Il 2 novembre preferiamo ricordarlo in questa maniera, consigliando di leggere lo scritto Cubicoli di Alessandra Lisinidi, di cui riprendiamo taluni capoversi. Lo scritto è pubblicato su www.nazioneindiana.com.
Gli anni settanta producevano foto marroncine anche a Buenos Aires, un tono che poi si consolida e morde la tavolozza dei colori originari, appiattendoli. La mia amica si trova perfettamente al centro dell’immagine, con l’abito bianco del battesimo, in braccio a una zia che le guarda la nuca. Afferra un foglio di quaderno a quadretti per spiegarmi il suo progetto, lo mette dietro la fotografia, fa delle freccette che indicano alcuni dei famigliari ritratti. Questo è m o r t o, scandisce Caro e con la penna rossa scribacchia accanto alle freccette: morto, morto, morta, morto. Alla fine senza didascalia rimangono lei, la zia che la teneva in braccio, chi aveva scattato la foto. Tutti quelli che guardano l’obiettivo sono morti, chi guardava te è ancora vivo, notiamo tronfi io e l’invincibile armata del mio intuito. Ma Caro non ne sembra convinta: non si può capire bene dove le persone guardino, dice piccata, è una foto, lo spazio è tutto schiacciato e in più c’è questo alone marrone sulle nostre facce che appiattisce ulteriormente il senso del tridimensionale. Elaborerà quindi l’immagine e toglierà una persona alla volta, lascerà il vuoto, anche non in ordine cronologico, forse modificherà il punto di marrone, ci deve pensare. Sto mappando i fantasmi!, dice Caro, faccio in bidimensione quello che nelle tre dimensioni è già successo. Fa scivolare la foto da una parte e mentre se l’avvicina a due centimetri dal naso, ricompare il foglio a quadretti nudo, con le freccette e le didascalie morto, morta, morto. Per alcuni, dice, è la realizzazione di un’idea macabra, ma certa gente non si rende conto che è il contrario.
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