Un comune, dopo avere destinato alcune aree cimiteriali alla costruzione di cappelle funerarie, proceduto all’assegnazione, nonché al rilascio delle autorizzazioni necessarie alla loro costruzione ha ritenuto di annullare, avvalendosi del potere di auto-tutela, sia gli atti di concessione sia le autorizzazioni alla costruzione, oltretutto a lavori pressoché ultimati. Comprensibilmente, la persona concessionaria, ritenendosi di tutelare la propria posizione e il legittimo affidamento così formatosi, ha presentato ricorso, non accolto in 1° grado, per cui ha proposto appello, su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4302 (reperibile anche nella sezione SENTENZE per gli Abbonati PREMIUM).
A fondamento delle propri ragioni il comune aveva argomentato con 3 motivi: a) la destinazione delle aree era avvenuta con deliberazione della giunta comunale e non di consiglio comunale, b) l’esigenza di disporre di adeguata superficie per le inumazioni ordinarie (art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), c) l’esigenza (opportunità?) che le assegnazioni di aree (art.90 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) abbia luogo secondo procedure ad evidenza pubblica.
Nella sua pronuncia il Consiglio di Stato formula la considerazione per cui l’amministrazione comunale avrebbe dovuto ponderare con maggiore rigore e in modo tempestivo gli interessi pubblici e privati, sottesi alla vicenda in esame, per evitare di adottare atti che, per le ragioni esposte, sono illegittimi per violazione dei presupposti contemplati dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Dalla vicenda si possono anche formulare altre considerazioni, come quella per la quale la questione delle procedure di assegnazione di aree cimiteriali costituisce/costituirebbe materia del Regolamento comunale di polizia mortuaria. Ma di maggiore rilievo il fatto che tali concessioni sono sottoposte ad una pre-condizione di legittimità, cioè alla previsione del Piano Regolatore Cimiteriale, essendo stata superata la previgente “autorizzazione Prefettizia”, con ciò responsabilizzando i comuni nella programmazione cimiteriale. Oltretutto, la programmazione cimiteriale richiede di essere preventivo (altrimenti che programmazione sarebbe?), tenendo conto non solo della “domanda”, ma prima di tutto di quelli che sono gli “obblighi” che i comuni hanno in questo ambito dati, oltre che dall’art. 337 T.U.LL.SS., da quanto disposto dall’art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (escludendo quanto indicato al succ. art. 59). O, in altre parole, le destinazioni considerate da quest’ultimo art. 59 non comportano obblighi di assicurarne una disponibilità, ma solo opzioni da operare in sede locale, bilanciando i diversi interessi.
Non affrontiamo, intenzionalmente, qui la questione de il P.R.C. rientri nella competenza della giunta comunale o del consiglio comunale, questione che trova risposta nell’art. 42, comma 2, lett. b) T.U.E.L., limitandoci a concludere con la considerazione del fatto che il già citato art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (norma che dovremmo sempre enunciare precisando: “e s.m. ) non consideri solo le inumazioni richieste al momento della (prima) sepoltura, ma anche quelle previste dall’art. 86, commi 2 e ss. d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, nonché (ultimo periodo del comma 2) quelle per l’eventualità di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni: criterio che, in alcune realtà, è emerso in tutta la sua rilevanza nel corso dell’emergenza da CoVid-19. Certo, non è facile prevedere “eventi straordinari”, men che meno quantificarli in via preventiva, ma tenerne conto o – almeno – non ignorare che possano avvenire. Purtroppo, quando intervengano è sempre troppo tardi (specie considerando come le “domande” tendano a comprimere gli spazi previsti per le diverse destinazioni, magari col risultato (apparente) che vi siano aree (apparentemente, intenzionalmente ripetendoci) inutilizzate.