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Sono di un ufficio di PM del Comune di XY. Mi ha contattato una concessionaria di Tomba di Famiglia in un cimitero del mio comune, che vorrebbe ivi tumulare le ceneri di una sua parente, già residente negli Stati Uniti e iscritta all’Aire del Comune di ZW.
Alla Signora sono arrivate le ceneri tramite corriere, da quel che si può capire, inviate direttamente dal Crematorio di …. (USA), quindi non attraverso consolato e senza autorizzazione al trasporto.
La Sig.ra su richiesta ci ha fornito un copia via mail del certificato di morte con allegata traduzione, ma senza asseveramento.
Chiedo cortesemente il vostro parere sulle modalità da adottare per accogliere l’urna nel nostro cimitero.
X Polizia Mortuaria di XY
Ceneri giunte “clandestinamente” e di “contrabbando” in cimitero italiano attraverso un vettore aereo? Molto, in realtà dipende dalle norme dello Stato di partenza.
Dunque…sintetizzando: Non ci sono documenti di viaggio, ma solo certificati attinenti la morte e l’avvenuta cremazione; e le ceneri sono comunque qui, in Comune Italiano, senza preventiva autorizzazione al “rimpatrio”. Quindi: sanzione amministrativa ex art. 358 T.U. leggi sanitarie? oppure ex art. 339 leggi sanitarie? E poi regolarizzazione ex post del procedimento a partire dalla richiesta al Comune del Consolato italiano all’estero? Oppure semplice autorizzazione ex post del Comune al collocamento dell’urna cineraria nella tomba? O quale altro percorso può essere ipotizzato?
In linea generale e di massima, al momento dell’arrivo in cimitero, dovrebbero essere stati prodotti i “titoli di viaggio”, cioè tutti gli incartamenti che siano stati utilizzati al fini dell’introduzione nello Stato dell’urna “in arrivo”.
Stiamo pur sempre ragionando di atti ufficiali formati dalle autorità del Paese di “partenza” (e poichè non si applica alle urne l’art. 28 D.P.R. n.285/1990 valido, invece, per i soli feretri) non é immediatamente individuabile di quale specifica documentazione avrebbe dovuto trattarsi, ma, comunque, occorrerebbe, pur sempre un atto, meglio se cartaceo, che legittimi il trasporto altrimenti “sine titulo”.
Il problema non andrebbe tanto affrontato ex-post, magari con un’autorizzazione amministrativa “ORA PER ALLORA” quanto al momento stesso dell’arrivo, come condizione preliminare per l’accettazione: dirò di più: il responsabile del servizio di custodia avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la non procedibilità all’accoglimento e, contemporaneamente, invitare il “trasportatore” a presentare i documenti,
Ma, ormai…il dado è tratto!
Una sorta di sanatoria procedimentale, coinvolgendo il Consolato per un rilascio di Nulla Osta, non sarebbe, così, più di tanto ammissibile.
Sotto l’eventuale profilo sanzionatorio, non trattandosi di introduzione di feretro vero e proprio, ma di una cineraria, tenderei ad escludere l’art. 358 T.U.LL.SS, contenente la sanzione amministrativa pecuniaria da elevarsi residualmente in caso di infrazioni al D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 non altrimenti specificate da apposita norma di diritto punitivo, ma considerare (e, forse, per altro!) il solo art. 339 T.U.LL.SS.
Il “forse” é motivato dal fatto che il titolo di viaggio (chiamiamolo così) è, pur sempre, regolato dalla legge del luogo di partenza/provenienza e, probabilmente, nulla esclude che (sto pensando alla cremazione negli U.S.A. che, magari, contempla passaggi amministrativi meno strutturati) la documentazione possa anche essere stata considerata, in partenza, idoneo titolo di viaggio.
Applicandosi, forse (come visto), l’art. 339 TU.LL.SS., dovrebbe provvedersi, in via sanzionatoria, nei confronti del soggetto che ha, materialmente, consegnato l’urna cineraria (ma potrebbero anche essere prescritti i termini per la contestazione immediata ex Legge n. 689/1981 e relativo regolamento attuativo di cui al D.P.R. n.571/1982).
Tralascerei, ormai, questi aspetti meramente burocratici e valuterei solo se l’urna cineraria abbia titolo (a mente dell’art. 93 comma 1 I Periodo D.P.R. 10/9/1990, n. 285) ad essere accolta in quel dato sepolcro privato. E ciò potrebbe anche essere “sanabile’ a posteriori”, lo jus sepulchri, infatti, è imprescrittibile.
Gentile Redazione,
A seguito esumazione ordinaria si è provveduto a cremazione del resto mortale rinvenuto con confezionamento delle risultanti ceneri in cassetta di zinco, in quanto il volume complessivo delle stesse superava la capienza dell’urna standard fornita dal crematorio, ex D.M. 1 Luglio 2002.
Il familiare, ora, richiede l’affidamento delle ceneri e si è rivolto ad una I.O.F. per la sostituzione dell’attuale cassetta (alquanto sgraziata!) con un’urna di capienza adeguata, dalle forme più acconce.
L’Impresa Funebre chiede pertanto al Comune l’autorizzazione per rimuovere i sigilli del crematorio e quindi procedere alla sostituzione richiesta.
A questo punto ci si pone il problema se l’autorizzazione spetti al Comune oppure al Crematorio che ha effettuato la cremazione dei resti mortali in questione.
Conviene interessare dal caso la locale AUSL, per un eventuale parere igienico-sanitario?
X Comune….(Regione Veneto),
In primis: ai sensi l’art. 3, comma 3 lett. e) Legge Regionale [Veneto] 4 marzo 2010 n. 18 succ. modif. è il regolamento comunale di polizia mortuaria a fissare le caratteristiche tecniche, tipo la capienza, il dimensionamento o il materiale di realizzazione, delle urne cinerarie.
La locale Azienda Sanitaria Locale può, solo, fornire un parere, limitatamente agli aspetti igienico-sanitari che, qui, paiono insussistenti (qualora non si ricada nella fattispecie, piuttosto rarefatta, di ceneri contaminate con nuclidi radioattivi – si veda, allora, il D.Lgs 257/2001 per questo frangente così improbabile!)
Titolare del procedimento, per il rilascio della relativa autorizzazione amministrativa (quando e se legittima), é il soggetto di cui all’art. 107 comma 3, lett. f) D.Lgs n. 267/2000 (sostanzialmente: il Dirigente di Settore o il responsabile dell’ufficio nei Comuni privi di figure dirigenziali ex art. 109 Testo Unico Ordinamento Enti Locali).
Ad ogni modo, secondo parte della dottrina, è del tutto inammissibile ogni ipotesi di “travaso”, rispetto a cui può essere importante dover ricordare come l’art. 3, comma 1, lett. e) L. 30 marzo 2001, n. 130 a livello nazionale e, spesso, anche le leggi regionali (art. 49 comma 1 Legge Regionale Veneta n.18/2010) in materia funeraria, prevedano l’obbligo della sigillatura delle urne, dovere categorico ed imperativo dal quale deriva che una “dis-sigillatura” non sarebbe proprio consentita, almeno in linea di massima, e se aderiamo ad una lettura molto formale delle specifiche fonti del diritto.
Al contrario, potrebbe essere lecita la sostituzione della componente “esteriore”, se il “guscio” interno (di solito metallico o di plastica), che è la parte sigillata, rimane, però, intattoed inviolato.
Di maggiore criticità la situazione in cui il sigillo di garanzia, sia stato, più o meno indebitamente, apposto/collocato sulla contenitore “esterno”; non si sottovaluti mai l’art. 349 Cod.Penale.
Dal punto di vista logico e più prettamente operativo, senza troppo cavillare su astruse astrazioni giuridiche, conta che nella verifica del contenuto di un’urna cineraria o nello sversamento dell’intero contenuto dell’urna in un altro recipiente, siano, poi, realizzate le condizioni (almeno quelle minime di cui all’art. 343 comma 2 T.U.LL.SS. : vietato separare le ceneri, foss’anche per un piccolo prelievo delle stesse a fine devozionale e art. 80 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 e soprattutto proibito disperdere anche se accidentalmente le stesse ex art. 411 Cod.Penale) stabilite dalla legge, o a parziale integrazione, da un soggetto comunque titolato ex Lege ad adottare un simile provvedimento.
Occorrono, quindi, una nuova urna, sigillatura e scritte esterne, non deperibili, riguardanti la identificazione certa del defunto.
La Legge, però, tace su questa evenienza e soprattutto sul nuovo soggetto deputato ad autorizzare l’operazione.
Pertanto l’unica soluzione ragionevole può essere reperita in sede locale con una norma regolamentare ad hoc (o se si agisce caso per caso con la singola autorizzazione) del seguente tenore:
-In caso necessiti l’apertura di un’urna cineraria per verifiche o travasi del contenuto in altra urna le operazioni di apertura, sversamento, sigillatura e apposizione di identificativo competono ai Servizi cimiteriali del Comune in cui l’urna è sepolta o affidata.
1.La realizzazione di una nuova cappella o edicola funeraria all’interno di un cimitero esistente da oltre 70 anni e nel caso specifico esistente dall’anno 1890, è soggetta a N.O. Paesaggistico o al N.O. per i beni culturali?
2.La demolizione del un muro di cinta risalente al 1890, esistente da oltre 70 anni e risalente alla realizzazione dello stesso cimitero, può essere eseguita senza il N.O. Paesaggistico o al N.O. per i beni culturali?
In conclusione, il cimitero è di notevole interesse pubblico ed ai sensi dell’art. 10 com. 1 del Codice è un bene culturale tutelato fino ad esito negativo di una verifica di accertamento?
Grazie, Benny
X Benedetto,
Il plesso normativo di riferimento, per una volta almeno organico ed omogeneo, è dato dal D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42 – codice unico dei beni culturali e del paesaggio – emanato ai sensi della Legge 6 luglio 2002 n. 137.
condivido appieno la Sua tesi sulla necessità di un provvedimento liberatorio da parte della Soprintendenza.
Vediamo ora i motivi.
Non esiste una definizione giuridica univoca di cimitero “storico”, fortunatamente sussiste, però, l’individuazione legale, assimilabile per analogia, di bene culturale (art. 10 comma 1 del D.Lgs. n. 42/2004) a cui può essere ricondotta la parte più antica dei cimiteri (di oltre 70 anni).
Se un cimitero possa o meno essere considerato un bene culturale soggetto a vincolo è stabilito la Soprintendenza ai Beni ambientali e culturali.
Finchè la Soprintendenza non si sia espressa sulla sussistenza o meno del vincolo, tutti i beni demaniali di oltre 70 anni e di autore morto sono considerati vincolati (art. 12 comma 1).
La procedura più corretta (art. 12 commi 2 e 3), sarebbe fornire alla Soprintendenza l’elenco di tutti i beni demaniali del Comune e chiedere preventivamente quali siano quelli obbligatoriamente vincolati.
Sulla base di questa lista, la Soprintendenza valuta quali dei beni elencati sia meritevole di tutela. Gli edifici residui non sono soggetti a tutela (art. 12 comma 4).
Il Comune può chiedere (art. 7 e seguenti della Legge n. 241/1990) di partecipare all’istruttoria, e in questa sede può entrare in dettaglio, nel caso, dei cimiteri, eventualmente identificando le parti da vincolare (esempio: il cimitero storico) dalle parti non soggette a vincolo (esempio: gli ampliamenti a batteria di loculi).
Sì, le opere di costruzione o demolizione nei cimiteri (tutte quelli di natura edilizia e cioè dalla manutenzione alla ristrutturazione o messa in sicurezza nonché alla nuova realizzazione) sono soggette al parere della Soprintendenza, qualora si tratti di area cimiteriale/manufatti esistenti da oltre 70 anni.
Si è, infatti, del parere che trovi applicazione l’art. 21 del Testo Unico in questione, per quanto concerne l’abbattimento del muro di cinta e la relativa autorizzazione.
l’art. 824 comma 2 Cod. Civile include espressamente i cimiteri (ancora attivi, per quelli dismessi o soppressi il regime normativo è diverso ex Capo XIX D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285!) nel demanio comunale, quest’ultimi, pertanto, risultano legati ad una funzione prettamente pubblica (Artt. 337, 343 comma 1 e 394 R.D. n. 1265/1934) che prevale sull’interesse dei privati, i quali vantano sul bene sepolcrale solo diritti affievoliti, addirittura essi degradano ad interesse legittimo dinanzi la potestà regolamentatrice dell’amministrazione cittadina. Su questo punto c’è giurisprudenza costante in materia di contenziosi tra Amministrazione Cittadina e privati.
Si richiama, inoltre, la centralità strategica, almeno per i nuovi interventi di edilizia sepolcrale, del piano regolatore cimiteriale come strumento di sviluppo e controllo sull’attività cimiteriale stessa e sulla sua futura espansione. Detto piano ha carattere programmatorio e di pianificazione nel medio/lungo periodo ed è pre-condizione di legittimità affinché si faccia concessione a terzi di aree su cui, poi, edificare sepolture private a sistema di tumulazione in forza dell’art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, recante, come risaputo, ma…repetita juvant, l’approvazione del Regolamento Statale di Polizia Mortuaria attualmente in vigore.
La soprintendenza, come organismo a ciò istituzionalmente deputato, avvia la procedura tecnico-amministrativa per ottenere un vincolo su un dato bene: l’attuazione della tutela varia e di differenzia tra i beni di proprietà pubblica e quelli, invece di proprietà privata.
Nel caso di proprietà pubblica (come accade per i cimiteri, appunto) la protezione dell’interesse culturale opera AUTOMATICAMENTE per i beni architettonici aventi più di 70 anni di età, giusta l’art. 10 comma 5 del D.lgs n. 42/2004 così come novellato dalla Legge n.106/2011.
Nell’evenienza di proprietà privata è necessario, al contrario, un esplicito provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, rilasciato sempre dalla Soprintendenza.
Si ritiene il cimitero, come complesso, inquadrabile anche quale bene paesaggistico; soprattutto i cimiteri storici, specie quelli frazionali, un tempo “parrocchiali”, ricadono pienamente all’interno del comma a) dell’ art. 136 (Immobili ed aree di notevole interesse pubblico) del suddetto Codice, quindi sono compresi anche all’interno delle condizioni di tutela paesaggistica (Capo II – Individuazione dei beni paesaggistici).
Attenzione: la rimozione del muro di cinta, con suo seguente spostamento (immagino per un ingrandimento del camposanto ed una dilatazione della sua volumetria) può comportare un’importante variazione della fascia di rispetto ex art. 338 Testo Unico Leggi Sanitarie così come modificato dall’art. 28 Legge n. 166/2002. E’ aspetto da valutarsi attentamente in sede di progettazione dell’opera, perchè ha notevole impatto sull’urbanistica generale, perchè incide sulle zone non edificabili che circondano il cimitero (per un raggio di max 200 m, riducibile a 50 m. non ulteriormente comprimibili).
Salve
Ho un problema con il vincolo cimiteriale.
Il vincolo persiste anche se il cimitero è stato dismesso?
Il cimitero è del 1871, non conosco l’anno esatto di dismissione.
Nel cimitero sono presenti 2 lapidi attaccate al muro ( 1 con data decesso 1920 ed 1 con data 1942)
Sul terreno ci sono 2 croci ed 1 lapide.
Qualcuno continua a curare il terreno e a portare candele votive.
Se il cimitero è stato dismesso, non avrebbero dovuto trasferire le lapidi, sembra un cimitero ancora in funzione. grazie
X Massimo,
chiedo, anticipatamente, scusa del leggero ritardo con cui rispondo, ma ho dovuto attentamente ponderare, data la complessità del quesito proposto; procedo, pertanto, per singoli punti tematici:
Premessa: il vincolo cimiteriale persiste nella sua totalità non sin quando sussista appieno la ciclica funzione cimiteriale stessa (sostanzialmente: immissione di nuove sepolture), ma si estende per un periodo più lungo, come cercherò di dimostrare qui di seguito.
1) il vincolo cimiteriale (Art. 338 Testo Unico Leggi Sanitarie – R.D. n. 1265/1934 così come modificato dall’art. 28 della Legge n. 166/2002) attiene alla legislazione igienico-sanitaria, che, quindi, prevale sulle norme di diritto comune (leggasi usuali strumenti urbanistici).
2) Il vincolo cimiteriale incide pesantemente anche sul piano regolatore generale: esso persegue una triplice finalità: in primo luogo vuole assicurare condizioni di igiene e di salubrità mediante la conservazione di una “cintura sanitaria” intorno allo stesso cimitero, in secondo luogo garantire la tranquillità e il decoro ai luoghi di sepoltura, in terzo luogo consentire futuri ampliamenti del cimitero (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 2 febbraio 1989, n. 111); anche se l’ultimo aspetto potrebbe essere controverso quando si tratta dei limiti esterni alla fascia di rispetto. In relazione a queste finalità la circostanza che una costruzione sia o meno interrata non è determinante, essendo in ogni caso idonea a turbare l’equilibrio ambientale che il vincolo stesso vuole tutelare.
3) Il vincolo cimiteriale impone un divieto assoluto di edificazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 1971, n. 606). Il concetto di costruzione non è, però, univoco perché è definito in relazione al contesto all’interno del quale è considerato e, soprattutto, alle finalità della norma specifica in applicazione della quale la definizione assume rilievo:
la discriminate è da porsi tra l’uso temporaneo o non stanziale e la trasformazione non irreversibile del suolo, da una parte, e l’insediamento umano, così come la realizzazione di manufatti (interrata o meno) che lo renda possibile, dall’altro.
4) Il Cimitero è area del demanio comunale ex art. 824 comma 2 Cod. Civile, così come comunale è la funzione cimiteriale ai termini degli artt. 337, 343 comma 1 e 394 Testo Unico Leggi Sanitarie, una volta cessata definitivamente l’attività cimiteriale l’intero terreno (quando sia stato accuratamente bonificato) può esser “s-demanializzato”, con suo conseguente trasferimento nella sfera giuridica patrimonio comunale disponibile (ad esempio: può esser alienato!)
5) La soppressione del cimitero, con futuro cambio di destinazione della zona (ad es. per esser adibita ad uso abitativo) attraverso apposita modifica da apportare al piano regolatore generale, è attualmente regolata dagli artt. 96 e segg. D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285. Essa è deliberata dal Consiglio Comunale e non produce effetti solo immediati, poichè quest’ultimi si dispiegano in un arco temporale di una certa consistenza, e la necessità di assicurarne una decorosa manutenzione per l’intero periodo di vita residua costituisce un impegno sul bilancio del Comune proiettato nel tempo.
6) Il Regolamento statale di polizia mortuaria prevede: a) l’interruzione definitiva delle nuove inumazioni, quando lo smantellamento del cimitero sia divenuto esecutivo. b) un momento di guarentigia pari ad almeno 15 anni dall’ultima inumazione effettuata, lasso di tempo superiore, quindi, al turno ordinario di rotazione in campo di terra oltre il quale si provvederà al diligente dissodamento del terreno. Dopo questa fase si ritiene si estingua il vincolo cimiteriale, in quanto, esaurito il suo precipuo scopo, non avrebbe più ragion d’essere
La ringrazio per la dettagliata risposta, mi sarà molto utile, saluti, Massimo
X Avv. Luana
In nessun caso, il feretro può essere conservato, neppure temporaneamente, in luogo diverso dal deposito di osservazione o dalla camera mortuaria del cimitero (sono “impianti” distinti).
Diciamo che ogni cimitero dovrebbe disporre di una camera mortuaria (art. 64 dPR n.285/1990; qualcuno puo’ ricordare come la corrispondente norma del d.P.R. n 803/1975 prevedesse il caso in cui i comuni non dispongano ‘ancora’ di camera mortuaria …, dove l’ancora teneva conto del fatto che l’obbligo della camera mortuaria in ogni cimitero era sorto con il R.D. n 1880/1942).
Senza addentrarmi in medias res, per brevitas suggerisco la consultazione di questi links:
1) https://www.funerali.org/cimiteri/operazioni-in-camera-mortuaria-incompatibilita-con-losservazione-delle-salme-44597.html
2) https://www.funerali.org/cimiteri/la-camera-mortuaria-e-la-sua-funzione-istituzionale-1149.html
3) https://www.funerali.org/cimiteri/due-condomini-scomodi-una-camera-mortuaria-ed-una-cappella-951.html
Sono costernato, immaginando (…ma sono malizioso e prevenuto) che, nella specie, tutto il meccanismo autorizzativo non si sia bloccato o inceppato per esigenze di giustizia (giusto per usare un’espressione di rito, molto asettica e formale).
Astrattamente, potrebbe esservi la possibilità di un giudizio per indennizzo del c.d. danno esistenziale (ex art. 2043 Cod. Civile), con azione in sede civile, ma non so ne’ posso stimare quanto questa possa avere un esito positivo (ne’ in quali tempi).
Se le ingiustificate lungaggini e pastoie burocratiche concernono prettamente il provvedimento di concessione del loculo (= tomba a sistema di tumulazione), ricorderei che:
1) le tumulazioni tutte (= sepolcri privati nei cimiteri), intendendosi con esse ogni differente allocazione di un feretro, rispetto al campo comune d’inumazione, non costituiscono per l’amministrazione comunale un obbligo, bensì solo una semplice facoltà ex art. 90 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, la cui condicio sine qua non è, tra l’altro, la previsione delle concessioni nel piano regolatore cimiteriale ex art. 91 D.P.R. citato. Il Comune, pertanto non è necessariamente tenuto a concedere cappelle, sacelli gentilizi o loculi monoposto, se decide di agire in questo senso si muove entro un perimetro di alta discrezionalità, comunque, da non confondersi con l’arbitrio ed il capriccio più sfrenato.
2) il regolamento municipale in tema di concessioni è *quasi* sovrano (ovviamente entro la norma quadro rappresentata dall’art. 90 D.P.R. 285/1990) per modalità, durata, tempistica e tipologia delle concessioni stesse. In questo atto generale ed astratto, se non disgraziatamente silente, specie se un po’ datata e risalente nel tempo, si possono reperire utilissime indicazioni. I regolamento municipale si colloca, a monte, come fonte legittimante di ogni procedimento o decisione del Comune in tema di gestione cimiteriale.
3) La Legge n.241/1990 e successive modificazioni/integrazioni, intervenendo a più riprese su trasparenza ed economicità del procedimento amministrativo, a garanzia del cittadino ci fornisce qualche spunto di vivo interesse: non da ultimi, ma senza la pretesa d’esser esaustivo nell’enumerazione, cito gli artt. 2 comma 2 ( conclusione in max 30 giorni della fase che conduce all’adozione del provvedimento), 2-bis (conseguenze del ritardo ingiustificato), 29 comma 2 (vincolo per gli enti locali di varare un apposito regolamento in cui disciplinare i procedimenti propri di ciascun Comune, tra cui, magari, annoverare anche quello sulle concessioni cimiteriali).
grazie ancora per gli importantissimi spunti normativi !
nessun blocco della salma per questioni di giustizia come ha ben intuito…. la salma sta nella c.d. camera mortuaria del cimitero perchè il Comune, dopo aver fatto versare quanto per l’assegnazione del loculo, non provvede all’assegnazione stessa adducendo soliti ritardi della ditta… degli uffici etc….
può immaginare lo stato d’animo dei parenti che ancora non hanno una tomba su cui piangere e anche le ovvie questioni sanitarie-igieniche…soprattutto con il passare del tempo e l’arrivo di temperature più miti
( confido che per quel periodo sia risolto)..
grazie ancora gentilissimo.
Luana
buongiorno,
sono un legale e avrei necessità di informazioni in una materia complessa e per me assolutamente nuova. quali sono i termini massima di giacenza in un deposito comunale ? potreste indicarmi la normativa di riferimento ?
X Luana Simonetti
1) i servizi cimiteriali (artt. 337, 343 e 394 Testo Unico Leggi Sanitarie) e quelli necroscopici, tra cui si annoverano, senz’altro, la raccolta salme incidentate in luogo pubblico o inidoneo a fungere da deposito d’osservazione su disposizione della pubblica autorità, lo stesso deposito d’osservazione, l’obitorio, il trasporto funebre per indigenti, fattispecie, quest’ultima ormai residuale ex art. 1 comma 7-bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26, data la generale onerosità del trasporto funebre, sono prestazioni erga omnes, obbligatorie per ogni Ente Locale ai sensi del combinato disposto tra il D.M. 28 maggio 1993, l’Art. 3 comma 1 lett. a) n. 6 D.Lgs n.216 del 26 novembre 2010, l’Art. 21, comma 3 L. 5 maggio 2009, n. 42. Esse sono poste a carico della fiscalità generale (si veda il D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194 sulla contabilizzazione di questi oneri, ancorché parzialmente abrogato o novellato da fonti successive e sovraordinate che , qui, per brevitas…e pigrizia trascuro!)
2) a norma del capo III del regolamento nazionale di polizia mortuaria approvato con D.P.R. 10 settembre 1990 ogni Comune deve necessariamente di strutture quali il deposito d’osservazione e l’obitorio, per imprescindibili esigenze igienico-sanitarie (riscontro diagnostico/autopsia, celle frigorifere, trattamenti conservativi…) o di ordine pubblico (salme “sotto procura” in quanto interessate da indagini dell’Autorità Giudiziaria, esposizione di ignoti per il loro riconoscimento o identificazione). Il tempo di permanenza delle salme dell’edificio deputato ad assolvere la funzione obitoriale è INDEFINITO ex art. 13 comma 1 lett.) b D.P.R. n. 285/1990, sin quando esse siano a disposizione della Magistratura, ossia sino al momento in cui essa, chiusa la fase istruttoria degli accertamenti per causa di giustizia, non emetta provvedimento liberatorio (è il cosiddetto nulla osta alla sepoltura del cadavere ai termini dell’art. 116 comma 1 D.Lgs n. 271/1989 recante disposizioni d’implementazione al Cod. Proc. Penale.).
3) Salvo l’intervento della Magistratura, comunque, predominante sulla fase eminentemente amministrativa della polizia mortuaria comunale; nei casi non al vaglio della Procura della Repubblica (“salma libera”, si suole dire in perfetto gergo necroforese intendendo, così, implicitamente il benestare delle competenti autorità al trasporto del cadavere in cimitero!) per gestire la tempistica della sosta dei defunti in deposito d’osservazione/obitorio,, una puntuale disciplina di dettaglio può e deve esser contenuta nel regolamento municipale di polizia mortuaria, per meglio contemperare l’erogazione del servizio mortuario e i bisogni della cittadinanza locale, soprattutto al fine di un’equa ripartizione degli oneri di conduzione di questa complessa ed imprescindibile attività necroscopica.
Rimango in attesa di Sue notizie…auspicabilmente positive!
La ringrazio; gentilissimo.
trattasi di ” salma libera” in giacenza presso c.d.deposito ( in realtà è locale indecoroso di rimessaggio attrezzatura edile del Comune ) da quasi oltre due mesi a causa delle lunghezze burocratiche di assegnazione del loculo. sto valutando un ricorso d’urgenza dinanzi al Trib. grazie ancora. La aggiorno a breve sul prosieguo. Il regolamento comunale in materia nulla dice in proposito per la tempistica
cordiali saluti Luana
Nel mio Comune, l’Associazione dei Pensionati ha avuto in concessione un lotto novantanovennale sul quale costruì, molti anni fa (50 circa), una cappella riservata ai soli soci della stessa. La mia domanda è questa:
Può il Presidente dell’Associazione “vendere” un loculo, sia ai soci dell’Associazione e sia a persone non iscritte alla stessa, per 25 anni stabilendone arbitrariamente il prezzo (si parte da 500€ fino ad arrivare a 1000€) ?
Grazie anticipatamente per la cortese risposta.
Distinti Saluti.
Ho dimenticato di specificare la regione di appartenenza: PUGLIA
X Sergio,
Nel caso di concessioni a confraternite (tecnicamente: enti o anche corpi morali), non deve essere in alcun caso confuso il rapporto di concessione intercorrente tra comune ed ente (confraternita) con i rapporti che intercorrano tra la confraternita e le persone che vi appartengano. Si tratta di un aspetto che é stato più volte segnalato su questo blog (almeno per chi abbia la pazienza di leggerci!)
L’art. 63 D.P.R. 10/9/1990, n. 285 ci fornisce qualche spunto di vera riflessione.
In caso di concessioni di aree (art. 90 d.P.R. n. 285/1990), si ha un duplice fine funzionale e strumentale, rispetto all’esercizio del personalissimo diritto di sepoltura.
a) concessione dell’area, ad un dato fine (concessione che attiene al demanio dell’area cimiteriale, e puo’ essere oggetto di costituzione, con regolare atto di concessione, di diritti di terzi (rispetto al titolare della demanialità)
b) realizzazione sull’area, così concessa, di un edificio sepolcrale affinché si possa far valere, atempo debito, lo jus sepulchri.
Il sepolcro, quando esso sorga come fattispecie famigliare, è sì di proprietà dei concessionari, anche se il suo diritto di utilizzo non e’ legato all’esercizio della proprietà di esso, bensi’ all’appartenenza alla famiglia ecc. ecc., sin quando duri la concessione, cessando quest’ultima, il manufatto cessa di essere di proprietà dei concessionari, per divenire (accessione, art. 935 Cod.Civile) parte del demanio.
Per inciso, si dovrebbe anche considerare quale sia la natura ed il significato di demanio.
Non si rileva incongruenza, qualora si tenga presente la distinzione tra la concessione dell’area, ad un dato fine, rispetto al manufatto erettovi.
Ma, trattandosi di concessione ad “ente”, va tenuto sempre presente come vi sia un doppio livello di rapporti, il primo intrattenuto tra comune ed ente, che puo’ anche essere (in relazione all’epoca in cui sia sorto) perpetuo. il secondo, invece, è una relazione giuridica, di diritto squisitamente PRIVATO, tra l’ente e le persone facenti parte di questo stesso, e come tale tutelabile avanti il Giudice Ordinario.
Sotto questo ultimo profilo la durata di permanenza di un feretro potrebbe anche essere a tempo determinato (essendo indipendente dal rapporto intercorrente tra comune/ente).
In caso di modifica dell’ordinamento dell’ente, che avvenga, ovviamente, in conformità alla sua natura, l’ente dovrebbe porsi la questione se rapporti pregressi possano subire modifiche a seguito di una successiva diversa regolazione dei rapporti tra ente/appartenenti (aspetto su cui, in assenza di altri elementi, e’ ben difficile fornire indicazioni di sorta).
La durata di questo secondo rapporto, é disciplinata dall’ordinamento/statuto dell’ente.
Nelle concessioni ad Enti la “lex sepulchri”, ossia la riserva delle persone che ex art. 93 comma 1 D.P.R. n. 285/1990 siano, quando ancora in vita, titolari dello jus sepulchri primario, nonchè la regola generale sull’ordine di assegnazione dei posti feretro, e sul tempo di permanenza dei defunti nella loro nicchia sepolcrale di cui risulteranno beneficiari, giusto per evitare capricci o abusi di sorta è determinata dallo statuto stesso del corpo morale; tradotto: solo i soggetti iscritti ed appartenenti per ciò stesso all’ente in questione potranno vantare il diritto di sepoltura. E’pertanto un comportamento indebito (per non dir di peggio!) la cessione del diritto d’uso sulle tombe in oggetto ad individui estranei, si richiama l’art. 92 comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (concetto chiarissimo, ma ripreso, se necessario, pure dalla circ. min. 24 giugno 1993 n. 24) sul divieto di lucro e speculazione nelle concessioni, soprattutto in quelle fatte ad enti, congreghe o confraternite, associazioni no profit…
Ad ogni modo, è tassativamente escluso dalla lettera della Legge che il Presidente possa “vendere” (nel senso di alienare) loculi, per altro non suoi, al massimo si potrebbe ragionare di un corrispettivo richiesto per l’uso dei singoli spazi di sepoltura a sistema di tumulazione. I sepolcri tutti, in quanto tale, sono, infatti, demaniali e questa loro natura impedisce atti di disposizione su di loro di natura privatistica (non compravendita, no, usucapione!). Ogni operazione in senso contrario (acquisto a non domino?) è nulla di diritto!
Caro Carlo,
continuando la mia serie di domande, volevo farLe presente che sono slegate e che ora è bene farLe un quadro esaustivo della situazione.
La informo che a scrivere è mia mamma.
Nel 1905 mio nonno chiede al comune di voler acquistare un suolo cimiteriale per la costruzione di una cappella.
Il comune gliela concede con delibera consiliare e la cappella in questione porta la scritta in rilievo “Famiglia …” (segue il nome della famiglia.
Mio nonno ha avuto 5 figli: due si trasferiscono in altri comuni lontani da Tursi (Matera), un terzo muore senza eredi e gli altri due figli, mio padre e mio zio, sposati, hanno avuto rispettivamente tre e due figli.
Nel 1953 muore mio zio (senza eredi) e viene tumulato nella cappella di cui sopra; nel 1956 muore mio padre e viene tumulato nella stessa cappella; nel 1960 muore mio zio (per precisare, la persona che ha avuto due figli) e anche lui viene tumulato nella stessa cappella.
Nel 1986 e nel 1987, muoiono rispettivamente mia zia e mio cugino, tumulati sempre nella stessa cappella.
Nel 2005, muore mia cugina, anche lei tumulata lì: ella, prima di morire, con testamento olografo, lascia tutti i suoi beni alla badante, compresa la cappella in questione.
Il testamento viene pubblicato come per legge.
A sua volta, la badante redige altro testamento a favore di un nipote; la stessa viene a mancare nel 2016 e viene tumulata nella cappella di famiglia, per volere del nipote, convinto d’essere il legittimo proprietario in virtù dei testamenti a favore prima della zia e poi del suo.
Prima della tumulazione della badante, ho fatto presente al responsabile dei servizi cimiteriali e al custode del cimitero la mia contrarietà ma non è servito a nulla.
Ho subito presentato al Comune di Tursi regolare richiesta di subentro e, nel mese di luglio 2016, mi è stata rilasciata relativa concessione.
Ottenuta la stessa, ritenevo e tuttora ritengo di essere l’unica persona avente diritto ad esercitare l’uso della cappella di famiglia.
Tale mio diritto viene contestato da chi si ritiene pieno proprietario della cappella in virtù dei testamenti di cui sopra.
Cosa mi consiglia di fare per far valere il mio diritto?
L’altra parte sostiene anche che, per aver ospitati altri defunti (i genitori della badante), la cappella non è più gentilizia ma ereditaria.
La prego di voler studiare la situazione e darmi la migliore risposta possibile.
RingraziandoLa ancora per la Sua collaborazione, porgo distinti saluti.
X Nicola,
Lei mi chiede chi, tra i due contendenti, abbia ragione, ma io non sono l’oracolo del Signore, nè il Suo profeta funerario, o più semplicemente il giudice di ultima istanza titolato a pronunciarsi in merito alla controversia.
Posso solo dirle questo ad integrazione delle precedenti risposte, sulle quali non ritornerò, per ovvie ragioni di brevitas espositiva.
1) se il sepolcro sorge, come mi par di capire, quale gentilizio (Suo nonno lo fondò per sè e la propria famiglia, ‘nevvero?) il subentro avviene unicamente per diritto di consanguineità e la tomba si tramuta in ereditaria solo una volta estintasi la discendenza del concessionario primo. E Lei, dopo tutto è ancora vivo, grazie al Cielo, quindi c’è ancora in vita qualche famigliare del originario fondatore del sepolcro.
2) Lo jus sepulchri non si eredita nelle consuete forme successorie che regolano l’ordinario trapasso del patrimonio, perchè è un diritto personalissimo, extra commercium ed indisponibile, esso si trasmette unicamente per vinculum sanguinis; semmai del sepolcro si possono ereditare le obbligazioni manutentive, ma non il diritto d’uso sullo stesso. Chi eredita un sacello, quindi, si trova nella paradossale situazione soggettiva di risponderne civilmente quanto alla possibile omessa cura manutentiva ex art. 2053 Cod. Civile, senza, però, poterlo usare al momento della propria morte.
3) Se la tumulazione degli estranei è avvenuta illegittimamente, ovvero sine titulo (ma il Comune ex art. 102 del Regolamento Nazionale di polizia mortuaria non dovrebbe preventivamente vigilare sui titoli di sepoltura, prima di autorizzare l’ingresso delle salme nel sepolcro?) Lei, quale nuovo intestatario della concessione, può, per tutelarsi contro la turbativa di sepolcro, esperendo le relative azioni (manutenzione e negazione) di difesa previste dal Cod. Civile agli artt. 1170 e 949 Cod. Civile) averso l’eventuale lesione al suo Jus Sepulchri, così da ottenere la rimozione dei feretri “clandestinamente” tumulati. Si rammenta che, almeno secondo la Cassazione (orientamento costante nel tempo) il diritto di sepolcro si atteggia quale diritto personale, reale e patrimoniale, laddove però la componente economica è solo funzionale al pieno esercizio dello jus sepulchri.
Grazie per le Sue preziose risposte e per i suoi consigli datici in questi giorni.
Vorrei sapere se, in una cappella gentilizia (familiare) ove sono seppelliti i genitori della badante dei concessionari, si ha la perdita del carattere familiare della stessa.
Resta sempre una cappella gentilizia ad uso esclusivo dei discendenti di sangue?
In attesa di risposta, porgo cordiali saluti.
X Nicola,
il sepolcro, all’atto della sua costituzione (quando, cioè le parti stipulano l’atto concessorio) può sorgere come famigliare o, in alternativa (ipotesi più rarefatta, ma comunque presente) o ereditario. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, poi, il sepolcro famigliare, o – se si preferisce – gentilizio, tramuta in ereditario quando si sia estinta la cerchia dei famigliari dell’originario fondatore.
Bisogna, poi, distinguere tra la titolarita’ della concessione e la legittimazione a disporre delle salme
La seconda pone su di un piano di parità i parenti nel grado piu’ prossimo, che devono, comunque, agire di comune accordo; la prima e’ elemento determinante per l’individuazione delle persone a cui e’ riservata la sepoltura in un dato sepolcro in concessione, infatti Infatti i familiari del concessionario sono, in genere, titolari dello jus sepulchri, ma non titolari della concessione, almeno sin tanto che non si verifichi la condizione del subentro.
Va, quindi, ricordato, come non sia il concessionario a stabilire o individuare arbitrariamente chi possa essere sepolto nel sepolcro in concessione, quanto il fatto dell’appartenenza alla famiglia (e la definizione di famiglia a tal fine é data dal regolamento comunale di polizia mortuaria).
Il concessionario potrebbe ampliare o restringere la definizione di famiglia pre-stabilita come riservataria del diritto ad essere accolta nel sepolcro (fino al limite della capienza fisica ex Art. 93 comma 1 II Periodo DPR 285/90) in sede di sottoscrizione dell’atto di concessione (e solo in questo memento) ed ai sensi dell’Art. 92 comma 2 DPR 10 settembre 1990 n. 285 il comune può concedere al concessionario la facoltà di tumulazione di persone terze (1), secondo criteri stabiliti dai regolamenti comunali. Parte della dottrina ritiene che solo il concessionario originario, cioè il fondatore (2) del sepolcro sibi familiaeque (3) suae (per sé e per la propria famiglia) possa “derogare” alla familiarità del sepolcro permettendone l’accesso alle spoglie mortali di soggetti terzi rispetto al nucleo famigliare, altri studiosi della materia funeraria, invece sono più possibilisti e tendono a mitigare la rigidità della norma, tuttavia configurandosi il diritto di sepolcro come mera aspettativa per cui l’ordine di sepoltura in posti all’interno di una tomba di cui si è contitolari di concessione, è, salvo patti contrari notificati all’Amministrazione comunale, in relazione all’ordine cronologico di morte occorre il consenso unanime di tutti i titolari di quote della tomba stessa perché si addivenga ad una compressione (6) del loro jus sepulcrhi.
Se ci atteniamo a questo schema La benemerenza, quindi presupporrebbe una tripla autorizzazione, rendendo molto difficile l’effettivo esercizio di questo diritto, occorrerebbero infatti:
L’autorizzazione del concessionario (ed essa deve superare un primo vaglio di legittimità ex art. 102 DPR n.285/1990), o meglio il locale ufficio della polizia mortuaria deve attentamente verificare il titolo di accoglimento nel sepolcro
L’autorizzazione di tutti gli aventi titolo ad esser accolti jure sanguinis in quella determinata tomba (il moltiplicarsi esponenziale degli aventi titolo a pronunciarsi aumenta sempre la conflittualità.
L’autorizzazione di chi può (o deve?) anche ai sensi dell’Art. 1 comma 7-bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26) occuparsi delle esequie del de cuius in quanto titolato in base al diritto di consanguineità enucleato dall’Art. 79 comma 1 II Periodo DPR n.285/90, ed in questo modo rinuncia al proprio potere di disposizione sul de cuius; la benemerenza, infatti si configurerebbe pur sempre come un gesto di liberalità.
Giova, infine, rammentare come i puntuali criteri per attuare concretamente l’istituto della benemerenza (introdotto nell’ordinamento italiano “solo” il 27 ottobre 1990, quiando cioè entrò in vigore l’attuale regolamento nazionale di polizia mortuaria), al fine di evitare distorsioni al legittimo jus sepulchri debbano esser dettate espressamente dal regolamento municipale di polizia mortuaria, altrimenti questa norma non sarebbe applicabile.
Dopo questa lunga premessa si può agevolmente constatare come, se non è stato attivato l’istituto della benemerenza, la tumulazione dei genitori della badante sia del tutto abusiva ed illegittima, poichè contraddice la natura famigliare della tomba gentilizia.
Questo uso improprio del sepolcro può (e deve!) esser causa di decadenza della concessione per grave violazione unilaterale (da parte dei concessionari) delle obbligazioni contratte al momento del perfezionamento dell’atto di concessione.
(1) Cassazione civile, Sez. II, 18 febbraio 1977 n. 727 Nel caso di sepolcro familiare, la titolarità dello jus sepulcri spetta ai componenti la famiglia del fondatore, legati al medesimo jure sanguinis, sempre che il fondatore non abbia diversamente disposto; infatti, la volontà del fondatore è sovrana, potendo senza limiti restringere od ampliare la sfera dei beneficiari del diritto e determinare entro quali limiti vada intesa, la famiglia ai fini della titolarità di tale diritto. Detta volontà può essere manifestata in qualsiasi forma, purché in maniera non equivoca, e può risultare anche indirettamente, in base ad elementi indiziari o presuntivi, rimessi alla valutazione del giudice del merito, il cui convincimento al riguardo costituisce giudizio di fatto, sindacabile in cassazione soltanto sotto il profilo della congruenza logica, del rispetto dei principi di diritto e dell’adeguatezza della motivazione
(2) Cassazione civile, sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134 Posto che, ai fini della determinazione della cerchia dei soggetti che hanno diritto alla sepoltura in un edificio sepolcrale, la concessione amministrativa fa soltanto presumere la coincidenza della figura del fondatore con quella del titolare della concessione stessa, assume rilevanza preminente la volontà del fondatore, che può essere manifestata in qualunque forma e risultare anche da elementi indiziari e presuntivi (nella specie, è stato qualificato cofondatore di un sepolcro il soggetto che, sebbene non titolare della concessione amministrativa, aveva contribuito per metà alle spese di costruzione e di mantenimento del sepolcro e il cui nome era inciso sul frontespizio della cappella, dove era stato seppellito insieme ad altri familiari).
(3) Corte d’appello di Perugia, 20 maggio 1995 Nel caso di sepolcro familiare, il diritto primario di sepolcro si trasmette a tutti coloro che sono legati al concessionario da rapporti di consanguineità, ivi compresi, in mancanza di discendenti diretti, i parenti collaterali, la cui presenza impedisce che il diritto di sepolcro si trasformi da familiare in ereditario
RingraziandoLa per la celere risposta, volevo sapere se, morto il fondatore, i consanguinei hanno tutti uguale diritto sulla cappella gentilizia o se uno solo di essi può, con testamento olografo regolarmente pubblicato, autorizzare la tumulazione della propria badante e donare in proprietà l’intera cappella di famiglia.
Le voglio precisare che il Comune, fatti i dovuti accertamenti, mi ha fatto subentrare alla concessione cimiteriale.
Per tale ragione, sono io la nuova concessionaria.
Cordiali saluti.
Caro Carlo,
ricollegandomi al discorso precedente e precisando che sto scrivendo a nome di mia mamma, La informo che nel 1905 Il Comune di Tursi (MT), con delibera consiliare, VENDE ad un privato cittadino un’area cimiteriale per la costruzione di una cappella.
Mi preme sapere se le successive leggi nazionali hanno modificato la qualifica da proprietario in concessionario o l’area cimiteriale è da ritenersi, ancora oggi, area privata e non area demaniale.
RingraziandoLa ancora per la cortese collaborazione, porgo distinti saluti.
X Nicola,
All’epoca del perfezionamento dell’atto, (a mio avviso di natura concessoria) di acquisto vigeva, come disciplina speciale di polizia mortuaria il Regio Decreto n. 448/1892; comunque no, non si è in presenza di una compravendita nel senso civilistico del vocabolo.
In effetti fatte salve rare, ma molto insolite situazioni, del tutto antecedenti al T.U.LL.SS. – Regio Decreto n. 1265/1934, e a condizione che il “bene” (singolo sepolcro) risulti autonomamente accatastato come “cimitero” privato di una data persona/famiglia, fattispecie, per altro oggi regolata dall’art. 104 comma 4 del DPR 10 settembre 1990 n. 285.).
Eccettuata tale ipotesi del tutto marginale (talmente rarefatta da ritenersi probabilmente esclusa, ma vigente il vecchio codice civile i sepolcri non afferivano ancora esplicitamente al demanio comunale: cfr. Art. 824 comma 2 Cod. Civile in vigore attualmente ), la risposta negativa si argomenta così: di norma una tomba di famiglia presenta la caratteristica per cui si é in presenza di una concessione di area cimiteriale (e, per questo, demaniale), cioe’ di un rapporto di diritto pubblico intercorrente tra comune e concessionario.
Nel caso di decesso del concessionario primo, fondatore del sepolcro, spetta al Regolamento comunale di polizia mortuaria definire le persone che subentrino in questo rapporto di diritto pubblico nei rapporti con il comune, nel senso di definire se queste persone – discendenti del concessionario – acquisiscano anch’essi la posizione di concessionario, oppure abbiano solamente il diritto di esservi sepolti.
Nei sepolcri privati all’interno dei cimiteri (con ciò intendendosi ogni forma di ‘sistemazione’ cimiteriale diversa dall’inumazione in campo comune), vi può anche essere una componente “patrimoniale” (concernente, quando vi sia concessione di area, nel manufatto sepolcrale e nelle opere murarie di cui esso consta assieme agli arredi votivi), che si estrinseca negli obblighi di manutenzione e conservazione dell’edificio sepolcrale medesimo, tuttavia essa è ontologicamente orientata al fine di consentire la sepoltura dei corpi del concessionario e delle persone appartenenti alla di lui famiglia, appartenenza che attiene ad aspetti “personali”, che prevalgono sugli aspetti ‘patrimoniale’, e, dunque, privatistici quando sussistano..
L’ambito di appartenenza alla famiglia del concessionario é (o, dovrebbe essere) stabilita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria e non rientra, di norma, tra i diritti (o, meglio, le aspettative) disponibili, seccezion fatta per la sola la possibilità di alcuni appartenenti alla famiglia di rinunciare all’utilizzo per se’ (e per i proprio discendenti).
Trattandosi di un rapporto di diritto pubblico, ne’ il concessionario ne’ i suoi (o alcuni di essi) discendenti sono legittimati a ‘vendere’ (non trattandosi di proprietà nell’accezione dell’art. 832 Cod.Civile, proprio per la demanialita’ dei cimiteri) o, comunque, a trasferire a terzi diritti (o, aspettative) di uso del sepolcro.
Oltre alla rinuncia (a titolo personale) già vista, il solo atto di disposizione sul sepolcro, che sia ammissibile è la rinuncia (= retrocessione) del sepolcro al comune, previo trasporto in altra sede dei feretri e la messa del sepolcro in condizioni di piena e normale utilizzabilità per altra assegnazione a soggetti terzi.
X Nicola,
1)la successione mortis causa nelle concessioni cimiteriali è tecnicamente definita “subentro” ed è disciplinata, in modo esclusivo, dal regolamento comunale di polizia mortuaria di cui ogni comune deve necessariamente dotarsi, ex Art. 344 e 345 Testo Unico Leggi Sanitarie.
2) Gli atti di disposizione sui sepolcri per acta inter vivos (compravendita, donazione…) o di ultima volontà un tempo previsti dall’art. 71 commi 2 e segg. Regio Decreto n. 1880/1942 sono illegittimi e nulli di diritto, quindi, a far data dal 10 febbraio 1976, quando, cioè entrò in vigore il penultimo regolamento nazionale di polizia mortuaria di cui al DPR n. 803/1975, che abrogava tutta la precedente normativa incompatibile, ma i suoi tratti più salienti si sono trasfusi nell’attuale DPR 10 settembre 1990 n. 285, in un quadro molto stabile, il quale, ad esempio, vieta espressamente all’art. 92 comma 4 il fine di lucro o speculazione nelle concessioni cimiteriali. Secondo altri studiosi della materia funeraria gli atti di disposizione sui sepolcri sarebbero inibiti dall’entrata in vigore del Libro III Cod. Civile, perchè con l’art. 824 comma 2 Cod. Civile i legislatore ha statuito la demanialità dei cimiteri con le logiche conseguenze riassunte nell’art. 823 Cod. Civile.
3) in caso di frazionamento tra più persone parimenti titolate della concessione si avrà uno “spacchettamento” in quote dello jus sepulchri da cui originerà una particolare comunione solidale ed indivisibile (questo, almeno, secondo un omogeneo orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione).
4) Chi rinuncia agisce solo per la parte di concessione di propria spettanza e produrrà, conseguentemente, un accrescimento delle restanti quote così formatesi ex art. 674 Cod. Civile.
5) IL diritto di sepolcro anche per le ragioni di cui al punto 2) non può esser ceduto nè donato, esso si acquisce ex capite unicamente per discendenza (se il sepolcro ha natura famigliare), ovvero per questioni di D.N.A., cioè di consanguineità. Paradossalmente una donazione potrebbe riguardare solo gli aspetti patrimoniali che dato il vincolo di destinazione del bene sepolcrale, poi, si tradurrebbero unicamente negli oneri manutentivi. Il diritto d’uso sulle tombe, pertanto non può transitare in capo a soggetti terzi come invece accade per le obbligazioni di carattere patrimoniale.
Buonasera,
Vi scrivo dalla regione Sicilia. Purtroppo mio nonno è venuto a mancare un paio di giorni fa e non eravamo propriamente preparati. La mia famiglia non possiede una tomba di famiglia e mia nonna, morta nel 2009, è stata seppellita in un cimitero mentre mio nonno, avendo ormai la residenza in un altro comune, è in attesa di sepoltura in un altro cimitero.
Ora, noi vorremmo tanto poterli far riposare insieme, purtroppo questo nostro essere impreparati ci ha portato a dover, intanto, prendere la decisione di seppellirlo in questo altro comune.
Arrivo quindi alla domanda: la mia famiglia è in possesso di un terreno (facente parte del comune dove si trova mio nonno) e ci è venuto in mente di chiedere se è possibile, che voi sappiate, costruire la propria tomba di famiglia su quel terreno, considerando ormai che i cimiteri sono sempre più pieni e poter avere tombe del genere è quasi impossibile.
Spero mi possiate dare delucidazioni a riguardo.
Grazie
X Marzia,
La fattispecie dei sepolcri privati e gentilizi (cioè solo ed unicamente famigliari) realizzati fuori del cimitero è disciplinata dall’Art. 340 comma 2 Testo Unico Leggi Sanitarie di cui al R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e dal Capo XXI del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR 10 settembre 1990 n. 285.
La procedura è complessa e prevede una delibera del consiglio comunale, sentita l’AUSL competente per territorio. Tutti gli oneri di questa laboriosa istruttoria sono a carico del richiedente.
in effetti il problema maggiore è che LA COSTRUZIONE E L’USO della cappella sono consentiti solo se l’edificio sepolcrale è attorniato per un raggio di 200 metri da fondi di proprietà delle famiglie
Inoltre per l’intero raggio di 200 metri tutt’attorno si va ad iscrivere sui terreni un vincolo di inalienabilità e di inedificabilità (esso da riportare sia nella cartografia di piano, sia nei registri della conservatoria dei beni immobiliari).
Se non si ha la piena proprietà dei terreni per un raggio di almeno 200 metri tutt’attorno alla cappella, NON si può autorizzare la costruzione della stessa.
E ovviamente non è ammesso l’uso della cappella nel momento in cui si debbano tumulare feretri.
NON si può ridurre la zona di rispetto di 200 metri, come, invece, previsto per i cimiteri, perché non è esplicitamente ammessa tale eventualità dal D.P.R. 285/1990, nè dalle recenti novelle legislative in materia di distanze cimiteriali ex art. 28 Legge n. 166/2002.
Gentile Signor Carlo,
Grazie per la pronta ed esauriente risposta.
Noi abbiamo un terreno agricolo di oltre 10.000 m, quindi il problema dei 200 m non si pone, per quanto mi renda comunque conto che si tratti di una procedura alquanto loboriosa. E presumo anche molto costosa, ma considerando oggi il costo di un loculo, forse conviene.
Grazie ancora.
X Marzia
Raggio di 200 metri significa che facendo una cappella di 4 metri X 4 metri occorre un appezzamento su cui apporre il vincolo di circa 160.000 metri quadri cioè 200 metri in ogni direzione