Esito, a nostro avviso esiziale, di un possibile diritto di proprietà formale, molto teorico, per altro, esercitato dal famigliare sul cadavere del de cujus è ben evidente negli sviluppi logici di taluna giurisprudenza minoritaria particolarmente votata all’argomentazione categoriale.
Secondo questi orientamenti anche piuttosto estremi, a titolo esemplificativo, dopo aver qualificato il corpo inanimato come res extra commercium, grazie a più pronunce di merito, si veda: Trib. Terni, 28/02/2011 “[…] il diritto del familiare di disposizione del cadavere altrui (che costituisce una cosa extra commercium) non integra un diritto personalissimo ma, esclusivamente, un diritto privato non patrimoniale, desumibile dalla consuetudine, che spetta ai congiunti del defunto in ragione del sentimento di pietà che li lega allo stesso (ex plurimis cfr. Trib. Torino, 16 ottobre 1995), Trib. Roma, Sez. terza del 23 febbraio 2012 […];” si aggiune, poi, nelle motivazioni della sentenza, che il diritto familiare di disposizione del cadavere altrui non sarebbe un diritto personalissimo, ma un diritto privato non patrimoniale, mentre questo diritto non sarebbe riconducibile all’ambito applicativo dell’art. 5 Cod.Civile, invocabile soltanto quando il relativo atto dispositivo su cosa futura (artt. 813 e 1348 Cod. Civile?), per estensione, sia posto in essere dal vivente.
La non ascrivibilità dello jus sepulchri al novero proprio dei puri diritti della personalità, come tale intrasmissibili, si ritiene peraltro confermato dalla previsione di cui all’art. 3, lett. g), l. n. 130/2001, con cui si attribuisce all’ufficiale dello stato civile il potere di autorizzare, ex officio, la cremazione delle salme inumate da almeno dieci anni e delle salme tumulate da almeno venti anni, ovvero dei resti mortali, degli indecomposti, anche senza il preventivo assenso (atto volitivo o di semplice non contrarietà?) dei congiunti, ove non sia stato possibile reperirli, entro i termini di conclusione del procedimento istruttorio.
Ora, con riferimento alla pìetas verso i defunti o alla decisione in tema di destinazione del cadavere o alla sistemazione delle sue ceneri, reputare lo jus sepulchri alla stregua di un diritto soggettivo non patrimoniale, separato e scisso dalla persona, solleva non pochi dubbi sia in ordine alla sua portata più strettamente dogmatica, sia a quella di carattere funzionale. Sembra evidente, invece, che si tratti di un diritto della personalità volto a soddisfare interessi che fanno capo alla sfera personale e relazionale dell’individuo, al pari di altri diritti che hanno per oggetto interessi non patrimoniali derivanti da vincoli familiari o affettivi.
Convince poco pure l’utilità ermeneutica dell’indice normativo invocato, posto che esso considera il caso in cui il diritto facente capo ai «prossimi congiunti» non venga esercitato e comunque tendente a tutelare un interesse di natura senz’altro diversa da quella dell’interesse sotteso a quel medesimo diritto. In ultima analisi, con riguardo al corpo inanimato, esso non è una res che assurga a oggetto del diritto, ma un’entità valoriale, il corpo, sulla quale si radica l’interesse del soggetto in ragione, come giustamente dice la giurisprudenza da ultimo citata, «del sentimento di pietà» che ad esso lo unisce e fonde.