Talora si ha la sensazione che la gestione degli impianti di cremazione sia considerata una mera “fase” di processi attivabili nell’immediato post mortem, anziché una pratica cui accedere per scelta personale, inserita in un complesso di attività, di fasi spesso di lungo respiro, impostazione che può assumere il carattere di un “qualche cosa” ascrivibile alla crescita di valore aggiunto di una serie strutturata di servizi.
Al contrario, l’art. 6, comma 2 L. 30 marzo 2001, n. 130, partendo dal presupposto che la cremazione costituisca un servizio pubblico (normativamente dall’ottobre 1987), ha previsto che la gestione dei crematori spetti a dati soggetti, cosa rispetto a cui vi è stato anche chi ha/avrebbe sollevato (senza ottenere risultato) questione di legittimità costituzionale, così come tentando di fare ricorso all’art. 49 T.F.U.E. (sul diritto di stabilimento, che peraltro non considera la qualità soggettiva degli agenti, quanto lo stabilimento (appunto) in data localizzazione).
Il Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2022, n. 5447 (reperibile per gli Abbonati PREMIUM nella Sezione SENTENZE) è intervenuto su tali questioni, con una serie, plurima, di considerazioni formulando (ma sarebbe maggiormente corretto parlare usare: “confermando”) una serie di principi di diritto di una certa rilevanza.
I. La perpetuità della concessione dell’area non ne esclude la revocabilità da parte dell’Ente concedente (se non addirittura l’automatica decadenza, meramente dichiarata dal Comune) quando viene meno il necessario nesso causale tra uso del suolo ed espletamento del servizio, atteso che, nell’ipotesi delineata, non sussiste più l’interesse pubblico che fonda l’istituto della concessione medesima.
II. In base alla vigente normativa, la pacifica natura del servizio di cremazione quale servizio pubblico locale di rilevanza economica, la cui gestione spetta ai comuni e in relazione al quale non sono applicabili i principi sovranazionali in tema di concorrenza e di libera iniziativa economica privata (cfr. Cons. Stato, V, 2 aprile 2019, n. 2175); ne consegue, altresì, l’incompatibilità della permanenza della concessione perpetua con la ratio normativa succitata.
III. Non è fondata la questione di costituzionalità questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 2 della Legge 130 del 2001 alla Corte costituzionale, nella parte in cui non contiene alcuna disposizione sulle concessioni perpetue preesistenti della fine del 1800 per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, atteso che tali concessioni verrebbero private della tutela della l. 241 del 1990 garantita nell’ipotesi di revoca, atteso che il servizio di cremazione è riservato alla gestione pubblica, e allo stesso non sono applicabili i principi costituzionali e sovranazionali in tema di concorrenza e di libera iniziativa economica privata.
Invero “non risponde a coerenza l’assunto che l’attività di cremazione delle salme si sostanzi nell’esercizio di un’impresa liberamente esercitabile da chiunque e soggetta alle dinamiche del mercato, dato che si tratta invece di un servizio pubblico, amministrativamente regolato sulla base delle disposizioni della legge n. 130 del 2001, in funzione del perseguimento degli interessi di carattere generale connaturati ad un’attività orientata a bisogni essenziali della persona; da questo inquadramento giuridico si trae un primo corollario, in base al quale le norme costituzionali e sovranazionali relative alle libertà economiche non sono immediatamente applicabili, nella misura in cui le stesse presuppongono un mercato formatosi per effetto dello spontaneo agire delle forze in esso presenti e sono quindi preordinate ad impedire assetti anticoncorrenziali dello stesso (la c.d. concorrenza nel mercato), laddove rispetto ad attività qualificabili come servizi pubblici – come si desume anche dall’art. 106, comma 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – la regolazione amministrativa ad essi relativa deve invece limitarsi ad assicurare che l’affidamento degli stessi ad operatori economici avvenga in condizioni di trasparenza, imparzialità, parità di trattamento e non discriminazione (la c.d. concorrenza per il mercato, che si attua principalmente attraverso il rispetto dei modelli di evidenza pubblica allorché per la gestione dei servizi pubblici l’amministrazione titolare ricorra ad affidamento a privati: si rinvia al riguardo alla sentenza della Corte costituzionale del 23 novembre 2007, n. 401). Nel settore dei servizi pubblici l’offerta per la relativa gestione ed il mercato che da essa si sviluppa è dunque esogena rispetto alle ordinarie dinamiche economiche, in quanto proveniente da una scelta discrezionale dei pubblici poteri di carattere organizzatorio, orientata ad interessi di carattere generale …” (Cons. Stato, V, 2 aprile 2019, n. 2175).
Del resto, la natura necessariamente pubblica del servizio di cremazione, così come l’incompatibilità della gestione diretta del servizio da parte di soggetti privati e la legittimità della cessazione automatica degli affidamenti diretti è stata confermata anche dall’AGCM nel parere AS1140-affidamento del servizio di cremazione del 21 luglio 2014, pubblicato sul bollettino n. 30 del 28 luglio 2014.
Non pare il caso di aggiungere altro, se non un invito, esplicito, ad una lettura attenta del dictum di questa pronuncia.