La polizia mortuaria, in tutte le sue eclettiche sfaccettature, non è semplicisticamente riconducibile alla mera tutela della salute umana, per altro oggetto, comunque, di competenza regionale residuale, come in alcune realtà si è strumentalmente voluto sostenere.
Questa operazione è servita solo per coonestare la babele delle Leggi Regionali funzionali forse alle single-issues di certe ristrette lobbies, ma del tutto deleterie per il comune cittadino utente postremo e passivo dei servizi funerari.
Un effetti, con questo assetto smembrato ed ad “arlecchino” e, dunque, molto discrasico, della polizia mortuaria ad aumentare esponenzialmente – ed è vox populi – è stata solo la confusione (l’equazione è facile: troppe leggi = nessuna legge!), nella quale sono precipitati gli stessi attori e competitors del mercato funerario italiano.
Ecco, dunque, al di là delle solite, grevi diatribe con i loro strascichi velenosi, il bisogno, sempre più stringente ed impellente, di una sola Legge Nazionale per tutto il settore.
Il sullodato documento di semplificazione delle procedure in materia sanitaria, per altro, avrebbe potuto anche costituire una sorta di legittimazione, richiesta (… proposta …) dalle Regioni a novelle di maggiore rilievo sul D.P.R. 285/1990.
Trascurando questa ipotesi (comunque da non sottovalutare, quanto meno rispetto a determinati intenti come l’attuazione delle disposizioni dell’art. 3 L. 130/2001), se si può riconoscere l’esistenza di una potestà regolamentare in capo alle regioni, nelle discipline che non siano di pertinenza legislativa, unica, dello Stato, ad ogni modo ai fini di introdurre modifiche o abrogazioni al Regolamento Nazionale di polizia mortuaria si rende necessaria, almeno in astratto, per i puristi del diritto funerario, l’assunzione di atti aventi natura regolamentare, ossia di norme di grado secondario.
Anche per la delibera di atti normativi di ordine secondario (regolamenti) da parte delle Regioni (approvazione che richiede l’osservanza delle procedure dei singoli Statuti Regionali attinenti all’emanazione di norme regolamentari), va precisato come il loro campo di efficacia non possa mai eccedere, o trascendere, l’ambito della Regione che le abbia varate, criticità strutturale che solleva difficoltà di non semplice coordinamento quando si sia in presenza di attività destinate a svolgersi anche al di fuori dei confini amministrativi di una singola Regione, mancando una sorta di proprietà transitiva uniformante tra le normazioni delle diverse entità geografiche dotate della capacità di porre diritto.
Il principio per il quale ogni norma, quale ne sia il rango, ha come proprio limite primo ed invalicabile l’ambito della potestà del soggetto che l’emana (estensibile, per molti versi, anche agli atti amministrativi) costituisce un postulato di ordine pressoché universale, presente in ogni ordinamento giuridico moderno.
Nella specie, relativamente ad alcune DD.GG.RR sovente richiamate nella primissima fase di “riforma” del D.P.R 285/1990, poi non sempre del tutto superate, a loro volta, da altre fonti sovraordinate sempre della stessa Regione, ci si trovava dinanzi ad atti privi di natura regolamentare, che non erano affatto normativi ma puramente amministrativi.
E, forse, non a caso, anche, nella seconda ondata di interventi con un’analoga e cronologicamente successiva D.G.R. Ci si si limitava a “sospendere” (e, per giunta, “temporaneamente”) alcune azioni di polizia mortuaria, relative, soprattutto, all’attività di vigilanza necroscopica sul trasporto funebre.
Si potrebbe anche pensare che tale orientamento degli Esecutivi Regionali potesse astrattamente integrare qualcuno dei reati annoverati dagli artt. 328, comma 1, 331, 340 Cod. Penale, con questa precisazione, però: per la personalità delle norme penali, non sarebbe la D.G.R. in sé a costituire fattispecie penale, quanto la sua attuazione in comportamenti fattivi, né può valutarsi sussistente l’eccettuazione dalla punibilità ai sensi dell’art. 51 Cod. Penale perché la D.G.R., nella sua essenza, non costituisce “ordine” (legittimo o reputato tale) in quanto non esiste un rapporto gerarchico proprio tra A.U.S.L. e regioni (art. 3 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ricordando che le Aziende Unità Sanitarie Locali non si configurano più quali “strutture strumentali della Regione” dopo le modifiche del D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517), mentre un “comando” potrebbe aversi se la D.G.R. fosse “resa” in prescrizione vincolante con atto aziendale, oggi di diritto privato).
In altre parole, laddove alla D.G.R. si ottemperasse semplicemente da parte dal personale dipendente dalle ASL, sarebbe quest’ultimo (forse, accademicamente) a dover rispondere per le anzidette figure penali, del tutto astrattamente e con molta fantasia accademica.
Tale incognita ne solleverebbe, di conseguenza un’altra, vale a dire quali sarebbero i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio soggetti all’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 Cod. Proc. Penale il cui inadempimento determina l’ulteriore fattispecie di reato di cui all’art. 361 Cod. Penale, costituendo, così, un curioso cortocircuito tra il controllato ed il controllore?
Per alcuni di questi servizi di tipo igienico-sanitario (necroscopia), potrebbe valutarsi se, ed in quale misura, possa individuarsi la sussistenza di una potestà regolamentare da parte dei Comuni dal momento che l’art. 117, comma 6, III periodo, Cost. ne riconosce una regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro riconosciute dalla Legge: in altri termini, la potestà regolamentare dei Comuni non deriva più dalla legge ordinaria (art. 7 D.Lgs. 267/2000), ma trova fondamento addirittura nella Costituzione, per altro nei termini anzidetti; anche se, alla luce dell’art. 13 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., spettano ai Comuni tutte le azioni amministrative che riguardino la popolazione ed la loro circoscrizione geografica, salvo quanto non sia espressamente affidato ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo i rispettivi ruoli, occorre, allora, osservare come tra le norme vigenti oggetto della “sospensione” (temporanea!) considerate da varie DD.GG.RR. ben poche potessero rientrare nella potestà regolamentare dei Comuni (probabilmente, e con elementi di oscurità!).