L’illuminazione elettrica votiva è un servizio pubblico.

Subito dopo la vigenza dell’art. 34, comma 26 del D.-L. 18 ottobre 2012, n. 179, convert. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, quanti si occupano della materia erano rimasti  perplessi, non tanto per le finalità “dichiarate” quanto per gli strumenti così individuati per raggiungerle, oltreché per una sorta di “restrizione” degli istituti di esercizio del servizio di illuminazione elettrica votiva, considerando unicamente quello dell’affidamento in concessione.
Per  gli strumenti utilizzati per il “dichiarato” fine (aumento della concorrenza) è stato prevista una modifica al D.M. (Interno) 31 dicembre 1983 sopprimendovi le parole “e illuminazioni votive”, modifica che avrebbe comportato che i comuni “conseguentemente” (secondo il testo utilizzato) dovessero applicare “le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, e in particolare l’articolo 30 e, qualora ne ricorrano le condizioni, l’articolo 125”.
Ora il D.M. (Interno)  citato, e così modificato, altro non faceva, e fa, se non individuare i “servizi pubblici locali a domanda individuale”, originariamente ai fini e  per gli effetti dell’art.6 D.-L.  28 febbraio 1983, n.55, convert. in L. 26 aprile 1983, n.131 (in sostanza, rilevante ai fini della copertura percentuale dei costi complessivi finanziata da tariffe o contribuzioni ed entrate specificamente destinate), categorie che, oramai, riguardano i comuni in dissesto e/o in pre-dissesto.
Va detto  come una tale  “qualificazione” non possa portare a confondere i predetti servizi a domanda individuale (e la loro misura della copertura dei costi da parte di tariffe) con l’attuale definizione di “servizi pubblici locali”  quale, oggi, data dall’art. 112 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (ed il successivo art. 117 detta ben altri criteri per la fissazione delle tariffe). Non si cita, seppure sarebbe utile farlo, il più recente D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 e s.m., avendo questo riguardo ad una specifica modalità di gestione dei servizi pubblici locali.
Già altri, in precedenza,  si erano infortunati utilizzando erroneamente il D. M. (Interno) 31 dicembre 1983, ma ciò appartiene oramai alla storia. Il punto modale consiste nel fatto che la qualificazione quale “servizio pubblico locale a domanda individuale” nulla ha a che vedere con le modalità di esercizio dei servizi così qualificati:  si formuli (a titolo di esempio) il servizio di asilo nido oppure quello degli impianti sportivi, le cui forme di gestione sono plurime, mentre questa norma, non più recentissima, attiene alla misura del finanziamento da tariffe e simili.
Infine, l’affermazione  secondo cui i comuni possano  utilizzare solo 2 delle forme di gestione (una delle quali soggetta a condizione) previste dal Codice dei contratti pubblici (nel testo previgente) appare una sottovalutazione, o una rimozione, del fatto che il Codice dei contratti pubblici ammette uno spettro di forme ben più ricco. Del resto, vi è stata copiosa, quanto sempre uniforme, giurisprudenza amministrativa che ha costantemente qualificato l’illuminazione votiva (spesso aggettivata con la specificazione: elettrica) quale servizio pubblico locale, bellamente trascurando le disposizioni considerate all’inizio.
In proposito, non può non citarsi la pronuncia del TAR Lombardia, sede di Milano, Sez. IV, 26 gennaio 2018, n. 224 che ha considerato la controversia sorta tra un’azienda già avente la gestione del servizio pubblico di illuminazione elettrica votiva, con contratto ormai scaduto e che non aveva provveduto alla riconsegna dell’impianto, della documentazione amministrativa riferita al servizio e dell’elenco aggiornato degli utenti, richiedendo il previo pagamento del valore di riscatto dei beni, controversia in cui il TAR ha ritenuto che la gestione dell’impianto di illuminazione votiva del cimitero integra un’attività accessoria alla gestione del cimitero sul quale insiste l’impianto e, pertanto, configura un servizio pubblico direttamente correlato alla gestione del cimitero stesso, con la conseguenza che ai beni afferenti al servizio, per il cui esercizio era effettivamente necessario, acquisire anche l’elenco completo e aggiornato degli abbonati, si estende la tutela propria dei beni sottoposti al regime demaniale, ex art. 824, comma 2, C.C., ossia la tutela in via amministrativa, cui si riferisce l’art. 823, comma 2, C.C. Conseguentemente, ne deriva che il provvedimento impugnato esprime legittimamente il potere di autotutela esecutiva dell’amministrazione, perché esercitato su beni cui si riferisce tale forma di tutela amministrativa e detenuti sine titulo dall’azienda precedentemente interessata, a motivo dell’avvenuta scadenza del termine di durata della concessione.

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Sereno Scolaro

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