La cremazione di cittadini stranieri in territorio italiano.

Nota della Redazione: appunti tratti e rielaborati da: Sereno Scolaro, La polizia mortuaria, anno 2007, Maggioli edizioni.

 

Nel caso, invero nemmeno tanto raro, data l’intensità odierna dei flussi migratori, della cremazione dei cittadini stranieri, deceduti sul nostro territorio nazionale, si deve sempre ricordare come l’incinerazione delle spoglie umane, così come altri diritti attinenti alla materia della polizia mortuaria, sia riconducibile ai c.d. diritti della personalità, cioè quei diritti assoluti che spettano alla persona in quanto tale ed in questo novero sono compresi, senza dubbio, il diritto al nome, il diritto all’immagine, i diritti di disporre del proprio corpo nel solco delineato dall’Art. 5 Cod. Civile,, tra cui spicca anche quello del potere avvalersi delle pratiche funebri ritenute lecite dalla Legge Italiana.

In buona sostanza, l’istituto della cremazione, sia in rapporto al suo primo accesso, sia in relazione alle successive, destinazioni delle ceneri, anche atipiche, si colloca nel contesto del c.d. Ordinamento Civile, assorbito nella sfera di competenza legislativa, esclusiva, dello Stato – art. 117, comma 2, lett. l) Cost.).

Avendo l’autorizzazione alla cremazione quale oggetto un diritto della personalità, l’art. 24, legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, e in vigore dal 1° settembre 1995 (ma prima il riferimento d’obbligo sarebbe stato all’oggi conseguentemente abrogato art. 17 (Disposizioni sulla legge in generale), spesso, in breve, definite anche come: “preleggi” – opera rinvio alla legge nazionale cui la persona era soggetta quando era ancora in vita come alla legge regolatrice dei diritti della personalità.

Pertanto l’autorizzazione alla cremazione va accordata necessariamente sulla base delle norme che disciplinano la cremazione (laddove consentita!) nell’ordinamento giuridico cui il cadavere era in vita soggetto.

Così va acquisita agli atti dell’istruttoria una dichiarazione rilasciata dalle autorità competenti del Paese di appartenenza (e, di solito, essa deve presentare i requisiti di cui all’art. 2, commi 2 e 2-bis d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e s.m.i., di norma in quanto queste disposizioni si applicano nei casi di cittadini di Stati terzi, ma i medesimi principi, sotto il profilo sostanziale, agiscono anche per i cittadini di Stati membri dell’Unione europea, come si preciserà infra) da cui risultino le norme di diritto positivo valevoli nel caso de quo, ma anche il “filtri” procedimentali attraverso cui pervenire al perfezionamento dell’autorizzazione alla cremazione,.

Il “modus”” per la formazione dell’autorizzazione, infatti, ben può essere diverso da quello italiano.

In effetti, la legge nazionale del defunto avente cittadinanza di altro Stato non comprende unicamente la legittimazione o le condizioni per l’accesso alla pratica funeraria della cremazione, ma si estende altresì alle modalità, alle procedure e a quanto altro sia, da questa legge nazionale, previsto in proposito.

Le norme della legislazione italiana, in particolare quelle dell’art. 79 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, o della Legge n. 130/2001, potrebbero essere, quindi, validamente applicabili alla cremazione degli stranieri solo se ed in quanto espressamente richiamate o esplicitamente compatibili con la legge nazionale a cui il defunto era in vita soggetto e, in difetto di tale dichiarazione, l’autorizzazione alla cremazione non potrà essere rilasciata.

Tra l’altro, e con particolare riguardo all’iter amministrativo, va ricordato come la legge nazionale caso per caso applicabile potrebbe non attribuire altrettanta rilevanza alla manifestazione della volontà alla cremazione, come accade, invece, con la legge italiana, nonché alle forme di sua espressione, non senza trascurare di osservare come un testamento che sia regolato da altra legge nazionale (artt. 46 e ss. l. 31 maggio 1995, n. 218 e, in particolare, gli istituti che attengono alla capacità di testare, nonché alla forma del testamento) possa essere oggetto di esecuzione con sistemi differenti rispetto a quelli dettati dalla legge italiana, oppure come la legge nazionale applicabile possa non contemplare una qualche legittimazione in capo ai familiari o, pur prevedendola, non considerare punto alcuna poziorità (= potere di scelta coniugato con la priorità nella decisione) tra i diversi familiari aventi titolo.

Tale dichiarazione dovrà, eventualmente, essere soggetta alle procedure di legalizzazione, o formalità sostanzialmente equivalenti (come è il caso degli Stati aderenti alla Convenzione fatta a L’Aja il 5 ottobre 1961, “Convenzione internazionale riguardante l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri.“, dall’Italia ratificata con l. 20 dicembre 1966, n. 1253) e di traduzione in forma ufficiale nella lingua italiana, a termini dell’art. 33 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e s.m.i. e dell’art. 2, commi 2 e 2-bis d.P.R. 30 agosto 1999, n. 394 e s.m.i. (disposizioni applicabili, sotto il profilo sostanziale, anche ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea in considerazione del fatto per cui solamente le autorità competenti del Paese la cui legge nazionale sia applicabile possono attestare il contenuto di tale legge nazionale, aspetto che rientra nei principii di diritto internazionale generalmente riconosciuti), e non potrà in alcun caso essere surrogata da una qualche dichiarazione, specie se unilaterale, da parte dei familiari o di altro soggetto a conoscenza della specifica legislazione straniera, né potrà farsi ricorso ad informazioni di fonte diversa rispetto a quella delle autorità competenti del Paese a cui il defunto era in vita soggetto, salvo, forse (trattandosi di norma che può essere fatta valere dai cittadini italiani), da una dichiarazione rilasciata dalle autorità diplomatiche o consolari italiane residenti nel Paese straniero caso per caso interessato, rilasciata sulla base della competenza attribuita loro dall’art. 52 d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71 (disposizione corrispondente alla precedente disposizione dell’art. 49 d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 e s.m.i., oggi abrogato).

Ovviamente, la legalizzazione, o passaggio burocratico equipollente, qualora, in ragione dello Stato di appartenenza, trovassero applicazione convenzioni internazionali che l’esentino, come si ha nei casi (e.g.) della Convenzione fatta a Londra il 7 giugno 1968 “Convenzione europea relativa alla soppressione della legalizzazione degli atti formati da agenti diplomatici e consolari“, dall’Italia ratificata con l. 28 gennaio 1971, n. 222, oppure della Convenzione, fatta a Bruxelles il 25 maggio 1987 “Convenzione relativa alla soppressione della legalizzazione di atti negli Stati membri della Cee”, dall’Italia ratificata con l. 24 aprile 1990 n. 128, non si renderà necessaria.

Nell’ipotesi in cui il defunto fosse in possesso di più cittadinanze, le indicazioni precedenti varranno per ciascuna delle cittadinanze possedute, non potendosi privilegiare, quanto meno in via amministrativa, l’una o l’altra, salvo non intervenga sentenza, debitamente passata in giudicato, che accerti il c.d. collegamento più stretto che venga a prevalere ai sensi dell’art. 19, comma 2, primo periodo l. 31 maggio 1995, n. 218, nesso che necessariamente richiede accertamento giudiziale.

In ultima istanza, va rappresentato come una tale “dichiarazione” (comunque sia denominata o possa essere chiamata) non possa essere qualificata in alcun caso quale un “nulla-osta”, nel significato di una qualche speciale autorizzazione, ma abbia unicamente la portata di una specificazione delle previsioni della legge nazionale applicabile alla fattispecie, nonché delle “modalità” sulla base delle quali procedere al rilascio dell’autorizzazione alla cremazione nel singolo caso specifico.

Si rammenta, infine, che nell’evenienza di morte dovuta a reato ai sensi dell’art. 3 Cod. Penale si renderà comunque indispensabile uno specifico nulla osta della Magistratura ai termini dell’Art. 116 comma 1 D.Lgs n. 271/1989.

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Carlo Ballotta

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