Il sistema funerario italiano, basato non tanto sulla prestazione di un servizio, ma sulla fornitura di beni impiega materiali e tecniche costruttive di derivazione ottocentesca come legno massello, zinco (o, addirittura, piombo!), saldatura a fuoco del cofano. Questa scelta così conservativa si traduce in alti costi di lavorazione e smaltimento, perchè nessun costruttore sembra considerare la fase finale nel ciclo di vita di un prodotto, quando esso da bene di consumo diventa rifiuto cimiteriale ai sensi del DPR 15 luglio 2003 n. 254.
Il DPR 285/1990 presentava notevoli aperture (Art. 31 ed Art. 75 comma 3) verso nuove soluzioni come la cellulosa o la plastica biodegradabile in Mater bi, ma al di là dei sempre utili dispositivi ad “effetto impermeabilizzante” (D.M. 7 febbraio 2007 e D.M. 28 giugno 2007 e D.M. sostitutivi del nastro metallico non si è andati e la cassa in cellulosa di cui al D.M. 12 aprile 2007 forse non ha rappresentato una storica rivoluzione verso una sorta di ecologia funeraria (leggasi: esequie ecocompatibili). In altri Paesi, non certo barbarici, ma di solida tradizione civile da anni s’impiegano bare a basso impatto ambientale e nessuno si scandalizza.
L’autorizzazione per nuovi materiali da impiegare nelle casse funebri (Artt. 31 e 75 DPR 285/90) e per valvole e altri dispositivi (art. 77 DPR 285/90), anche dopo il DPCM 26 maggio 2000 e la Legge Costituzionale n. 3/2001 di riforma al Titolo V Cost. è materia che resta allo Stato, sulla base di un cavillo normativo (per altro, già utilizzato nel 2002 per l’emanazione delle autorizzazione all’uso dei manufatti “barriera” con D.M. 7 febbraio 2002 e D.M. 9 luglio 2002), ritenendo tali fattispecie inquadrabili nella previsione di cui all’art. 115, comma 1, lettera b) del D.Lgs 112/1998; siccome si tratta di atti non tanto amministrativi, quanto meramente normativi (Cir c.Min. p.n. 400.VIII/9L/1924 del 21/5/2002), anche se tale potestà di normazione, a rigore, spetterebbe, comunque, alle regioni, ai sensi dell’Art. 117, comma 4 Cost.
Alcune regioni (esempio: Lombardia, Art. 7 comma 3 Legge Regionale n. 22/2003 ed allegato 3 Reg. Reg. 9 novembre 2004 n. 6; Friuli Venezia Giulia Art. 6 Legge regionale 13 ottobre 2008, n. 11 per la cremazione richiedono eslicitamente cofani “light”, leggeri, realizzati anche con materie prime diverse dal tradizionale legno.
Anche la Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24 suggeriva, in caso di cremazione, la scelta di cofani di legno dolce e con gli spessori minimi, pur mantenendosi nell’alveo del DPR 10 settembre 1990 n. 285 (Artt. 30 e 75).
Per i resti mortali, invece, il problema proprio non sussiste, almeno dopo la Circ. Min. 31 luglio 1998 n. 10 e la risoluzione Ministero della Salute p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004.
Niente di strano, allora, se a TanExpo 2010 un audace espositore propone casse di vimini o cartapesta realizzate a stampo, in un unico blocco, specificamente indicate per l’incinerazione, davvero belle ed originali.
Molte regioni che, pure, hanno legiferato in tema di polizia mortuaria si sono astenute dall’intervenire sulla produzione delle bare, per una semplice ragione: la cassa mortuaria assolve anche la funzione di movimentazione e trasferimento del cadavere, una disciplina locale ad hoc, che sconterebbe il pesante limite della competenza territoriale (quando, in un trasporto funebre, vi sia extraterritorialità prevalgono sempre la norma statale, cioè il DPR 285/1990 e quella internazionale della Convenzione di Berlino 10 febbraio 1937) costringerebbe all’adozione di un doppio binario regolamentare, l’uno per i trasporti “intra moenia”, l’altro per quelli “extra moenia”, con notevoli diseconomie e costi aggiuntivi per imprese ed utenti dei servizi funerari.