Con l’entrata in vigore del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, può essersi percepita questa sensazione: la materia degli atti di morte è quella sfera di adempimenti che ha subito meno modificazioni rispetto alla normativa precedente, poiché anche i pur presenti mutamenti anno avuto portata principalmente nominalistica.
In effetti, il tradizionale istituto del permesso di seppellimento è venuto meno, sostituito dall’autorizzazione all’inumazione od alla tumulazione o, distintamente, dall’autorizzazione alla cremazione, attribuita questa alla titolarità di un soggetto diverso (il dirigente per il rinvio dell’art. 74, comma 3, in luogo dell’ufficiale dello stato civile), tutto ciò senza considerare la rivoluzione, sulle competenze funzionali, introdotte dalla controversa L. 30 marzo 2001. n. 130.
Apparentemente, sembra che la precedente spettanza dell’ufficiale dello stato civile, all’emissione del permesso di seppellimento, abbia solo mutato denominazione, divenendo titolarità al rilascio dell’autorizzazione all’inumazione od alla tumulazione (e, volutamente, si trascura qui la materia dell’autorizzazione alla cremazione), ma i cambiamenti sono ben più profondi.
Restando, per un momento, comunque su questo aspetto, si ha un elemento di continuità rispetto alla situazione vigente fino al 29 marzo 2001 (cioè, precedente all’entrata in vigore del Regolamento dello stato civile e, per carità, evitiamo di chiamarlo “nuovo Ordinamento”, siccome esso non ha più la natura e la forza di atto legislativo, ma quella di norma secondaria).
Il perfezionamento dell’autorizzazione presuppone, infatti, sia un periodo temporale inerziale (le 24 ore dal decesso, pur salvo i casi espressi dai regolamenti speciali e, precisamente, dagli artt. 8, 9 e 10 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), ma anche che l’ufficiale dello stato civile si accerti della morte a mezzo del medico necroscopo o di altro delegato sanitario, il quale attesti l’incontrovertibile effettività del decesso, con apposito certificato.
In realtà, l’accertamento della morte, attribuito all’ufficiale dello stato civile, non ha natura tecnica di esame necroscopico, quanto di acquisizione nel procedimento amministrativo, della certezza scientifica del decesso, che costituisce una funzione medica, attribuita ad una figura specificatamente qualificata a compiere tale verifica sui signa mortis o strumentale, tramite tanatogramma.
La formulazione dell’art. 74, comma 2 presenta un elemento critico, quell’indicazione di “altro delegato sanitario”, che è il prodotto di uno dei tanti errori redazionali di cui il testo del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 è irto, in vari punti, dovuto anche al modus operandi del legislatore, la sua redazione – difatti – ha risentito di professionalità prive di “memoria storica” e che rifuggivano da ogni contributo costruttivo, orientandosi maggiormente verso logiche di immagine…
Si tratta di un’indicazione che rielabora, senza approfondimenti e con estrema superficialità, l’art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, ma in cui la nomina o la delega (comma 2, per gli ospedali) sono istituti di qualificazione della mansione di medico necroscopo.
In altre parole, il medico necroscopo è sempre tale: o per nomina dell’AUSL, o per ruolo professionale suo proprio (direttore sanitario dell’ospedale), che lo sia per delega (delegato dal direttore sanitario negli ospedali): con la conseguenza che non ha nessun senso contrapporre il medico necroscopo ad un “altro delegato sanitario”, anzi questa formulazione risulta perfino perniciosa, potendo (ma solo astrattamente) lasciar pensare che la “delega” possa avere come destinatario anche un soggetto non esercente il ministero del medico!
Tra l’altro, pur trattandosi di una questione tutto sommato di scarso rilievo, molto accademica, la distinzione, e separazione, tra le due autorizzazioni all’inumazione od alla tumulazione importa anche l’utilizzo di supporti (modulistica) diversificati a seconda della pratica di sepoltura, salvo che non si adotti un modulo, che presenti la possibilità di precisare la diversa forma di sepoltura richiesta, ulteriore differenziazione di cui, probabilmente, non si sarebbe avvertito certo il bisogno.
Altro punto, di particolare innovazione, riguarda la competenza alla formazione dell’atto di morte, in senso territoriale, anche se limitatamente alle morti avvenute in luoghi diversi dagli ospedali, casi di cura o di riposo, collegi, istituti e simili.
Fermo restando che, transitoriamente, continuano ad essere applicabili anche gli artt. 136 e 137 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, da coordinare con l’art. 18 D.M. (Interno) 27 febbraio 2001, l’art. 72, comma 1 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 individua la competenza geografica alla dichiarazione di morte, cioè alla formazione dell’atto di morte nella parte I dei relativi registri, principalmente con il criterio del luogo in cui la morte sia avvenuta, principio per altro noto e consolidato.
Accanto a questo, viene introdotto un secondo parametro, per inquadrare meglio la fattispecie: esso opera solo ed unicamente nel caso in cui il luogo di morte sia ignoto, nel qual caso la dichiarazione di morte va resa all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il cadavere è deposto.
Sembra una semplificazione, ma tale formulazione determina una serie di complicazioni particolarmente gravi che possono essere foriere di contenzioso e di controversia. Infatti, la non conoscenza del luogo di decesso quando può aversi?
Ad esempio, nel caso di rinvenimento di cadavere, ma in questo caso vi è comunque l’intervento dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, cosa che va venire meno la dichiarazione di morte, sostituita da un avviso, notizia, denuncia da parte del magistrato o dell’ufficiale di polizia giudiziaria.
Altro caso, decisamente più frequente, di non conoscenza del luogo di decesso, si ha quando esso avvenga nel corso del trasporto all’ospedale, e l’ammalato o ferito vi giunga già deceduto.
Tuttavia, anche in questo caso, non si può fare ricorso all’individuazione della competenza territoriale rispetto al luogo di deposizione del cadavere, se non con la formulazione del c.d. “giunto cadavere”, cosa che impone all’ufficiale dello stato civile l’adattamento delle proprie registrazioni da effettuare su avviso dell’ospedale che porta all’iscrizione dell’atto di morte nella parte II serie B dei relativi registri (e, anche qui, è fuori luogo la dichiarazione di morte).
Come si vede, l’imprecisione terminologica, la grossolanità redazionale comporta possibili effetti che vanno nella direzione opposta ad ogni semplificazione delle procedure, anzi alla generazione di potenziali situazioni di conflitto, di contestazione di una procedura invece di un’altra, producendo situazioni di confusione e di incertezza, nel diritto [para]funerario, di non poco conto.