Due sono le condizioni costitutive per la formazione del permesso di seppellimento: una di ordine temporale e una di tipo operativo.
La prima consiste nel decorso di un certo tempo (24 ore dalla morte), la seconda nell’accertamento della effettività; della morte, da effettuarsi, sotto il profilo “tecnico”, a mezzo del certificato di avvenuta visita necroscopica.
E’da notare come per la Lombardia con l’Art. 4 comma 1 Legge Regionale 18 novembre 2003 n. 22 l’osservazione è il periodo antecedente l’accertamento del decesso e solo in via subordinata si fa riferimento alle 24 ore. Entrambe devono parimenti verificarsi e concorrere, infatti l’ufficiale che abbia accertato l’incontrovertibilità della morte mediante acquisizione del prescritto certificato necroscopico (o, meglio, certificato dell’avvenuta visita necroscopica), non può comunque procedere ex Art. 74 DPR 396/2000 al rilascio del permesso di seppellimento se non è decorso il termine temporale suindicato, ad eccezione di norme contenute in regolamenti speciali (come, appunto, il regolamento nazionale di polizia mortuaria DPR 10 settembre 1990 n. 285 il cui Art. 8 attraverso esame strumentale ossia ECG protratto per almeno 20 minuti, consente la completa e drastica riduzione del periodo d’osservazione sino a renderlo del tutto superfluo, mettendo, così, l’Ufficiale di Stato Civile nella condizione di attivarsi subito per l’autorizzazione ad inumazione o tumulazione. Il certificato necroscopico da allegare ex post all’Atto di Morte, è comunque una condicio sine qua non per dar luogo alla sepoltura).
La vecchia licenza di seppellimento (ora autorizzazione ad inumazione o tumulazione dopo l’entrata in vigore dell’Art. 74 del DPR 396/2000) è un provvedimento di tipo amministrativo, estraneo ai procedimenti propri dello Stato Civile basato su una valutazione “medica”, quando, forse, sarebbe sufficiente quest’ultima per autorizzare la sepoltura del cadavere attraverso le due pratiche più diffuse: inumazione e tumulazione (la cremazione, invece, è autorizzata dal Dirigente ex Art. 103 comma 3 Decreto Legislativo 267/2000 e comporta una procedura più strutturata).
La stessa denuncia della causa di morte (scheda ISTAT) non è annoverata tra gli atti propri del servizio dello stato civile per la tenuta dei registri dello stato civile, ed è avulsa dall’iter dell’autorizzazione alla sepoltura, anche se transita per l’ufficio dello stato civile per motivi organizzativi concernenti il flusso delle rilevazioni demografiche.
La particolarità del permesso di seppellimento è che esso viene sottoscritto dall’Ufficiale di Stato Civile indipendentemente da ogni impulso di parte interessata, si procede, infatti, d’ufficio poiché è interesse pubblico, attinente alla profilassi, smaltire comunque i cadaveri nel termine più breve compatibilmente con lo svolgimento delle funzioni di osservazione.
Sulla tesi dell’assoggettamento all’imposta di bollo dell’autorizzazione all’inumazione o dell’autorizzazione alla tumulazione, vi sono orientamenti difformi di parte della dottrina.
L’imposta di bollo è regolata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, modificato dal d.P.R.. 30 dicembre 1982, n. 955 (1). La tariffa è stata aggiornata con il D.M. 20 agosto 1992 i favorevoli fondano la Loro argomentazione su questo dato: la natura autorizzatoria (anche con la precedente, ed abrogata, denominazione di permesso di seppellimento) colloca l’autorizzazione ad inumazione e tumulazione nel contesto di cui all’art. 4 Tariffa Parte I, in quanto tali autorizzazioni non sono ne’ certificati, ne’ estratti dai registri di stato civile, ma altre attività di carattere provvedimentale compiute dalla stessa figura giuridica.
I sostenitori delle tesi contrarie, ossia dell’esenzione, oppongono, invece, questa spiegazione: lo stesso art. 141 r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, al comma 1, ne prevedeva il rilascio in carta non bollata e senza spesa ….
Nel passato, alcuni hanno ritenuto che il permesso di seppellimento costituisse sostanzialmente un’autorizzazione con riflessi sul futuro, così il lasso di tempo delle 24 ore dal decesso avrebbe dovuto esser inteso come momento a partire dal quale l’autorizzazione avrebbe potuto trovare attuazione, producendo tutti i suoi effetti, non ritenendosi rilevante il momento del materiale rilascio.
Si era anche usata la formula per la quale il permesso di seppellimento fosse da considerarsi un ordine al seppellimento (quasi un “Nulla Osta”), da eseguirsi dopo il decorso di tale termine.
il Ministero di grazia e giustizia, tuttavia, specificatamente interpellato sulla questione, ha espresso, con nota Min. G.G. n. 1/50/FG/33 (92) 114 del
12/6/1992) l’avviso secondo cui il termine delle 24 ore dovesse riferirsi alla stessa concessione del permesso di seppellimento e non a quella della sua esecuzione (cioè del seppellimento del cadavere in senso materiale).
L’interpretazione ministeriale appare ineccepibile sotto il profilo letterale, ma non coglie quest’elemento sostanziale: il sullodato termine assolveva, in origine, la funzione del periodo di osservazione, oggi definita dall’articolo 8 decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285. In realtà ci si trova oggi ad operare con tre istituti (visita necroscopica con il rilascio del conseguente certificato, periodo di osservazione, permesso di seppellimento) i quali altro non sono se non il risultato di un processo storico di stratificazione normativa avutosi nel tempo, ma finalizzati alla medesima funzione, ossia escludere il sospetto di morte apparente.
Il circuito informativo relativo ad un decesso contempla l’iterazione tra diversi soggetti istituzionali che si muovono a diverse velocità, anche se, nella prassi, si debbono rilevare momenti di una certa isteresi burocratica, volti ad una condivisibile semplificazione sul piano cronologico, essi vanno giudicati non del tutto negativamente, purché siano rispettate con chiarezza le distinzioni funzionali dei diversi istituti.
Il DPR 396/2000, a differenza del vecchio Ordinamento di Stato Civile (R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 Titolo XII artt. 196 – 203) non contempla sanzioni, essendo fonte normativa di rango secondario, se si regista un forte ritardo nella consegna del certificato necroscopico, allora, l’unica soluzione è la segnalazione del fatto all’Autorità Giudiziaria.
Solo se si ha una colpa grave scatterebbe la omissione di pubblico servizio per quest’;ultimo caso, potendo, generalmente far valere i motivi di un eventuale slittamento in avanti di tutta la tempistica.
Situazione diversa si avrebbe, invece, se dovessero verificarsi ripetuti casi del genere per effetto di una organizzazione carente. In questo sarà il Giudice a dover valutare se i responsabili dei servizi non abbiano provveduto a regolamentare in modo definito la materia in sede locale o se la responsabilità; sia del medico necroscopo.
La scheda ISTAT, ossia la denuncia della causa di morte di cui all’art. 103 R.D. 27/7/1934, n. 1265, andrebbe compilata entro 24 ore dall’accertamento della morte (l’accertamento ha luogo nei modi e termini dell’art. 4 DPR 285/1990), anche se e’ largamente diffusa la prassi della sua redazione abbastanza presto, dato che non vi e’ un termine iniziale, se non il decesso. Anch’essa e’, tecnicamente, indipendetente dalla dichiarazione di morte, pur se vi sia la consuetudine di disporne già al momento della dichiarazione di morte, così da legittimare maggiormente l’informazione sull’avvenuto trapasso che viene resa, anche in forma orale, allo Stato Civile, attraverso la semplice dichiarazione di morte.
Si può, quindi, procedere al trasporto, alla sepoltura, cremazione o al trasferimento verso l’Estero di un cadavere quando sia già completamente trascorso il periodo d’osservazione, ma manchi ancora la denuncia sulla causa di morte redatta dal medico curante o dal medico necroscopo previa esecuzione di riscontro diagnostico (Art. 1 comma 4 ed Art. 37 DPR 285/90)?
Esempio: Morte del de cuius alle ore x. Dopo 15 ore, all’ora Y interviene il necroscopo, alle ore x del giorno dopo (ossia 24 ore dopo) si chiude la cassa per il funerale, mentre la Scheda Istat è consegnata 24 ore dopo l’ora Y, ossia 15 + 24 ore dall’exitus.
Assolutamente no! Il dottrina le posizioni sono, invero, più sfumate, tuttavia questa nostra tesi, tra l’altro è avvallata anche da un brillante saggio in titolato “La compilazione del certificato sulla causa di morte a cura del Dr. Daniele Cafini in cui testualmente si legge:
“Occorre infine precisare che la scheda stessa rappresenta uno dei documenti necessari affinché, a meno di un intervento della magistratura, si possa procedere alle esequie funebri.
La scheda – o certificato-ISTAT si assomma ad una serie di altri atti certificativi e non, quali:
1. avviso di morte (titolo VII del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238), che, redatto in forma libera da uno dei congiunti o da persona convivente o da loro delegato (anche impresa di pompe funebri) o, in
alternativa, da persona informata, va inoltrato entro 24 ore dal decesso all’Ufficiale di Stato Civile locale;
2. certificato di necroscopia (art. 4, DPR 285/ 90);
3. certificato per l’imbalsamazione (art. 46, DPR 285/90);
4. certificato per la cremazione (art. 79, DPR 285/90)”.
Il testo è reperibile nella sezione “Formazione a distanza” del sito www.euroact.net
E’, quindi, preminente non tanto la sola individuazione della causa di morte ai fini demoscopici ISTAT, bensì la valenza medico-legale, connaturata alla stessa compilazione della denuncia, volta ad escludere tassativamente la morte dovuta a reato (che compete anche al necroscopo ex Art. 74 DPR 396/2000), oppure a cagione di malattia infettivo diffusiva.
Se, ad esempio, il feretro deve esser estradato fuori dei confini nazionali occorre proprio la certificazione sul pieno rispetto, nel confezionamento della bara, della procedura igienico-sanitaria prevista, appunto, in caso di malattia infettivo-diffusiva (combinato disposto ex Artt. 18 e 25 DPR 285/1990 e punto 8.3 circolare n. 24 del 24 giugno 1993).
Nel frangente di infetti da trasferire e smaltire entro il territorio regionale Lombardia ed Emilia Romagna, le due regioni che, per prime, si sono dotate di riforme organiche sulla polizia mortuaria, si orientano verso una compressione temporale nelle procedure relative a decessi per malattia infettivo-diffusiva, è, infatti, subito il medico necroscopo ad assumere tutte le misure cautelative, tra le quali la chiusura anticipata del feretro.
L’autorizzazione alla sepoltura (licenza di seppellimento oppure autorizzazione alla cremazione) da parte dell’autorità amministrativa e, di conseguenza, la stessa autorizzazione al trasporto funebre non possono esser rilasciate se prima l’Ufficiale di Stato Civile non ha ricevuto scheda di denuncia sulla causa di morte.
Come ha notato la più titolata dottrina esiste un’inscindibile connessione semantica e logica tra rilascio della licenza di seppellimento e fine completa del periodo d’osservazione, che rendono possibili i trattamenti di cui all’art. 8 DPR 285/90 (Sereno Scolaro).
I passaggi appena delineati sembrano piuttosto chiari ed univoci, cerchiamo ora di approfondire la tempistica di questi adempimenti amministrativi.
Secondo l’Art. 103 del Testo Unico Leggi Sanitarie la scheda ISTAT può esser fatta pervenire allo Stato Civile entro le 24 ore decorse dalla visita necroscopica per l’accertamento della morte.
Se il medico necroscopo interviene entro il limite massimo della 30 ore successive alla morte dopo di cui inizierà il conto alla rovescia della 24 ore di tempo per la redazione della denuncia sulla causa di morte il cadavere non potrà esser movimentato prima delle 54 ore (30 + 24 = 54 ore) dall’avvenuta morte.
Un cadavere difficilmente potrà stazionare per 54 ore nel luogo deputato allo svolgimento del periodo d’osservazione, senza incorrere in criticità igienico-sanitarie dovute ai processi degenerativi della materia organica che iniziano subito dopo la morte, in forma quasi impercettibile, per poi assumere un andamento tumultuoso.
Secondo la regola generale (Art. 8 DPR 285/1990) prima del pieno decorso del periodo d’osservazione nessuna salma può esser sottoposta a trattamenti (autopsia, siringazione cavitaria…) o situazioni oggettive (chiusura del feretro, sepoltura, cremazione) tali da inibire o distruggere eventuali manifestazioni di vita.
Dopo il periodo d’osservazione, invece, per converso, le operazioni sovraccitate, come, ad esempio, il confezionamento del feretro, in rapporto alla sua destinazione ultima, sono consentite ed in qualche modo, anche imposte dalla legge.
Bisogna assolutamente rimarcare come la legge italiana (Regolamento n. 582 del 23 agosto 1994) operi una precisa distinzione tra i periodi d’osservazione di salme, basata su tre soglie d’anzianità dei deceduti. Il periodo è di 6 ore nel caso di persone con più di 12 anni di età, 12 ore per i bambini tra 1 e 5 anni; 24 ore per i bimbi con meno di un anno.
Certo, ci sono misure da adottare anche a carattere temporaneo, non appena si sia chiuso il periodo d’osservazione, come la deposizione in cella frigorifera o l’applicazione al feretro di un dispositivo refrigerante, tuttavia se il flusso informativo sulla “storia” e l’evoluzione immediatamente pre e post mortale dai quel particolare cadavere si interrompe sino alla consegna della scheda ISTAT risulterebbe pressoché impossibile confezionare correttamente il feretro oppure intervenire sul cadavere per vestizione o tolettatura mortuaria (vietate dall’Art. 18 DPR 285/90 per morti a causa di morbo infettivo-diffusivo).
Vediamo, ora, di valutare alcune probabili fattispecie, soprattutto in caso di malattia infettivo diffusiva, ricordando, preliminarmente, come la chiusura del feretro sia un atto irreversibile, nel senso che solo la pubblica autorità, sanitaria o giudiziaria può disporre l’apertura della bara quando a quest’ultima siano già stati apposti coperchio e sigilli.
Nelle zone d’Italia dove per effetto di leggi regionali, come, invece accede in Emilia Romagna, non si disapplica l’obbligatorietà dell’Art. 18 del DPR 285/90 i cadaveri portatori di malattia infettivo diffusiva possono esser trasportati solo entro duplice cassa chiusa in modo da garantire la tenuta stagna ed una volta avvolti in un lenzuolino intriso di sostanza ad alto potere disinfettante.
Se si salda la cassa, perché, magari, il defunto sarebbe comunque stato tumulato, senza però avvolgerlo nel lenzuolino di cui sopra si viola la Legge e si è passibili delle sanzioni di cui all’Art. 107 DPR 285/1990 (il quale rinvia all’Art. 358 Regio Decreto n.1265/1934).
Se non si conosce la causa di morte, nel nostro caso un morbo infettivo diffusivo, e senza facoltà divinatorie, riuscirebbe assai arduo decidere se predisporre una bara destinata ad inumazione con il solo cofano di legno, un dispositivo plastico ad effetto impermeabilizzante oppure con vasca e coperchio zincati. La legge è perentoria; il ministero con i decreti 7 febbraio 2007 e 28 giugno 2007 in cui, ai sensi dell’Art. 31 DPR 285/1990, si legittima l’uso di involucri plastici in sostituzione del nastro metallico fissa un importante limite: gli infetti possono esser sepolti in fossa, se non c’è parere negativo dell’AUSL, solo una volta racchiusi in duplice cassa di legno e metallo. Anche il recente DM 12 aprile 2007 (ex Art. 31 e 75 comma 4 DPR 285/1990) con cui s’autorizza l’impiego di un cofano non massello, ma con solo telaio in legno e pareti in cellulosa) sconta questa pesante restrizione proprio in caso di infetti.
Il significato di questa norma è chiaro: sotto alla schiena del cadavere deve esser posto un contenitore di metallo, e quindi, non biodegradabile, come invece avviene per i dispositivi barriera, proprio per trattenere la percolazione di liquami ammorbanti nelle profondità del terreno e, quindi, verso le falde acquifere.
Il DPR 285/90 contempla, tra l’altro, una procedura aggravata per cadaveri cui siano stati somministrati nuclidi radioattivi, e questo dato ai sensi del comma 3 Art. 18 deve emergere dalla denuncia sulla causa di morte.
In sintesi possiamo dedurre queste semplici considerazioni: se seguiamo alla lettera modi e tempistiche definiti dal DPR 285/90 per attivare un canale comunicativo tra i vari soggetti istituzionali preposti alle funzioni di polizia mortuaria ci sono determinate circostanze in cui destinazione del cadavere, suo trasporto e confezionamento del feretro sono subordinati alla denuncia sulla causa di morte, senza la sua preventiva acquisizione, almeno in teoria, l’intero iter del funerale dovrebbe esser prudentemente sospeso.
Certo, questo nostro breve studio è un caso di scuola, piuttosto di un’ipotesi verosimile, o davvero plausibile, anche perchè per effetto dell’istituto della “notifica” configurata dagli Art. 253 e 254 del TULLSS l’autorità sanitaria entra in possesso delle informazioni su di un decesso prima della consegna agli organi comunali della scheda ISTAT.
Articoli correlati e reperibili con la funzione “CERCA”:
- Doppia cassa ex Art. 30 DPR 285/1990 ed infetti
- Cofani in cellulosa ed infetti
- Seppellimento ed autorizzazioni relative
- Vestizione ante visita necroscopica
- Igiene e trasporti a cassa aperta
- Autorizzazioni al trasporto
- Servizi necroscopici in Lombardia (Parte I e Parte II)
Qualcuno ritiene il problema della morte apparente un’estrema ipotesi, assai fantasiosa da relegare ad un caso di scuola ottocentesco ed obsoleto, una sorta di mix tra riti wodoo, racconti vampireschi e la notte dei morti viventi.
E’davvero così?
Traggo da “La Repubblica” del 10 giugno 2008 questa notizia agghiacciante:
PARIGI – Il suo corpo era già steso sul lettino della sala operatoria, pronto per donare nuova vita ad altre persone, grazie all’espianto degli organi. Ma quando l’operazione stava per cominciare, la sorpresa dei chirurghi: l’uomo è ancora vivo, respira e reagisce agli stimoli dolorosi.
Il protagonista è un francese di 45 anni, che aveva avuto un infarto al miocardio all’inizio del 2008, mentre si trovava in una strada della capitale. I medici dell’ambulanza avevano tentato di rianimarlo sul posto, senza successo, decidendo poi di trasportarlo al vicino ospedale di Pitié-Salpêtrière, attrezzato per praticare una dilatazione delle coronarie. Durante il tragitto, nonostante i ripetuti tentativi, il cuore non aveva ripreso a battere. Una volta in ospedale il verdetto: non c’è più niente da fare.
L’uomo era diventato, un’ora e mezza dopo l’arresto cardiaco, un potenziale donatore di organi “a cuore fermo”, non cerebralmente morto ma non più rianimabile. Il seguito della vicenda, scoperta dal quotidiano Le Monde, si legge in un rapporto ufficiale di un gruppo di lavoro dell’Assistenza pubblica parigina, costituito per occuparsi dei dilemmi etici di questo tipo di interventi. Il paziente presenta “segni di respirazione spontanea, reattività pupillare e un inizio di reazione alla stimolazione dolorosa”. In altre parole è vivo. “Dopo molte settimane in cui le condizioni dell’uomo sono rimaste gravi – si legge sempre nel rapporto – l’uomo adesso parla e cammina”. Anche se “i dettagli sul suo stato neurologico non sono noti”. Come del resto non è chiaro se sia stato messo al corrente del tentativo di espianto. Nelle conclusioni del documento, si sottolinea che il caso, anche se eccezionale, mostra “quante domande rimangano nel campo della rianimazione”.
Le implicazioni etiche sollevate dalla vicenda hanno investito la tecnica dell’espianto “a cuore fermo”, una pratica consentita in Francia dall’inizio del 2007, non utilizzata in Italia. Questo metodo è ispirato ai risultati ottenuti in altri paesi come Usa, Spagna e Gran Bretagna. Nella sua fase sperimentale, l’adozione di questa tecnica ha permesso una sessantina di trapianti che altrimenti non sarebbero stati possibili, ma adesso torna a fare discutere.