La Corte Costituzionale, a seguito di ricorsi presentati da più regioni, con sent. n. 199/2012 del 17-20 luglio 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 4 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modifiche, con L. 14 settembre 2011, n. 148.
La sentenza rimette in gioco, ancora una volta, le forme di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, sollevando ulteriori elementi di instabilità della normativa specifica ed è destinata a produrre effetti anche su norme successive a quella dichiarata affetta da illegittimità costituzionale.
In sostanza la Corte Costituzionale ha rilevato che il Governo (allora Berlusconi, ma poi confermato e accentuato da Monti) non poteva, come il Parlamento, disattendere il volere popolare contrario alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (e non solo per l’acqua ma per tutti i servizi aventi rilevanza economica), espresso con un referendum. Vedi anche Effetti referendum
E inoltre che i limiti posti alle in house in Italia erano superiori a quelli stabiliti in sede europea. Si torna pertanto alla situazione post referendum e prima del decreto 138/2011: cioè gli enti locali sono liberi di decidere se e quando privatizzare i servizi pubblici locali e non vi è obbligo di cessione delle imprese pubbliche locali. Uno smacco considerevole per il “Catricalà pensiero” …. ”
Non c’e’ vuoto normativo – precisa Adolfo Spaziani, direttore di Federutility -. Alla normativa per i servizi pubblici locali suppliscono le norme comunitarie”. L’Europa, chiarisce Spaziani, prevede tre forme di gestione: in house, miste, o l’affido a terzi. In questo modo ”sono di volta in volta i soggetti (i Comuni NdR) che decidono quale usare”. In questo momento insomma ”non c’e’ un impedimento a fare, ne’ uno a non fare”. L’auspicio, osserva Spaziani, e’ quello di ”un intervento del governo senza fermarsi ancora una volta sulla normativa, che gia’ c’e’; si guardi invece agli investimenti, alla crescita e all’efficienza.
E le cose – osserva – si rimetteranno a posto”. Secondo il direttore di Federutility si dovrebbe ”cominciare col lasciar fallire le aziende che vanno male e premiare invece quelle che vanno bene”.
Con sentenza n. 200/2012, sempre in data 17 con deposito il 20 luglio 2012, la Suprema Corte ha pure dichiarato la illegittimità del comma 3 dell’art. 3 del citato DL 138/2011, ma la portata di questa pronuncia è molto più limitata e quindi resta in pieno il principio che è consentito effettuare tutto ciò che no è espressamente vietato.
Restano i principi da recepire nei vari ordinamenti delle Regioni e degli Enti locali tesi a favorire la libertà di intrapresa, ma non vi è l’automatica cessazione delle norme statali al 30 settembre 2012: occorrono provvedimenti specifici.
All’interno del sito www.funerali.org, nell’AREA NEWS, è possibile reperire i testi integrali delle due sentenze della Cassazione.
La decisione della Corte Costituzionale, che segue i ricorsi regionali presentati dopo il referendum, riafferma oggi l’esistenza e il necessario riconoscimento di un vincolo referendario a cui il parlamento è tenuto a sottostare, non potendo legiferare in maniera contraria o difforme da quanto emerso dalla consultazione popolare. In caso contrario, la riproposizione in norme di quanto abrogato da un referendum si traduce nella violazione dell’art.75 della costituzione, istitutivo dell’istituto referendario. La decisione della Corte comporterà di conseguenza l’annullamento di ogni decreto e provvedimento emesso successivamente al referendum in palese contrasto con l’esito referendario.
La sentenza è una grande vittoria per gli oltre 27 milioni di italiani che hanno votato per il referendum!