L’art. 338 T.U.LL.SS. (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.), così come l’art. 57 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 fanno riferimento a “centri abitati“, come criterio cui deve rispondere la determinazione della zona di rispetto cimiteriale, su cui, come noto ed in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Suprema Corte di Cassazione), insiste un vincolo d’inedificabilità assoluto.
Altrettanto, al concetto di “centro abitato” fa riferimento l’art. 3, comma 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130, questa volta prendendo in considerazione la pratica della dispersione delle ceneri, nel rispetto della volontà del defunto, ma, rispetto alle norme sopra ricordate, precisando “… la dispersione delle ceneri è in ogni caso vietata nei centri abitati, come definiti dall’articolo 3, comma 1, numero 8), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) …”.
Questa specificazione è particolarmente utile, facendo, per quanto riguarda le finalità per le quali essa è posta, riferimento ad un criterio preciso, quanto inequivoco.
L’espressione “centro abitato” (sia essa formulata al singolare, oppure al plurale) è poi anche presente in talune norme regionali (es.: art. 2, comma 1, lett. r L. R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, nel testo modificato (aggiunto) dall’art. 1, lett. c), r-quinquies L. R. (Friuli-Venezia Giulia) 9 giugno 2017, n. 22, solo per citarne una recente).
Se tale espressione, operante per la dispersione delle ceneri, appaia inequivoca, altrettanto non può dirsi per le fonti normative in cui difetti una altrettanta specificazione, sia che essa abbia analogo contenuto, sia che ne abbia uno differente.
In particolare, in materia di perimetrazione delle zone di rispetto cimiteriale, dove esse comportano anche un effetto sul (potenziale) valore dell’area rietrantevi, merita di richiamarsi alla pronuncia del T.A.R. Lazio, sede di Latina, Sez. I, 29 maggio 2017, n. 334, che ha affrontato questa tematica, affermando:
(a) che, ai fini della perimetrazione delle zone di rispetto cimiteriale non può farsi riferimento alla perimetrazione di “centro abitato” effettuata ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 8) dPR 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) la quale, per quanto costituisca l’unica definizione rinvenibile a livello normativo, vale solo ai fini dell’applicazione delle disposizioni di quest’ultimo (e, si aggiunge, anche ai fini della limitazione dei luoghi in cui possa avvenire la dispersione delle ceneri, in quanto – espressamente – richiamata e, per questo, sola ipotesi che si sottrae all’indirizzo interpretativo seguente), mentre
(b) per la perimetrazione delle zone di rispetto cimiteriale, il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 non fornisce una definizione espressa di “centro abitato”, ma all’interno di tale corpus normativo, al fine di indicare le abitazioni o gli agglomerati di abitazioni, si fa uso di plurime espressioni e, quindi, ai fini della distanza minima degli insediamenti umani di infrastrutture o attività nocive o potenzialmente nocive per la salute o l’igiene), assumono rilevanza l’art. 216 che, nel disciplinare l’ubicazione delle “lavorazioni insalubri”, stabilisce che esse debbano essere “ … tenute lontane dalle abitazioni …”, pur consentendo che esse a particolari condizioni possano insediarsi nello “abitato” e, analogamente, l’art. 205 che, nel disciplinare le coltivazioni di riso, demanda a un regolamento la fissazione delle distanze “… dagli aggregati e abitazioni e dalle case sparse … ”. Queste disposizioni del T.U.LL.SS. hanno una loro matrice unitaria, dato che in primo luogo tutelano igiene e salute pubblica, come dimostra la loro stessa collocazione nel testo unico delle leggi sanitarie (la norma sui cimiteri risponde anche ad ulteriori esigenze di rispetto del luogo destinato alla sepoltura dei defunti e di permettere un eventuale ampliamento dell’area cimiteriale, ma ciò non toglie che la sua funzione primaria sia la tutela della pubblica igiene e salute); se si muove da questo presupposto appare chiaro che l’uso delle espressioni “centro abitato”, “abitazioni”, “aggregati”, “case sparse” non ha carattere tecnico, quanto risponde semplicemente alla esigenza di designare, in coerenza con la ratio delle disposizioni citate, che è quella di proteggere la salute delle persone insediate, qualsiasi abitazione o aggregazione di abitazioni. Da queste considerazioni consegue che la distanza di 200 metri (in via generale ed, a date condizioni, riducibile ad un minimo di 50 metri) deve essere osservata non solo nei confronti di aggregati di abitazioni, ma altresì anche di singole abitazioni dato che, se lo scopo delle norme citate è quello di tutelare la salute delle persone che vivono in prossimità di cimiteri (o risaie e industrie insalubri nel caso delle altre norme), non v’è alcuna ragione per distinguere tra aggregati di abitazioni e singole case; a ciò si aggiunge un argomento di carattere empirico: se la disposizione dell’art. 338 si interpretasse nel senso che essa si riferisca solo ad aggregazioni di case, la conseguenza (a parte la difficoltà di definire, in assenza di qualsiasi indicazione normativa, quale sia la dimensione rilevante dell’aggregazione) sarebbe quella di consentire in modo pressoché generalizzato la riduzione della fascia di rispetto, con ciò contrastando con le finalità per cui la norma è posta.
Oltretutto, un tale vincolo non incide in termini – oggettivi – di una qualche “riduzione” nel valore delle aree assoggettatevi, dato che esso non modifica il valore sussistente al momento del sorgere del vincolo d’inedificabilità, rimanendo intatto il valore quo ante (anche se limita aspettative per un, del tutto eventuale, incremento di valore, qualora vengano a mutare le destinazioni d’uso; ma ciò, al momento dell’assoggettamento al vincolo d’inedificabilità cimiteriale, non è altro che una mera aspettativa).