Cara Redazione,
scrivo dalla Regione Emilia Romagna. Mi è stato chiesto se è possibile fare cremare un feto di circa 28 settimane, la cui nascita non è stata dichiarata all’ufficio di Stato civile, ho letto che la cremazione di feti, prodotti abortivi è possibile, ma il problema è chi deve autorizzare la cremazione?
Dovrebbe essere l’Ausl, ma l’Ausl non l’ha mai agito in tal senso, ha, infatti, sempre autorizzato solo il trasporto. Chi è competente ad autorizzare detta cremazione e con quali modalità.
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Risposta:
La stessa legge regionale dell’Emilia Romagna 29 luglio 2004 n. 19 al suo Art. 11 (con relativi provvedimenti a cascata d’implementazione es. DGR n. 10/2005) non prevede alcunché che possa ricondurre alla possibilità di cremare i feti che non siano stati dichiarati come nati morti all’Ufficiale di Stato Civile.
Le Regioni, come la Lombardia, che hanno posto mano a questa disciplina, hanno annoverato la possibilità che i genitori chiedano all’ASL l’autorizzazione al seppellimento del feto, ma non la cremazione.
Allo stato, quindi, non esiste alcuna norma regionale che contempli espressamente la cremazione del feto, ma nemmeno sussiste un divieto imperativo e categorico, specie a livello nazionale e non dimentichiamo, stiamo pur sempre ragionando di diritti della personalità, civili e sociali, in quanto tali tutelati solo dalla legge statale ex Art. 117 Cost.
Invero, rifacendoci all’, per certi versi anacronistico, articolato del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, possono sussistere due distinte linee ermeneutiche secondo cui:
– per la inumazione o la tumulazione del prodotto abortivo varrebbe quanto stabilito dall’art. 7 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 mentre nessuna altra pratica funebre (in questo caso la cremazione) possa essere ammessa. E’ l’ipotesi più letterale e restrittiva.
– per la inumazione o la tumulazione del prodotto abortivo si potrebbe seguire il disposto dell’art. 7 in termini di spettanza nel rilascio delle autorizzazioni, tuttavia non essendo vietata la cremazione (anzi, essendo esplicitamente citata all’art. 3, comma 4 D.M. Interno, di concerto con la Salute 1° luglio 2002), si potrebbe seguire la procedura prevista per la cremazione di un cadavere e cioè con la richiesta di tutti e due i genitori (entrambi e congiuntamente, dopo la L. 8 febbraio 2006, n. 54) per ottenere l’autorizzazione alla cremazione.
A questo assunto si perviene anche alla luce delle istruzioni amministrative del punto 14.2) della Circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, in relazione alla cremazione di minori, successivamente considerata anche all’art. 3, comma 1, lett. b), n. 4) L. 30 marzo 2001, n. 130, seppure si tratti di norma che – sul piano nazionale – non sia ancora pienamente attuabile.
Il punto cruciale in diritto è dato dal fatto che, anche quando sia richiesto, il prodotto abortivo ed assimilato non potrebbe essere considerato neppure un minore non avendo acquisito la capacità giuridica (art. 1 Cod. Civile) questione che si riverbera e sulla cittadinanza e sul rapporto di filiazione (specie se naturale, salvo il caso, generalmente non particolarmente diffuso, di già intervenuto riconoscimento di nascituro).
Tuttavia, proprio l’esplicita formulazione dell’art. 3, comma 4 D.M. 1° luglio 2002, emanato principalmente sotto il profilo tariffario, consente di sostenere che le modalità di cui all’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 possano essere ritenute vigenti per quanto riguarda la competenza soggettiva e funzionale alle autorizzazioni, attribuita, in questo frangente, all’A.S.L.
Ciò in ragione del fatto che non vi è stato acquisto della capacità giuridica, tuttavia il dettato dell’ormai vetusto Art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 deve essere valutato in termini evolutivi, per quanto riguarda le pratiche funerarie ammissibili, dilatando tali opzioni dal solo e semplice “seppellimento” (generalmente, inumazione, anche se è pure lecita, con qualche ombra, anche la tumulazione in relazione all’art. 50, comma 1, lett. d) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, allorquando sussista la condizione dell’immediatamente precedente lett. c)), anche al rito cremazione
L’estensione alle tre tipologie di sepoltura effettivamente esperibili nel nostro Ordinamento Giuridico (inumazione, tumulazione e cremazione), tra l’altro, è considerata anche per le parti anatomiche riconoscibili dall’art. 3, comma 2 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, consentendo, anche nello spirito della L. 30 marzo 2001, n. 130, di ritenere che il soggetto interessato possa fare ricorso, analogicamente, a tali pratiche funerarie, senza limitazioni di ordine legale.
Ovviamente, trattandosi di un onere a carico della struttura sanitaria laddove l’espulsione del prodotto del concepimento è avvenuta, qualora vi sia richiesta di parte per una specifica pratica funeraria, per di più a titolo oneroso, è naturale come l’onere venga a porsi in capo al soggetto richiedente.
Reputando, a questo punto, legittima, la cremazione dei prodotti abortivi ed esiti ad essi assimilabili (= materiale biologico umano), deve anche ammettersi la conseguente applicabilità delle forme di conservazione e/o destinazione delle ceneri che ne risultino previste dalle norme, anche regionali, laddove promulgate, con esclusione netta della dispersione delle ceneri in natura, poiché ex Legge n. 130/2001 per ottenere lo sversamento del contenuto dell’urna, in ambito extra cimiteriale, occorrerebbe un’espressa volontà del de cuius; intimo desiderio che chi non è mai nato non potrebbe, in ogni modo, aver manifestato compiutamente, nemmeno solo in forma orale, sarebbe, quindi, un’indubbia forzatura, fuori da ogni aprospettiva ordinamentale.