Nella distinzione tra sepolcro di famiglia o gentilizio (termine che ne è sinonimo), spesso l’attenzione viene data alle condizioni di una possibile trasformazione di un sepolcro originariamente familiare in sepolcro ereditario (ovviamente, quando non si tratti di sepolcro già originariamente ereditario), sottovalutando gli effetti che possono aversi a seguito di tale trasformazione.
È il caso affrontato dal TAR Abruzzo, sede staccata di Pescara, Sez. I, 2 gennaio 2021, n. 2, reperibile per gli Abbonati PREMIUM nella sezione SENTENZE, con cui è stata affrontata una situazione nella quale il concessionario, privo di eredi legittimari all’atto della morte, con testamento pubblico, ha nominato quale suo erede universale una data persona onerandola, tra l’altro, oltre che dell’assistenza vitalizia anche abitativa a richiesta, di provvedere “con ogni cura alla manutenzione anche straordinaria della cappella gentilizia nel cimitero curandovi altresì la mia sepoltura” e disponendo poi che “la cappella se e in quanto possibile ai sensi delle disposizioni vigenti all’epoca della mia morte passerà in proprietà del mio erede istituito, ma questi non potrà in alcun modo modificarne la destinazione e cioè dovrà rispettare le sepolture dei miei familiari ivi poste“.
Ne consegue che il “nuovo proprietario” non ha titolo a richiedere estumulazioni di defunti della famiglia del dante causa.
Se si vuole, potrebbe essere una “hereditas damnosa” e quanto ereditato abbia avuto contenuto delimitato al sepolcro e alla sua manutenzione, sepolcro che potrebbe essere fruito dall’erede se ed in quanto il sepolcro gentilizio residuasse presentare posti disponibili.
Del resto, finché sia stato in vigore il R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (cioè fino al 9/2/1976), il suo art. 71, comma 3 recitava: “La cessione o trasmissione lascia inalterati gli obblighi imposti dal comune all’originario titolare della concessione“, affermando un principio – in sostanza – analogo, nel senso che l’ammissibilità di quanto previsto al precedente comma 2, fatte sempre salve le condizioni di incompatibilità e la necessità di “riconoscimento” formale da parte della P.A., non consentiva una piena disponibilità del sepolcro acquisito da terzi, per tanto per atto tra i vivi o per atto di ultima volontà, segno che attorno ai sepolcri non operava quella titolarità che è considerata dall’art. 832 C.C.