Il TAR Lombardia, sede di Milano, Sez. IV, 12 gennaio 2023, n. 136, pronuncia reperibile per gli Abbonati PREMIUM alla Sezione SENTENZE, è stato chiamato a pronunciarsi su di una pluralità di questioni che, per loro natura, sono distinte ed operanti su piani del tutto diversi, mettendo assieme impostazioni veramente grossolane.
Le argomentazioni cui è stato fatto ricorso lasciano trasparire “ispirazioni” altrui, provenienti da ambienti pervasi di logiche predatorie, ma carenti di strumenti attraverso cui poter conseguire l’esito voluto, forse anche per l’incapacità di dare ai concetti il significato loro proprio.
Si parte dal “mescolare” attività funebre con gestione cimiteriale. Non si coglie la differenza tra gestione diretta ed affidamenti a soggetti terzi.
Si confonde il diritto d’uso con l’esecuzione di talune operazioni cimiteriali. Si equivoca tra principi (attivi ed assicurati) di libertà d’impresa con il diritto di stabilimento (che attiene al luogo in cui si svolge l’attività d’impresa).
Non va invidiato il T.A.R. adito per avere dovuto “disintrecciare intrecci”, che un seppur minimo approccio coerente avrebbe evitato.
Per questo, oltre ad un invito alla lettura della pronuncia, merita di riprodursene le massime che ne discendono.
[I] La comunicazione ex art. 10 bis L. 241/1990 è dovuta esclusivamente nei procedimenti avviati su istanza di parte, nei quali il privato rivolge all’Amministrazione domanda di emissione di uno specifico provvedimento.
Nel caso di specie, invece, la società ricorrente presentava alla P.A. una comunicazione di inizio attività, che non costituisce un’istanza, e non integra i presupposti per l’operatività del citato art. 10 bis.
La giurisprudenza, in termini che il Collegio condivide appieno, ha infatti avuto modo di chiarire, al riguardo, che: «La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività, che non è un’istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo tipicamente da concludersi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge, nelle forme della c.d. autoamministrazione, comporta che l’Autorità procedente non deve comunicare al segnalante l’avvio del procedimento (che lui stesso ha innescato) o il preavviso di rigetto ex art. 10- bis, l. n. 241/1990 prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori» (TAR Veneto, II, 21 giugno 2022, n. 1064; cfr: Consiglio di Stato, V, 18 febbraio 2019 n. 1111; TAR Campania, Napoli, IV, 3 dicembre 2021 n. 7772).
[II] Vanno sempre tenute distinte le due fattispecie (servizi cimiteriali da un lato, e servizio funerario dall’altro) in modo netto, stabilendo che i servizi connessi alla custodia del cimitero (bene demaniale ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c.) e alla gestione integrata dello stesso, comprensiva delle operazioni di inumazione, tumulazione, esumazione ed estumulazione (servizi cimiteriali), sono curati «direttamente dal Comune», il quale potrà svolgerli in proprio, ovvero mediante esternalizzazione con affidamento a terzi.
Mentre i servizi cimiteriali (gestione e custodia del cimitero che è bene demaniale, nonché inumazione, esumazione, tumulazione ed estumulazione) costituiscono un servizio pubblico che fa capo al Comune, il servizio funebre, pur assoggettato alla normativa di settore, è un’attività privata, di carattere imprenditoriale.
Inoltre, la sepoltura è prevista in aree o manufatti comunali, che possono formare oggetto di concessione in uso ai privati e l’uso e la manutenzione dei beni oggetto di concessione spetta ai concessionari.
[III] Non può rilevarsi sussistere alcuna lesione, da parte del Comune, del c.d. ius sepulchri spettante ai concessionari di aree cimiteriali, quando vi sia, anche in norme regolamentari locali, tutela della libertà di scelta del concessionario nell’ambito delle attività non rientranti nella gestione cimiteriale e nelle attività di sepoltura e dissepoltura, e cioè con riferimento al servizio funebre comprensivo di trasporto e prestazioni connesse, e di manutenzione degli spazi concessi in uso ai privati, concessioni che non attribuiscono alcun diritto afferente all’erogazione delle prestazioni cimiteriali di inumazione, tumulazione, esumazione ed estumulazione.
[IV] Le coordinate ermeneutiche necessarie alla risoluzione della questione riguardante la conformità all’art. 49 TFUE si rinvengono nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e in particolare della Sentenza della Sezione III, 14 novembre 2018 n. 342, in C-342/17.
Nell’emarginata pronuncia, la Corte evidenzia come non possa ravvisarsi alcuna lesione dei principi recati dall’art. 49 del TFUE quando l’esercizio imprenditoriale di una determinata attività sia precluso per ragioni imperative di interesse generale: «47 […] l’articolo 49 TFUE osta a qualsiasi misura nazionale che costituisca una restrizione della libertà di stabilimento, salvo che tale restrizione sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale (v., in questo senso, segnatamente, sentenza del 5 dicembre 2013, Venturini e a., da C-159/12 a C-161/12, EU:C:2013:791, punti 30 e 37.» (C.G.U.E., 14 novembre 2018 n. 342, in C-342/17). Tra tali esigenze, legittimanti eventuali deroghe alla libertà di stabilimento, vanno certamente ricomprese quelle di natura sanitaria.
Orbene, nell’escludere la sussistenza di siffatte ragioni con riferimento all’attività di conservazione di urne cinerarie, la Corte evidenzia come quest’ultima attività non ponga a rischio la pubblica incolumità, in ragione del carattere inerte del materiale (ceneri da cremazione) ivi conservato.
Ragionando a contrario, è invece del tutto evidente che le attività di sepoltura e dissepoltura consistenti nell’inumazione/tumulazione e nell’estumulazione/esumazione, avendo per oggetto resti umani non inerti, pongono, in termini di evidente rilevanza ed attualità, la necessità di tutela della salute pubblica.
In tal senso: «54 A questo riguardo, per quanto concerne, sotto un primo profilo, la giustificazione basata sulla tutela della salute, certamente da una costante giurisprudenza della Corte risulta che tale tutela figura tra le ragioni imperative di interesse generale riconosciute dal diritto dell’Unione, e che gli Stati membri, in questo ambito, dispongono di un ampio potere discrezionale (v., in questo senso, sentenza del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez, C-570/07 e C-571/07, EU:C:2010:300, punti 44, 68 e 106).
55 Tuttavia, un obiettivo di questo genere non può giustificare la restrizione controversa nel procedimento principale, dal momento che le ceneri funerarie, diversamente dalle spoglie mortali, sotto un profilo biologico sono inerti, in quanto rese sterili dal Ca., sicché la loro conservazione non può rappresentare un vincolo imposto da considerazioni sanitarie<e/em>» (C.G.U.E., 14 novembre 2018 n. 342, in C-342/17).
L’oggetto della presente controversia (sepoltura e dissepoltura di spoglie mortali non inerti) rientra pertanto appieno in quelle esigenze di carattere sanitario che integrano ragioni imperative legittimamente idonee a restringere (anche) la libertà di stabilimento di cui all’art. 49 citato”.
La conseguente riconduzione dei servizi cimiteriali nell’ambito dei servizi pubblici non si configura pertanto come lesiva dell’art. 49 del TFUE. Del resto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la legge attuativa della direttiva Bolkenstein (Direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo, cui la Repubblica Italiana ha dato attuazione con il D. Lgs. 16.3.2010 n. 59) esclude dall’ambito di applicazione della relativa disciplina tutti i servizi connessi alle funzioni che hanno per oggetto la salvaguardia degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche (art. 2 comma 1 lettera ‘a’ D. Lgs. 59/2010), nonché i servizi pubblici assicurati alla collettività in regime di esclusiva da soggetti pubblici o da soggetti privati che operino in luogo e sotto il controllo di un soggetto pubblico (art. 2 comma 1 lettera ‘c’ D. Lgs. 59/2010); dunque anche i servizi cimiteriali, come qui definiti.
Né si ravvisano profili di incompatibilità con l’art. 41 della Costituzione, che espressamente individua, quali limiti legittimamente apposti alla libertà dell’iniziativa economica privata, l’utilità sociale e la pubblica sicurezza, concetti ai quali può certo ricondursi la salute della collettività comunale, a salvaguarda della quale è posta la qualificazione dei servizi indicati alla stregua di servizi pubblici locali.
È il caso di precisare come sia consistente, sotto i profili che vengono in rilievo, la distanza tra l’attività svolta da un’impresa nel libero esercizio della propria iniziativa economica, e quella esercitata in virtù dell’affidamento di un servizio da parte di un ente pubblico.
Solo nel secondo caso, invero, il soggetto pubblico, in quanto originario titolare del servizio, può individuarne specificamente le modalità di esecuzione, può esercitare sulle stesse un pieno controllo e può garantire la tutela, in attività sensibili sotto il profilo della protezione della salute pubblica, degli standard di erogazione richiesti dall’ordinamento generale e dalle condizioni peculiari della specifica comunità di riferimento.
Risultano (a titolo esemplificativo) strumentali a garantire tale potere di controllo dell’ente aggiudicatore, in fase di esecuzione del contratto derivante dall’affidamento del servizio, gli istituti di cui al Titolo V del D. Lgs. 50/2016, e in particolare quelli disciplinati agli artt. 101 (soggetti deputati al controllo dell’esecuzione dei contratti), 105 (divieto di cessione del contratto e limiti al subappalto), 106 (modifiche ai contratti in corso di validità), 107 (sospensione dell’esecuzione del contratto da parte della PA), 108 (risoluzione da parte della PA) e 109 (recesso della stazione appaltante).
E, conclusivamente, anche un invito a non lasciarsi indurre in tentazioni (che poi sono di breve respiro) da parte di sedicenti sirene … zoppicanti.