una manifestazione di volontà; dobbiamo aggiungere che è, altresì, un atto opzionale cioè rimesso alla libera volontà, alla valutazione del soggetto che delega; in sostanza egli può delegare, o meno, l’esercizio totale o parziale di funzioni che rientrano nella sua competenza. Si delega, quindi, l’esercizio delle materiali funzioni, ma non si trasferisce la competenza originaria. Il titolare rimane, quindi, il soggetto che delega altrimenti non si tratterebbe di delega in senso stretto ma, di devoluzione di competenza.

Emerge, poi, un ulteriore aspetto, cioè quello della forma che deve rivestire l’atto con cui il dirigente (o, l’apicale) “comunica” incombenti suoi propri ad altro personale, tale volontà dovrebbe estrinsecarsi nel comune ordine di servizio a rilevanza interna. Ovviamente, trattandosi di ordine di servizio e nell’attuale assetto del rapporto di lavoro, va esclusa ogni forma di accettazione delle disposizioni di servizio e l’eventuale rifiuto configura violazione dei doveri d’ufficio, punibile sotto il profilo disciplinare. In alcuni casi, tuttavia, può essere consentaneo che tale disposizione di servizio venga depositata ai fini dell’eventuale legalizzazione di atti destinati all’estero (esempio: trasporti internazionali) ai sensi dell’art. 33 DPR n.445/2000, (ma per questo basta una semplice nota di trasmissione).
Dunque, in estrema sintesi: con riferimento al nuovo equilibrio di poteri tra organi politici e dirigenza, improntato al principio generale della separazione tra le potestà di indirizzo politico-amministrativo, riservate agli organi rappresentativi, e le funzioni gestionali, di spettanza degli organi burocratici, espresso, per quanto concerne le autonomie locali, dall’art. 107, D.Lgs. n. 267/2000, l’autorità comunale preposta ad autorizzare il trasporto funebre va individuata nella figura del dirigente (o di chi ne svolga i compiti), competente ai sensi del comma 3, lett. f), della stessa norma, a concedere tutti gli atti di autorizzazione amministrativa.

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Carlo Ballotta

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2 thoughts on “Polizia Mortuaria: il problema della “delega” a firmare le autorizzazioni

  1. Buongiorno, sono un’Agenzia funebre nel Lazio di Frosinone. Vorrei sapere la procedura corretta per il disbrigo pratiche funebri.
    Preciso:
    1) a chi compete chiamare il medico di base o la guardia medica per notturno e festivo per l’accertamento di morte?
    2) normalmente il medico di base non viene in abitazione in caso di accertamento da parte della guardia medica o del 118
    3) a chi compete chiamare ed accompagnare il medico necroscopico in abitazione o casa di riposo per la compilazione del certificato necroscopico?

    Al momento funzione che ce ne occupiamo totalmente noi come agenzia funebre.
    Quindi per organizzare il funerale dobbiamo fare nel seguente ordine
    1) chiamare il medico per accertamento di morte.
    2) andare dal medico curante a compilare l’ISTAT
    3) Andare in comune per farmi compilare la chiamata al medico necroscopico
    4) Dare appuntamento all’inizio del paese al medico necroscopico per accompagnarlo in abitazione
    5) portare il tutto in comune per il disbrigo pratiche.

    parlando con un collega mi ha detto che è di competenza del comune tutto questo sbattimento e a dire la verità il alcuni comuni è così.
    vorrei sapere se esiste una legge che definisce bene le competenze di questo sistema.

    Grazzie mille per la disponibilità

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