Un tempo si credeva che l’abrogazione di una norma producesse la conseguenza che questa non potesse essere ulteriormente applicata, una volta intervenuta l’abrogazione.
Un parere espresso dal Consiglio di Stato, Sez. I, 31 agosto 2022, n. 1408 (reperibile per gli Abbonati PREMIUM nella Sezione SENTENZE) fa vacillare questa convinzione.
Infatti, in esso si affronta la descrizione del concetto di ius sepulchri, un po’ come quando a scuola si fa un tema, piluccando testi diversi dalle antologie e cercando di redigerne il testo in modo che appaia coerente, senza entrare nel merito sulle fonti utilizzate.
In questa compilation il diritto di sepolcro viene dichiarato:
“Il c.d. diritto primario di sepolcro sorge in capo al privato per effetto della concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (articolo 824 c.c.); è tale concessione, di natura traslativa, che crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, suscettibile di trasmissione inter vivos o successionemortis causa, che consiste … .
L’espressa citazione dell’art. 824, comma 2 C.C. è segnale che è ben noto l’assoggettamento al regime dei beni demaniali dei cimiteri, ma la parte in cui si dichiara che tale diritto presenti elementi di disponibilità sembra avere rimosso che questa possibilità era prevista dall’art. 71, comma 2 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (e non così liberamente come parrebbe dal testo citato): ora l’intero R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 è stato integralmente abrogato con l’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 (avvenuta il 10 febbraio 1976), per cui questa disponibilità è del tutto venuta meno, non solo per le concessioni cimiteriali sorte successivamente a tale abrogazione, ma neppure per le concessioni cimiteriali sorte in vigenza delle disposizioni così abrogate.
Ipotizzare che vi possa essere una “ultra-attività” applicabile alle concessioni cimiteriali sorte precedentemente all’abrogazione potrebbe essere possibile, a condizione che vi sia una qualche disposizione nella norma “abrogante” che la preveda, cioè che faccia salva una regolazione antecedente, magari stabilendo i modi e le condizioni per una tale salvaguardia.
Il ché non sussiste. Evidentemente, tali indicazioni possono trovare ragione d’essere solo se, nel farne tali cenni, non si sia tenuto conto che anche le norme mutano nel tempo, per più ordini di motivazioni, ma mutano.
Per questo sarebbe “cosa grata” (e proficua) che nella redazione di testi, quali essi siano, si tenga conto di questi aspetti e si richiamino istituti giuridici pertinenti, anche temporalmente (e, occorrendo, precisando le possibili “periodizzazioni”).