La Corte dei Conti sezione regionale della Campania è intervenuta on materia di "ricognizione da parte di un ente locale delle proprie partecipazioni per verificare la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 3 commi 28 e 29 della l. n. 244/2007 e sulla necessità di dare un’adeguata motivazione della ricognizione stessa, con decisione 24/4/2015 n. 143.
Secondo la Corte la valutazione che il Consiglio comunale è tenuto a compiere, analizzando le proprie società partecipate, deve riguardare:
– l’oggetto sociale effettivo (non solo quello formalizzato negli atti societari);
– la natura dei servizi offerti e la stretta inerenza ai compiti dell’Ente;
– le ragioni ostative ad un eventuale reinternalizzazione o comunque i benefici derivanti dal mantenimento del servizio in capo all’organismo esterno;
– il divieto di commistione fra attività strumentali e di erogazione di servizi pubblici locali (art. 13 comma 2 del D.L. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006);
– la situazione economica e patrimoniale della società, alla luce degli oneri di efficienza per gli amministratori e i soci, collegati ad obblighi di accantonamento e di liquidazione in caso di persistenti risultati negativi (nonché alle sanzioni per gli organi di amministrazione della società) ai sensi dell’art. 1 commi 551-555 della L. n. 147/2013;
– nel corso del 2015, la compatibilità del mantenimento della partecipazione con il piano operativo di razionalizzazione di cui alla Legge n. 190/2014 (art. 1, commi 611-615). Di seguito il testo della sentenza.
Campania 143/2015/PRSE
LA CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA CAMPANIAnelle camere di consiglio del 18 e del 23 febbraio 2015 e nell’adunanza pubblica del 13 aprile 2015
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;
visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL);
vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
visto il disposto dell’art. 3, comma 28 della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
Vista l’ordinanza presidenziale di convocazione dell’adunanza pubblica n. 22/2015;
Udito il relatore, dott. Francesco Sucameli.PREMESSO IN FATTO
Con deliberazione n. 24 dell’ 8 ottobre 2014, trasmessa a questa sezione in data 11 novembre 2014, il Consiglio comunale di Castello del Matese (CE) ha provveduto ad effettuare la ricognizione delle proprie partecipazioni per verificare la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 3 commi 28 e 29 della l. n. 244/2007, deliberando il mantenimento di tutte le partecipazioni in essere.
Il Comune di Castello del Matese partecipa ai seguenti organismi:
– Consorzio Asmez (0,6%);
– Consorzio per Viale Mattei Consorzio per l’area di sviluppo – Caserta Industriale (0,4%);
– CST – Terra di Lavoro Provincia di Caserta (0,7821%);
– Ente Ambito risorse Idriche Napoli Volturno ATO 2 (0,13581%);
– Società consortile per le iniziative di recupero dei centri storici Laoconte (1,57%).
I primi tre sono costituiti ai sensi dell’art. 31 TUEL; l’ente d’ambito è una peculiare figura di ente pubblico disciplinata dalla legge; solo l’ultimo ente è società di diritto privato. Dall’esame della delibera di Consiglio avente ad oggetto il mantenimento delle partecipazioni societarie del Comune si evidenzia un’errata considerazione dell’ambito soggettivo delle disposizioni applicate e al tempo stesso non emerge alcuna adeguata motivazione in ordine alle ragioni del mantenimento delle partecipazioni, sia sotto il profilo della verifica in concreto circa la stretta inerenza di ciascun oggetto sociale dell’organismo partecipato con i fini istituzionali dell’ente locale di riferimento, sia sotto il profilo dell’ostensione dell’iter logico seguito dall’amministrazione nel pervenire alla decisione di non procedere o di procedere alla dismissione.
Il Magistrato Istruttore, a seguito di esame preliminare del Collegio in camera di consiglio e su sollecitazione dello stesso, ha pertanto interessato il Presidente della Sezione proponendo di fissare apposita adunanza per l’esame collegiale della posizione del predetto atto del Comune.
Con apposita memoria (prot. C.C. n. 2286 del 13 aprile 2015) il Comune ha comunicato che: «per completezza d’informazione, che già con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 4 del 14/1/2015 questa Amministrazione ha deliberato il recesso dal Consorzio ASI Caserta (Consorzio per l’area di sviluppo Industriale –Viale Mattei Caserta c.f. 80005370616- partecipazione allo o,4%) nella considerazione che tale adesione non comportava benefici per la comunità locale. La procedura di dismissione è stata avviata ed è destinata a recuperare la quota partecipata e al risparmio della quota annuale del canone. L’area tecnica è stata investita dell’avvio di tale procedura.
Inoltre, nella redazione del piano di razionalizzazione delle società partecipate previsto dall’art. 1, comma 611 e ss. della Legge 190/2014, approvata dal sottoscritto Sindaco ed inviata tramite posta elettronica certificata a codesto superiore organo, è prevista anche la dismissione delle quote detenute da questo Ente relativamente alla Società Consortile Laoconte.
Tale piano è stato sottoposto anche al vaglio del Consiglio Comunale che, con deliberazione n. 5 del 08/04/2015 ne ha approvato integralmente i contenuti».
In adunanza è intervenuto per delega del Sindaco, il Segretario comunale che, dopo aver sottolineato che la propria presenza costituiva un segno di correttezza istituzionale, ribadiva che l’Amministrazione si è attivata predisponendo il piano di razionalizzazione delle società partecipate.CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il quadro normativo di riferimento
1. L’art. 3, comma 28, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria per il 2008, L.F. 2008) dispone che l’assunzione di nuove partecipazioni societarie e il mantenimento delle attuali, da parte degli enti locali, devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge e che tale delibera deve essere trasmessa alla Sezione competente della Corte dei conti.
L’art. 19, comma 2, lett. a) del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009 n. 102 ha radicato la competenza delle Sezioni regionali di Controllo della Corte dei conti in materia di verifica della ricognizione della partecipazioni locali, al fine di accertare se gli enti e le amministrazioni territoriali osservino i limiti imposti dall’art. 3, commi da 27 a 33, della legge n. 244/2007.
Con tale disposizione, pertanto, il Legislatore ha intestato alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una specifica competenza sulla verifica della conformità della costituzione o dell’adesione a società a quanto disposto dalla normativa vigente in materia di assunzione di partecipazioni, con riferimento, in particolare, agli effetti sui bilanci degli enti locali stessi.
La trasmissione delle ridette delibere di ricognizione deve ritenersi strumentale al più generale potere di controllo di cui all’art. 1, commi da 166 a 172, della Legge n. 266 del 2005 e all’art. 148-bis TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del D.L. n. 174/2012.
La possibilità di ricorrere allo strumento societario è per legge correlata ai fini dell’ente pubblico ed è inerente allo svolgimento di attività di competenza dell’ente medesimo, anche al fine di evitare che lo schema societario sia il veicolo per eludere le normative pubblicistiche in tema di controlli sulla finanza pubblica ed in materia di patto di stabilità interno, nonché strumento abusivo per evitare le procedure ad evidenza pubblica che presiedono all’attività contrattuale delle amministrazioni locali.
Conseguentemente, la scelta dell’intervento pubblico nell’economia locale è elettivamente demandata all’organo consiliare che detiene i compiti di amministrazione e di programmazione dell’attività dell’ente comunale e che deve effettuare le opportune verifiche di compatibilità e di inerenza alle finalità istituzionali, ancor prima di decidere la costituzione di nuove società, ovvero la sorte delle partecipazioni pubbliche in società già esistenti ed operanti nel mercato.
Ciò premesso, è opportuno rimarcare che la Legge finanziaria per il 2008 (art. 3, commi da 27 a 33) ha posto una disciplina vincolistica di tipo formale e sostanziale in tema di costituzione di società e di partecipazioni pubbliche, a tenore della quale, una volta accertata l’esistenza dei requisiti di legge ostativi alla costituzione di nuove società o al mantenimento di partecipazioni, le pubbliche amministrazioni devono cedere a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le società e le partecipazioni. Il processo di ricognizione delle partecipazioni societarie costituisce occasione per analizzare diversi profili di legittimità della partecipazione.
A tal proposito si segnala:
i. Ambito soggettivo e oggettivo degli obblighi di cui all’art. 3, comma 27, L.F. 2008
In termini soggettivi, si è ritenuto che la disposizione in commento concerna le sole partecipazioni di natura societaria e non riguardi i consorzi o altri organismi partecipati a carattere pubblicistico o privatistico (cfr. SRC Friuli Venezia Giulia, n. 344/2010).
Per quanto concerne la latitudine oggettiva di tale disposizione e gli effetti in termini di capacità negoziale e di ambito oggettivo della delibera consiliare, l’art. 3, comma 27, della Finanziaria 2008 è stato modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che, all’art. 71, comma 1, lett. b), ha soppresso le parole “o indirettamente”.
Ad un primo superficiale esame, la modifica parrebbe consentire alle amministrazioni pubbliche di detenere partecipazioni anche in società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, purché, appunto, in via indiretta e, quindi, ad esempio tramite holding costituite ad hoc.
In realtà, un esame di natura sistematica evidenzia cha la soppressione non ha ristretto affatto l’ambito oggetto dell’obbligo ai fini della delibera consiliare e dei limiti alla capacità negoziale. Muovendo dal comma 27, infatti, si desume che l’oggetto sociale della holding (o comunque della partecipata diretta) deve rispettare i limiti predefiniti dalla delibera adottata dall’ente locale ai fini della ricognizione delle società partecipate e, dunque, la holding non potrà che detenere partecipazioni che non siano in contrasto con le previsioni dell’ente; il che preclude alla holding (e, quindi, all’ente “indirettamente”) di detenere partecipazioni non strettamente necessarie alle finalità istituzionali dell’ente o di interesse generale (SRC Lombardia, n. 874/2010/PAR).
Da tale esegesi deriva la necessità, attraverso le disposizioni dell’oggetto sociale della holding, di realizzare un sistema di controllo dell’attività delle società partecipate di “secondo livello” o di “terzo grado”, in conformità, tra l’altro, a quanto recentemente previsto, in modo espresso, dall’art. 147-quater TUEL (recante “Controlli sulle società partecipate non quotate”, introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera d), D.L. n. 174/2012, conv. in Legge n. 213 del 2012).
In termini oggettivi, in disparte la possibilità di detenere – a valle del processo di ricognizione – le partecipazioni, la delibera del Consiglio comunale deve riguardare tutte le partecipazioni qualunque sia l’attività esercitata: va da sé che in presenza dei requisiti di “stretta necessità”, ovvero di partecipazioni in società che “producono servizi di interesse generale”, l’ente potrà continuare a detenere o assumere partecipazioni, effettuata altresì, in tale sede, la verifica del rispetto degli altri requisiti di legge che legittimano il mantenimento, tra cui l’art. 13 del “Decreto Bersani”, l’art. 14, comma 32, del D.L. 78/2010, nonché, l’art. 4 del Decreto n. 95/2012 (cfr. infra).
ii. Il termine e l’obbligo permanente di periodica ricognizione
In proposito si rileva, altresì, come il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 del citato articolo 3, per la dismissione o la cessione a terzi delle partecipazioni vietate, è stato prorogato dall’art. 1 comma 569 della legge di stabilità n. 147/2013, successivamente modificato dall’art. 2, comma 1, lettera b) del D.L. n. 16/2014; segnatamente viene disposto che entro il 31 dicembre 2014, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27 dell’art. 3 della L. 244/2007; decorso tale termine la partecipazione non alienata “cessa ad ogni effetto” (entro i dodici mesi successivi alla cessazione, la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del Codice civile).
Tuttavia, a prescindere da tale scadenza temporale, la necessità di verificare i presupposti di una partecipazione risponde ad una regola di legittima e sana gestione finanziaria. Pertanto, l’obbligo di ricognizione può ritenersi un obbligo permanente come, del resto, si può ricavare dalla decisione del Consiglio di Stato ( Ad. Plen. n. 10/2011), che ha evidenziato che la disciplina in questione è invero ricognitiva di principi che erano già esistenti nel sistema.
Sicché l’Amministrazione civica è tenuta a verificare periodicamente l’attualità delle determinazioni assunte con la delibera adottata ai sensi dell’art. 3, comma 27 e ss. della Finanziaria 2008.
In questo processo di verifica periodica, la cui occasione è fornita dall’annuale approvazione dei bilanci, non è escluso che il socio comunale, re melius perpensa, possa giungere a diversa decisione e determinarsi per la non inerenza/strumentalità della partecipazione (SCR Lombardia n. 386/2012/PRSE).
iii. L’obbligo di precisa delimitazione dell’oggetto sociale
Come specificato nelle deliberazioni SRC Lombardia n. 975/2009/PRSE, n. 841/2009/PRSE, n. 830/2010/PRSE e n. 520/2011/PRSE, l’Amministrazione, in sede di costituzione o partecipazione ad una società, deve prestare particolare attenzione al suo oggetto sociale.
La disciplina legislativa dell’art. 3, comma 27, L.F. 2008 mira ad eliminare le attività economiche esercitate per interessi estranei alle finalità istituzionali dell’ente o per finalità puramente imprenditoriali (cfr. sentenza C. Cost. 229/2013 e la citata Ad. Plen. n. 10/2011): l’oggetto sociale deve perciò sostanziarsi in attività strettamente strumentali alle prefate finalità o riconducibili a servizi d’interesse generale, senza che vi siano interferenze o mediazioni con interessi economici di terzi, potenzialmente lesivi rispetto al raggiungimento degli obiettivi posti a beneficio della comunità amministrata.
In sostanza l’oggetto sociale deve essere aderente alle finalità istituzionali del Comune, quali emergenti, per esempio, dall’elencazione delle funzioni fondamentali, recentemente oggetto di apposite precisazioni normative (cfr. art. 19 d.l. n. 95/2012, convertito con legge n. 135/2012; in precedenza, art. 21 legge delega sul federalismo fiscale n. 42/2009) o dalle funzioni conferite da Stato o Regione ai sensi dell’art. 118 della Costituzione.
A tale scopo, il legislatore ha dettato in passato una serie precisa di limiti legislativi (cfr. SRC Lombardia, n. 411/2013/PAR nonché SRC Campania 188/2013/PAR), tra cui l’art. 13 del c.d. Decreto Bersani (D.L. n. 223/2006, conv. L. 248 dello stesso anno).
Si tratta di norme che si segnalano per una particolare tendenza restrittiva verso le attività strumentali svolte da società pubbliche, in ragione del fatto che le attività strumentali, a parte che per l’ancillarità a funzioni intestate all’ente pubblico, si caratterizzano, da un lato, per essere svolte e regolate da norme di diritto privato, dall’altro, per il fatto di tradursi in attività economiche potenzialmente contendibili sul mercato, per la cui offerta l’ente quindi può entrare in concorrenza con operatori privati: pertanto la loro creazione e il loro svolgimento può portare distorsioni del funzionamento dei mercati interessati, a causa dei vantaggi competitivi (economici e/o giuridici) di cui tali società partecipate godono. Quindi, da un lato, il Legislatore ha operato con varie norme per isolare queste attività rispetto ad altre svolte dagli organismi partecipati e, per altro verso, ha subordinato lo svolgimento di tali attività alla sussistenza di presupposti costitutivi e qualitativi.
Da questo quadro normativo emerge un sistema ispirato ai seguenti principi di massima le cui coordinate fondamentali si possono così riassumere (cfr. di recente Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 1574 del 2012 e n. 122 del 2013):
a) l’ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative;
b) la possibilità di costituzione di società in mano pubblica, o è prevista espressamente dalla legge, oppure, ordinariamente, è prevista per il compimento di servizi di interesse generale (servizi pubblici economici e non);
c) lo svolgimento, in via ordinaria, di società strumentali non è più ammesso, se non nei casi di legge.
Inoltre, nell’effettuare tale valutazione, l’Ente dovrà avere riguardo all’oggetto sociale effettivo e non solo a quello formale, risultante dallo statuto sociale (ad esempio mediante una verifica dei dati del fatturato; cfr. SCR Lombardia n. 281/2012/PRSE).
iv. Il necessario esame della situazione economico patrimoniale e finanziaria della società
Il Collegio rammenta, inoltre, che le delibere consiliari di assunzione o mantenimento di partecipazioni devono comunque tenere conto (e conseguentemente dare atto nelle motivazioni) della situazione economica e patrimoniale delle società, in ossequio al principio di legalità finanziaria che conforma l’azione amministrativa.
È chiaro, infatti, che la scelta di assumere o mantenere partecipazioni presuppone, in capo all’ente locale (di qualsivoglia dimensione), una prodromica valutazione di efficacia ed economicità, quali corollari del principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., oggi rafforzato, nella prospettiva della sana gestione finanziaria, dall’introduzione dell’obbligo dell’equilibrio di bilancio per tutte le amministrazioni pubbliche (cfr. gli artt. 81, 97 e 119 della Costituzione come novellati dalla legge costituzionale n. 1/2012).
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’andamento della società non deve essere strutturalmente in perdita, attesa l’incompatibilità tra il ricorso allo strumento societario e risultati economici sistematicamente negativi (cfr., per esempio, SRC Lombardia deliberazione n. 263/2011/PRSE); principio rafforzato dall’introduzione dei divieti di finanziamento, da parte del menzionato art. 6 comma 19 D.L. n. 78/2010 che, precludendo il sovvenzionamento di società in perdita strutturale (si rinvia, per esempio, alle deliberazioni SRC Lombardia n. 19/2012/PAR e n. 220/2012/PAR), impongono, a monte, una valutazione di convenienza economica al mantenimento della partecipazione (sul punto si richiama quanto espresso anche nella pronuncia SRC Lombardia n. 1081/2010, afferente il caso del preteso mantenimento di una società con patrimonio netto negativo).
Per le società appartenenti ai comuni, l’art. 1, comma 561 della Legge di stabilità per il 2014, n. 147/2013, ha abrogato l’art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010, mantenendo in vita i soli limiti qualitativi posti dall’art. 3, commi 27 e seguenti, della LF n. 244/2007 (oltre che i vincoli posti alle società c.d. strumentali dall’art. 13 del d.l. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006).
La legge di stabilità 2014 ha peraltro inserito un nuovo sistema di prescrizioni per gli organismi partecipati, che accomuna e si applica non solo alle società, ma anche “alle aziende speciali, alle istituzioni […] partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell’elenco” ISTAT (comma 550).
Con riferimento alle società, si osserva, in primo luogo, che il limite quantitativo dell’art. 14, comma 32, del D.L. 78/2010 e il correlativo obbligo di dismissione delle società in perdita è stato sostituito da un obbligo di accantonamento (art. 1, commi 551 e s., L. n. 147/2013), nel bilancio dell’ente partecipante, in caso di perdite non ripianate, a decorrere dal 2015.
La stessa legge di stabilità ha altresì previsto un sistema di oneri volti a promuovere l’efficienza della gestione da parte degli amministratori delle partecipate. Ci si riferisce in particolare a quanto stabilito dal comma 554, per “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80 per cento del valore della produzione” per cui:
– è previsto che in caso di risultati negativi consecutivi da un triennio, già a partire dal 2015, gli organi amministrativi possono subire una riduzione del compenso del 30%;
– sempre a decorrere dal 2015, un risultato negativo nel biennio costituisce, ex lege, giusta causa di risoluzione del rapporto con la società.
Il sistema di conseguenze negative a carico degli amministratori, già vigente, prevede la sola eccezione in cui il «risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall’ente controllante».
Il comma 555, inoltre, stabilisce che dal 2017, per tutti gli enti (anche con popolazione superiore a 50 mila abitanti) scatterà l’obbligo di liquidazione delle società strumentali (ovvero “i soggetti di cui al comma 554 diversi dalle società che svolgono servizi pubblici locali”) in presenza di risultati negativi per quattro dei cinque esercizi precedenti. In caso di inadempimento di tale obbligo è stabilita la nullità degli atti di gestione e la conseguente responsabilità erariale dei soci (rectius, dei rappresentanti pro tempore dell’ente partecipante).
A prescindere dalla decorrenza dei poteri ricollegati a tali oneri a partire dal 2017, per la retrodatazione dei fatti contemplati dalla fattispecie normativa (risultati negativi in quattro/cinque esercizi precedenti), gli enti devono vigilare sin da ora sull’efficienza dei propri organismi.
v. Obbligo di adeguata motivazione
Ogni decisione amministrativa deve comunque passare attraverso un atto debitamente motivato. Il precetto è chiaramente esposto nell’art. 3 comma 28 legge n. 244/2007 (“l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento di quelle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27”) e riproduce la regola generale posta dall’art. 3 della L. n. 241/1990 (“la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione alle risultanze dell’istruttoria”).
La delibera del Consiglio comunale di ricognizione delle società partecipate deve quindi contenere la motivazione di tale decisione, non essendo rispettose di tali parametri normativi delibere contenenti mere ripetizioni del dato legale, attesa la natura apodittica di siffatte pseudo motivazioni. Al contrario, può ritenersi assolto l’obbligo della motivazione del provvedimento anche nel caso in cui sia succinta, purché capace di disvelare l’iter logico e procedimentale atto ad inquadrare la fattispecie nell’ipotesi astratta considerata dalla legge. (cfr. SRC Lombardia n. 124/2011/PAR; SRC Lombardia n. 34/2013/COMP; SCR Lombardia n. 411/2013/PAR).
In ordine alla motivazione, l’ente è chiamato a dimostrare l’“inerenza” alle finalità istituzionali di cui all’art. 3 della Legge finanziaria 2008. La richiamata giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 3, comma 27:
1. per alcune tipologie di società essa è “in re ipsa” per la peculiare qualificazione legislativa dell’oggetto sociale. Si tratta in particolare delle società il cui oggetto esclusivo (art. 13 Decreto Bersani) è l’erogazione di servizi di interesse generale o di committenza, purché nell’ambito dei livelli di competenza dell’ente locale. Si rammenta, in proposito, che, secondo un consolidato orientamento, la categoria dei “servizi di interesse generale” coincide tout court con quella dei servizi pubblici locali; ergo, la più volte citata valutazione di stretta inerenza delle attività di produzione di beni o servizi della società con il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente è limitata alle c.d. “società strumentali”. Con riferimento alle società di committenza, pur svolgendo esse attività strumentale, l’ordinamento – sia con nome di carattere generale che di carattere specifico (ad. es. l’art. 113 T.U.E.L. o l‘art. 33 del Codice dei contratti pubblici) – ne ammette generalmente la costituzione e partecipazione, vista la funzione di efficientamento della spesa che svolgono nel sistema della finanza pubblica;
2. in secondo luogo, in caso di società strumentali, se l’attività riguardi la produzione di beni e servizi c.d. “non inerenti”, l’ente è chiamato a dimostrarne la stretta necessità al perseguimento delle proprie finalità istituzionali; diversamente la partecipazione è interdetta, con conseguente alienazione a terzi secondo procedure di evidenza pubblica.
3. In terzo luogo, spostandosi dal piano finalistico a quello gestionale, le partecipazioni devono essere giustificate nell’ottica del principio di sana gestione finanziaria (e quindi sul piano della loro efficienza e del loro concreto andamento economico, cfr. supra) e, da ultimo, devono essere coerenti col il piano di razionalizzazione delle partecipazioni disciplinato dalla recente Legge di stabilità per il 2015 (cfr. infra).
vi. Ricognizione delle partecipate e Spendig Review. Piano di razionalizzazione
Da ultimo, infatti, il Legislatore (art. 1, commi 611-615 della Legge 23 dicembre 2014 n. 190, c.d. Legge di Stabilità 2015) ha integrato gli obblighi di verifica delle partecipazione da parte degli enti, nonché i poteri controllo della Corte dei conti, prevedendo un ulteriore onere organizzativo, entro un preciso termine di scadenza.
Nello specifico, gli enti devono procedere alla riduzione del sistema delle partecipazioni societarie, che deve svolgersi “a decorrere dal 1º gennaio 2015 […], in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015”, mediante un piano operativo di razionalizzazione, ispirato a criteri che trovano principio nelle esigenze della Spending Review e nella tutela della concorrenza.
Segnatamente, il processo di aggregazione o dismissione deve basarsi sui seguenti criteri: «a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione; b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni».
A garanzia della razionalità del processo e per consentire il controllo sull’efficiente approntamento e svolgimento dello stesso, la medesima disposizione di legge prevede, appunto, la redazione di un piano operativo di razionalizzazione che presidi il richiamato processo riorganizzativo imposto nel corso 2015; che tale piano debba essere redatto entro il 31 marzo 2015; che tale piano debba essere trasmesso alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, per l’esercizio dei suoi poteri di controllo, poteri che partecipano della stessa natura di quelli relativi alle delibere di ricognizione delle partecipazioni societarie (come testimonia la clausola di salvaguardia relativa alle disposizioni di cui all’art. 3, comma 27 e ss. della L.F. 2008) e, quindi, dei controlli finanziari sui bilanci ai sensi della Legge n. 266/2005 (art. 1 comma 166 e ss) e s.m.i.
vii. Quadro di sintesi
Riassumendo, la valutazione che il Consiglio comunale è tenuto a compiere, analizzando le proprie società partecipate, deve riguardare:
– l’oggetto sociale effettivo (non solo quello formalizzato negli atti societari);
– la natura dei servizi offerti e la stretta inerenza ai compiti dell’Ente;
– le ragioni ostative ad un eventuale reinternalizzazione o comunque i benefici derivanti dal mantenimento del servizio in capo all’organismo esterno;
– il divieto di commistione fra attività strumentali e di erogazione di servizi pubblici locali (art. 13 comma 2 del D.L. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006);
– la situazione economica e patrimoniale della società, alla luce degli oneri di efficienza per gli amministratori e i soci, collegati ad obblighi di accantonamento e di liquidazione in caso di persistenti risultati negativi (nonché alle sanzioni per gli organi di amministrazione della società) ai sensi dell’art. 1 commi 551-555 della L. n. 147/2013;
– nel corso del 2015, la compatibilità del mantenimento della partecipazione con il piano operativo di razionalizzazione di cui alla Legge n. 190/2014 (art. 1, commi 611-615).2. La delibera di ricognizione: corretta identificazione dell’ambito soggettivo di applicazione e obbligo di motivazione
2. Nel caso di specie, la deliberazione n. 24/2014 del Consiglio comunale, da un lato, prende in considerazione partecipazioni anche in enti di diritto pubblico, dall’altro non risulta adeguatamente motivata in ordine ai criteri seguiti dall’amministrazione comunale al fine di determinare il mantenimento delle partecipazioni.
Il Consiglio comunale nella suddetta delibera si è limitato a elencare le norme di legge e ad illustrare un prospetto riassuntivo delle partecipazioni, evidenziando genericamente la quantificazione del capitale posseduto, senza indicare chiaramente l’oggetto sociale della società e tantomeno senza approfondire le ragioni che sostengono la volontà di mantenere le singole partecipazioni detenute.
Si prende atto del processo di dismissione in atto per ASI e per la Società Laoconte, avendo il Comune riconosciuto la essenzialità/utilità di tali partecipazioni.
La Sezione si riserva di ritornare sul tema degli organismi partecipati nelle conferenti sedi di controllo, sia ai sensi dell’art. 148-bis TUEL che ai sensi della nuova competenza di controllo in materia di “piani di razionalizzazione”
P.Q.M.La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Regione Campania, con riferimento alla delibera di Consiglio n. 24/2014 di ricognizione delle partecipazioni in essere:
a) richiama sull’esatta osservanza dell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 3, comma 27 e ss. della L.F. 2008;
b) accerta, allo stato, la non conformità a legge dell’attività finanziaria conseguente a tale ricognizione;
c) invita, in particolare, l’amministrazione comunale ad esplicitare le ragioni del mantenimento delle partecipazioni, segnatamente sotto il profilo della stretta inerenza della partecipazione rispetto ai fini istituzionali dell’ente locale, dell’economicità ed efficacia della medesima nonché del rispetto dei parametri introdotti dal decreto legge n. 78/2010, alla luce del quadro normativo richiamato in motivazione;
d) dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Presidente del Consiglio comunale al Sindaco ed all’Organo di revisione del comune ai fini degli atti amministrativi conseguenti. Ai fini della successiva attività di controllo, invita l’amministrazione comunale a comunicare, entro 60 giorni dalla ricezione della presente, le proprie motivazioni in ordine all’eventuale mantenimento delle partecipazioni societarie.
Così deliberato nella camera di consiglio del 13 aprile 2015.
Depositato in Segreteria il 24 aprile 2015