Con la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 16 novembre 2021, n. 7639 (per gli Abbonati PREMIUM accessibile dalla Sezione SENTENZE) si ritorna a considerare il tema della perpetuità, in questo caso ri-confermando impostazioni “storiche”, anche se qualche altra pronuncia, anche dello stesso Consiglio di Stato, sembrava lasciare intendere un qualche, seppur prudente, mutamento d’indirizzo.
Fino a che sia stata ammessa la possibilità di porre in atto concessioni cimiteriali anche in perpetuità – allora era possibile sia questa “durata” (ovviamente, costituisce un palese ossimoro parlare di “durata” in relazione alla “perpetuità”, la quale esclude una finitezza dei termini temporali; sarebbe preferibile parlare di “tempo indeterminato”, ma anche ciò non esplicita la questione di fondo) sia una durata a tempo determinato, e questa ultima non soffriva di limitazioni temporali – in diverse realtà (verrebbe da dire, in larghissima maggioranza) vi era la presenza di orientamenti che portavano a concessioni cimiteriali perpetue, al punto da far generare il convincimento che questa fosse, in qualche modo, lo standard e non una delle possibilità.
Questa tendenza era sorta da situazioni contingenti, cioè dal fatto che le quantità di concessioni cimiteriali, specie di aree, con “durata” perpetua fosse così minoritaria da non influire sul “fabbisogno”, unitamente alla percezione che la “domanda” delle diverse tipologie cimiteriali fosse stabile, come stabili fossero le esigenze gestionali nei cimiteri.
In realtà, nel tempo (e ciò rientra nella norma per cui è fisiologico che le situazioni mutino nel tempo) si sono registrare rilevanti mutamenti nella tipologia delle concessioni cimiteriali, anzi, più estesamente, nelle diverse pratiche funerarie.
Più recentemente, la progressiva crescita dell’accesso alla cremazione ha accelerato questi mutamenti nella “domanda” tra le diverse tipologie di sepolture, al punto che, qui o là, si stanno registrando “deficit” (rispetto a situazione anche solo di 10 o 20 anni addietro) di “domanda” rispetto ad alcune tipologie.
Questi mutamenti fanno sempre più emergere l’evidenza di quanto risultino essere state (rilevandolo col senno di poi) le concessioni perpetue, che assumono una valenza di irrigidimento del patrimonio cimiteriale, sempre più evidente, anche avendo presente come le stesse composizioni delle famiglie siano state interessate a propria volta a mutamenti (es.: passando da famiglie tendenzialmente abbastanza numerose a famiglie con pochi discendenti).
L’istituto della perpetuità implicherebbe l’inesistenza del tempo, il ché non è (se sia permessa una battuta, se non esistesse il tempo non avremmo neppure il GPS).
Sempre più divenga chiaro che le concessioni cimiteriali perpetue sono un fattore di rigidità, che, oltretutto, non corrisponde più a reali bisogni delle famiglie concessionarie.
Certo, occorrerebbe un qualche intervento legislativo (statale, trattandosi di ordinamento civile; art. 117, comma 2, lett. i) Cost).
Non si ignora come una regione sia intervenuta in materia, magari fidando (non si hanno elementi per affermarlo) sul fatto che eventuali interessati ne abbiano conoscenza solo a posteriori che contemperando, bilanciando le diverse posizioni soggettive/assicurando una tutela quando necessaria, prendendo atto dell’esaurimento della funzione quando ciò sia avvenuto possa consentire di superare le criticità, le rigidità degli effetti di scelte compiute nel passato, cioè quando il “quadro di riferimento” era del tutto diverso.