La morte è un accadimento naturale: lo ha constatato anche il Consiglio di Stato nella sentenza della Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 22, al solito reperibile anche nella sezione SENTENZE per gli Abbonati PREMIUM, in cui, affrontando una controversia relativa alla localizzazione di attività funebre e di sale del commiato, ha affermato che l’attività di onoranza funebre è compatibile con la funzione residenziale, mentre non lo è quella della sala del commiato, richiedendo quest’ultima un’espressa previsione di piano territoriale. Anzi, il Consiglio di Stato ha considerato che” … essendo la morte un accadimento naturale che colpisce la popolazione residente, il servizio funebre è svolto nell’interesse di quest’ultima e, pertanto, deve ritenersi consentito nelle zone a vocazione residenziale.
Né l’incompatibilità può ritenersi sussistente in ragione del ritenuto “contrasto tra il desiderio di una vocazione di vita residenziale serena e la tipologia di servizio dell’onoranze funebre nel comune sentire”. L’allontanamento del pensiero della fine della vita e del dolore che a questa si accompagna, che si pretende di ottenere attraverso il divieto di allocazione di tali strutture nei N.A.F., non costituisce un interesse tutelato dalla normativa urbanistica invocata, la quale si riferisce ad attività che impediscono o limitino fortemente la funzione abitativa, che è quella che connota la residenza (si veda in proposito l’articolo 15.3 delle Norme di Attuazione). L’attività di servizio funebre non risulta impeditiva ovvero limitativa di tale funzione….”, cogliendo come spesso vi sia una tendenza alla rimozione della morte, che coinvolge le attività a questa collegate. Del resto, questa rimozione ha colpito anche un’importante ed essenziale struttura associativa, in cui i condomini hanno inteso inibire l’uso di una targa “esplicita”, limitandola al un acronimo meno, o poco, esplicito.
Certo, tale distinzione si è fondata, nel caso di specie, su argomentazioni afferenti alla materia del c.d. governo del territorio, in particolare con riguardo a specifiche situazioni, la differenziazione così argomentata porta a formulare un’ipotesi, personale (e che, per questo, non coinvolge minimamente altri, né in termini di persone o di aggregazioni, con la puntualizzazione, rispetto a queste ultime, che ogni formulazione va sempre discussa all’interno, prima di assumere valenze a queste riferibili), cioè quella secondo cui potrebbe ben aversi la realizzazione di sale del commiato, nonché di case funerarie da parte di soggetti che intendano offrire questi servizi sul territorio, del tutto indipendentemente dall’esercizio dell’attività funebre.
Molto spesso risultano norme regionali, indotte, che tendono a riservare la realizzazione di queste strutture di servizio agli esercenti l’attività funebre, induzione che ha trovato fondamento nell’assunto di una vision volta a mettere a disposizione degli esercenti l’attività funebre prestazioni di maggiore valore, rispetto ad altri soggetti operanti nel medesimo ambito, come un veicolo per acquisire, nel contingente, un più ampio ventaglio di servizi. Nulla in contrario, ma non si può escludere che possano esservi soggetti che, prescindendo da queste motivazioni, possano ritenere d’investire nella realizzazione delle strutture per il commiato e/o delle case funerarie, contando di ricavare il debito utile d’impresa da questa (sola) attività, cosa che appare sostenibile, salvo solo un’ecessiva presenza di strutture svolgenti la medesima funzione in qualche ambito territoriale. Ma da ciò potrebbero conseguire anche altre conseguenze, prima delle quali quella di contrastare con alcune limitazioni (es.: esclusione, rispetto di determinate distanze) che spesso sono coniugate con la “riserva” a favore di specifici soggetti imprenditoriali. Si tratta di un’ipotesi che può anche non essere condivisibile, in particolare da chi legittimamente (allo stato) abbia provveduto ad iniziative d’impresa in funzione della vision cui si è già fatto riferimento, dato che ciò potrebbe ridurre (in situazioni estreme, eliminare) il vantaggio così acquisito. Solo che andrebbe considerato che, a mano a mano che più soggetti vi ricorrano sul medesimo ambito territoriale o nelle sua prossimità, questo effetto verrebbe a prodursi altrettanto: in altre parole, il “vantaggio” iniziale tende a ridursi progressivamente, allungando i tempi di recupero degli investimenti, quando non ostandovi, via via che altri intervengano in modo analogo.
Allora, perché non “immaginare” anche soluzioni alternative, meno costose per i singoli imprenditori e tali da assicurare – comunque – un servizio sul territorio e alla popolazione, alle famiglie quando interessate a quell'”accadimento naturale” da cui si è partiti?