L’incinerazione (più aulicamente ignizione o, se vogliamo esser prosaici: cremazione) dei cadaveri costituisce una pratica funeraria alternativa alla tradizionale sepoltura per inumazione e tumulazione che sta acquisendo sempre maggiori consensi nella popolazione, vuoi per la crisi economica vuoi per la maggior praticità, senza, poi considerare l’atteggiamento aperturista della Chiesa Cattolica, con la recente istruzione “Ad Resurgendum Cum Christo”.
Da questa nuova tendenza della società italiana discende un rilevante incremento delle richieste di cremazione agli uffici competenti del Comune (Stato Civile? Polizia Mortuaria?) i quali si trovano, spesso, a barcamenarsi fra le pieghe di una normativa non chiara, lacunosa, difforme da regione a regione se non, addirittura da Comune a Comune.
Il problema è arci noto, ma vale la pena sintetizzarlo brevemente.
L’istituto della cremazione ha rinvenuto, dapprima, ed organica disciplina nel vigente Regolamento di Polizia Mortuaria, in particolare negli artt. 79 e s.s. del D.P.R. n. 285/1990. La materia ha ottenuto, successivamente, una normazione ad hoc nella Legge 31/03/2001 n. 130 “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri” la quale statuiva all’articolo 3 una serie di principi cardine e criteri orientativi che avrebbero dovuto informare a sé la più completa riforma del Regolamento di Polizia Mortuaria nei successivi 6 mesi.
Tale termine massimo è spirato infruttuosamente senza che i regolamenti attuativi fossero adottati; nel frattempo, l’intervenuta modifica del titolo V della Costituzione ad opera della legge costituzionale n. 3/2001 – che ha ‘sovvertito’ il consolidato assetto dei rapporti legislativi fra Stato e Regioni, attribuendo a queste ultime la competenza a legiferare in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato – ha sottratto la polizia mortuaria (assorbita dal diritto sanitario, benchè fortemente trasversale) all’ambito di influenza esclusivamente statale, riservandola alle Regioni, non senza qualche forzatura, anche propiziata dall’inerzia del legislatore centrale. Ciascuna di esse, quindi, ha quindi prodotto in tempi diversi il proprio corpus normativo, ora velleitario ora volontaristico e confuso, in tema di cremazioni, ispirandosi in vario modo ai principi codificati dalla Legge n. 130/2001.
La scelta sciagurata di attribuire la competenza legislativa, seppur solo concorrente, in materia di polizia mortuaria, alle Regioni ha determinato un panorama variegato e latore di incertezze: basti pensare alla criticità nel gestire situazioni funerarie che abbiano necessità di snodarsi in Regioni diverse, quando, cioè, sussistano relazioni di extra territorialità.
Non solo. Anche se hanno legiferato (spesso a sproposito), le Regioni non sono riuscite a sciogliere del tutto alcuni dubbi relativi ad alcuni aspetti fondamentali del procedimento per la cremazione che già erano nati con la L. n. 130/2001: basti pensare alle diversità operative che ancora esistono fra singoli comuni sulla titolarità e la forma con cui deve essere resa la volontà alla cremazione.
Precisiamo che quanto andremo ad esporre considera volutamente le specifiche normative assunte dalle singole regioni, anche molto divergenti tra loro e dallo stesso dettato della Legge n. 130/2001.
Si osserva che, per lo più, esse richiamano molto teoricamente le previsioni dell’art. 3 della L. n. 130/2001; ma laddove se ne discostassero, in virtù del riparto della competenza legislativa in materia ridisegnato dalla suddetta (e, vox populi, aberrante!) riforma del titolo V della Costituzione, dovrà essere accordata precedenza alla normativa regionale, se lo Stato non avocherà a sè questa fondamentale funzione di governo del fenomeno funerario.
Uno dei dubbi atroci che ancora assillano gli ufficiali dello stato civile, o i dirigenti preposti al servizio di polizia mortuaria, riguarda la forma che deve rivestire la manifestazione di volontà alla cremazione, quando non sia stato personalmente il defunto ad esprimersi in tal senso…in quest’ultimo caso nulla quaestio.
Sul punto si rilevano, in dottrina e prassi, due differenti orientamenti.
Il primo vorrebbe che l’esplicazione della volontà alla cremazione fosse contenuta in una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal coniuge o, in sua assenza, dal parente (o dai parenti) più prossimo. Questa tesi rinviene il proprio fondamento nelle norme di cui all’art. 79 comma 1 del D.P.R. n. 285/1990: esso stabilisce che in assenza di disposizione testamentaria del defunto che richiede di procedere alla cremazione, la volontà debba essere palesata dal coniuge o, in difetto, dal parente più prossimo e, in caso di pluralità di parenti del medesimo grado, dalla totalità degli stessi risultante, in ogni caso da sottoscrizione debitamente autenticata, poichè si ragiona di diritti personalissimi.
La scelta di ricorrere allo strumento della dichiarazione sostitutiva (confermato dalla Circolare del Ministero dell’Interno n. 37/2004) nasceva dall’esigenza di garantire una procedura più snella per la scelta a favore della cremazione da parte dei familiari.
Serena Raffaelli sulle pagine de: “Lo Stato Civile Italiano” motiva così questa operazione ermeneutica: “[…omissis] Essendo pacifico che l’autentica della sottoscrizione in calce ad una manifestazione di volontà (quale quella alla cremazione) non avrebbe potuta essere effettuata dal funzionario incaricato dal Sindaco, il Ministero appoggiò un’interpretazione dell’articolo 79 secondo la quale il coniuge o il/i parente/i più prossimo/i non avrebbero manifestato una propria volontà, ma, quali semplici nuncius, avrebbero rappresentato quella espressa in vita dal defunto. La circolare concludeva con il riconoscere la legittimità della domanda di cremazione sostenuta dalla dichiarazione sostitutiva della volontà del defunto espressa in vita, autenticando la sottoscrizione mediante corredo della stessa con la copia del documento di identità del dichiarante”, secondo il D.P.R. n. 445/2000.
Ebbene, questa veste – a parere di chi scrive – avrebbe potuto essere legittimamente accettata fino a quando non è intervenuta la L. n. 130/2001 (sempre laddove attuata).
L’art. 3, infatti, ha determinato modalità diverse per la manifestazione di volontà alla cremazione e – soprattutto – ha optato, per tabulas, per una formulazione normativa la quale specifica chiaramente che – in assenza di una disposizione espressa del defunto – i familiari che richiedono di procedere alla cremazione esprimono una volontà propria.
Il legislatore ha disposto altresì che tale volontà debba essere manifestata nella forma tipica del processo verbale redatto dall’Ufficiale dello Stato civile del comune di decesso o di residenza ed ha ritenuto sufficiente – nel caso in cui i soggetti investiti del potere di esprimersi siano più di uno – che la volontà alla cremazione sia manifestata (non più dalla totalità, ma) dalla maggioranza assoluta di essi.
Per lungo tempo, e da più parti si è affermato, non senza qualche ragione di fondo, che la L. n. 130/2001 – essendo priva dei regolamenti attuativi, i quali avrebbero dovuto novellare il D.P.R. n. 285/1990 e dei quali è impossibile, di fatto, la loro emanazione a causa del nuovo riparto di competenze legislative in materia – sarebbe stata priva di efficacia tot court e sine die
In realtà, tale prospettiva è stata sconfessata dal Consiglio di Stato, non senza qualche ambiguità, il quale, attivato in sede consultiva, con parere del 29/10/2003, da cui poi, scaturì il D.P.R. 24 febbraio 2004, ha asserito che la L. n. 130/2001 non è una legge delega, ma una legge ordinaria, diretta ad innovare la normativa vigente in materia di cremazione, concludendo, quindi, per la diretta applicabilità delle norme dotate di efficacia precettiva per compiutezza di disciplina.
E non vi è dubbio che in questa previsione rientri quanto stabilito in materia di manifestazione di volontà alla cremazione.
Chiudo questo breve saggio con le intelligenti e condivisibili parole di Serena Raffaelli: “ […omissis] Ritengo dunque che, fintanto che la normativa regionale non intervenga a disciplinare la materia, la L. n. 130/2001 debba ritenersi applicabile, con impossibilità di ricorrere alle forma della dichiarazione sostitutiva che affondava le proprie radici nell’articolo 79 del Regolamento di Polizia Mortuaria.
Alla luce di quanto sopra detto, considerato che la titolarità legislativa in tema di servizi funerari, deve oggi ritenersi esclusivamente affidata alle Regioni, e residualmente allo Stato, nel caso in cui esse intervengano con propri atti normativi e considerino modalità diverse da quanto stabilito dalla L. n. 130/2001, sarà la legge regionale a dover essere applicata.
Ovviamente è necessario tenere presente che l’ambito di efficacia della legge regionale è limitato al proprio territorio amministrativo e che in caso di cremazioni che coinvolgano defunti e familiari in regioni diverse, dovrà essere seguita la normativa regionale dell’Ufficio titolare dell’istruttoria (stato civile??? Polizia Mortuaria???)
Potendo essere astrattamente possibili criteri di “assegnazione della competenza” diversi da regione a regione non è escluso che possano verificarsi anche delicati conflitti di attribuzione , a conferma del fatto che – forse – la materia della Polizia Mortuaria, analogamente a quanto avviene per lo Stato civile, avrebbe dovuto essere mantenuta nella competenza legislativa esclusiva dello Stato”.
X Carlo
quindi i figli del defunto e del genitore impossibilitato a firmare in quanto allettato ecc ecc,
non possono firmare la volontà del genitore deceduto!!!
la cremazione non puo avvenire???
saluti
X Franco,
art. 414 Cod. Civile, per bypassare la volontà del coniuge superstite, allettato ed impossibilitato, perciò a firmare, altrimenti non surrogabile da soggetti terzi, occorre la sentenza di interdizione, l’incapacità naturale (quella senza pronunciamento del giudice) non è prevista dal Nostro Ordinamento Giuridico.
Art. 643 Cod. Penale: estorcere un firma, ancorché per un nobile fine (= la cremazione del de cuius) esporrebbe alla fattispecie di reato rubricata come circonvenzione d’incapace
X Franco,
se il coniuge superstite, quale soggetto massimamente tenuto ad esprimersi in materia di cremazione, è solo impossibilitato a firmare la manifestazione di volontà si applica, senza troppi problemi l’art. 4 del D.P.R. n. 445/2000.
Se il Comune de quo, seguendo alla lettera il dettato della Legge n. 130/2001, prevede la redazione di apposito processo verbale del dichiarante dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile, l’unica soluzione possibile è ricorrere al NOTAIO, ex Legge n. 89/1913, cioè all’unico pubblico ufficiale legittimato ad accogliere dichiarazioni di volontà fuori sede, seppur limitatamente al proprio distretto di competenza. L’ufficiale di stato civile, infatti, non può agire fuori della casa comunale, eccetto per la fattispecie di cui all’art. 110 Cod. Civile.
x CARLO
SALVE cARLO
IL CONIUGE DEL DEFUNTO è DEAMBULANTE A LETTO I FIGLI VOGLIONO FARE CREMAZIONE DEL ALTRO GENITORE COME SI Fà??????
saluti