La notizia è stata pubblicata un paio di settimane fa su Wired, ma è di particolare interesse per gli operatori saniatri e delle pompe funebri: studi provano che il virus di ebola è particolarmente resistente e rimane pericoloso anche dopo il decesso della persona infettata.
Tra gli interventi principali messi in campo negli scorsi mesi dall’Oms, molti sforzi sono stati indirizzati verso lo svolgimento sicuro delle cerimonie funebri, riti che in Africa prevedono il contatto del corpo del defunto e che senza speciali accorgimenti divenivano un’occasione per nuovi contagi.
Si sa infatti da tempo che i pazienti rimangono contagiosi a lungo dopo la morte, anche se non era ancora stata chiarita la durata esatta del periodo in cui il virus rimanesse attivo nei cadaveri.
A svelarlo è oggi uno studio del National Institutes of Health americano, pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases che dimostra come i cadaveri rimangano contagiosi almeno per un’intera settimana dopo la morte del paziente, e che le tracce del virus possono essere trovate anche per dieci settimane.
Nello studio, i ricercatori del Rocky Mountain Laboratories dell’Nih hanno utilizzato dei macachi infettati con il virus ebola in altri esperimenti precedenti.
I corpi degli animali sono stati inseriti in speciali contenitori che permettono di modificare temperatura e umidità a cui vengono esposti i campioni, e poi portati in condizioni che simulavano il clima di un agosto caldo in paesi come la Liberia (una delle principali nazioni in cui è in corso l’epidemia).
In queste condizioni, il cadavere ha impiegato circa dieci settimane per decomporsi, durante le quali i ricercatori hanno prelevato giornalmente tamponi da varie zone del corpo, per misurare la carica virale ancora presente.
I risultati delle analisi hanno evidenziato che le parti esterne del cadavere continuano a rimanere infettive per sette giorni dopo il decesso, mentre nelle parti interne del corpo il virus sembra sparire dopo tre giorni.
Per tutte le dieci settimane dello studio tracce di rna virale sono state trovate sui cadaveri dei macachi, un’indicazione importante perché fissa una finestra temporale in cui è possibile identificare i resti di un animale morto di ebola in natura, un segnale che perché spesso aiuta a predire il possibile scoppio di una nuova epidemia.
Ma se la decomposizione fosse rallentata e all’interno di zona stagna, come nei loculi italiani, cosa potrebbe succedere?
Un elemento in più per rifkettere sull’obbligo di cremazione per deceduti di ebola.
Chi fosse interessato ad approfondire la notizia può lendare a leggersi l’articolo in orginale sulla rivista Emerging Infectious