Un posto per l’al di qua
Forse, alla ripresa dei lavori del Senato, dopo la pausa estiva, si ricomincerà a discutere in commissione sanità di questi benedetti disegni di legge in materia funeraria.
Nell’editoriale precedente si sono evidenziate le principali problematiche irrisolte in ma-teria funebre dall’attuale DDL, ma ne sussistono altre.
Il testo attuale non fornisce adeguate garanzie affinché il sistema cimiteriale italiano mantenga quel carattere che lo contraddistingue da un paio di secoli. Occorre essere meno timorosi laddove si identifica la proprietà pubblica del cimitero e, per taluni, come il sottoscritto, occorre anche una chiara e decisa scelta di campo gestionale perché i crematori restino comunali (salvo quelli costruiti all’inizio del secolo passato dalle Socrem, che surrogarono allora la funzione comunale).
Siamo tra coloro che da sempre vedono con favore lo sviluppo della cremazione, purché sia concepita come soluzione gestionale utile alla incontrollata espansione dei cimiteri. Non certamente come scelta ideologica.
Al contempo occorre porsi la domanda di cosa può provocare la tumultuosa crescita della cremazione per i cimiteri e fare scelte precise per favorire la permanenza delle ceneri nei cimiteri, limitando a casi eccezionali e voluti dal de cuius la dispersione e l’affidamento.
Vi è poi da verificare se i primi anni di affidamento delle urne cimiteriali fuori dei cimite-ri hanno determinato effetti positivi o negativi nella società.
Le segnalazioni che ci pervengono portano a stabilire che la dispersione e l’affidamento non favoriscono la elaborazione del lutto e, inoltre, possono creare problemi non indifferenti nei rapporti familiari:
– l’affidamento univoco di un’urna ad un figlio, determina legittime domande e risenti-menti negli altri figli, esclusi da questa possibilità;
– il possesso di un’urna da parte di un familiare “in rotta” con altri familiari può creare ulteriori tensioni tra questi;
– la vendita di case dove sono custodite le urne cinerarie, talvolta può comportare che queste ultime permangano nella casa venduta o, peggio, ci sia qualcuno che se ne sbarazzi nottetempo per non aver “complicazioni”;
– l’affidamento “personale” scelto da talune leggi regionali, è in violazione della legge di principio (la 30 marzo 2001, n. 130) che prevede invece il solo affidamento familiare. Ma nessuno ha impugnato queste norme regionali. Col che si aprono scenari inquietanti nel diritto di disporre delle spoglie mortali, prima chiaramente limitato al coniuge e, in sua assenza, ai parenti più stretti.
Non nascondiamo poi la preoccupazione per la stessa sopravvivenza del sistema cimiteriale italiano (indipendentemente dal fatto che sia o meno pubblico) che, in alcune realtà territoriali – in particolare del Nord Italia – si sta trovando ad affrontare un passaggio epocale.
Si pensi che in certe città la cremazione è ormai oltre il 50%, con ripercussioni considerevoli anche dal punto di vista economico: in un cimitero quando si entra si paga il solo “biglietto” dell’uso del posto. E se quell’uso viene tolto o sostituito da soluzioni di basso prezzo, la copertura dei costi gestionali si riversa interamente sulla collettività o, peggio, si ha uno stato di abbandono del cimitero.
Le prime avvisaglie si sono colte proprio a Milano, dove la nascita della Misef, in realtà, nascondeva il problema serio di reperire velocemente risorse economiche (prima provenienti da concessione di sepolture) che la cremazione aveva distrutto, facendo una incursione anche nel settore marmoreo e floreale.
Infine il cimitero tradizionale è insidiato da soluzioni come il project financing, che vedono risultati immediati per la giunta municipale che lo sceglie, ma determina guasti notevoli nelle politiche gestionali di medio e lungo periodo.
Difatti il promotore ha tutto l’interesse a costruire al massimo per vendere posti anche e soprattutto vuoti, ridurre i tempi di concessione del project e lasciare i costi manutentivi a chi subentra a fine concessione. Tutto l’opposto di una sana e razionale gestione degli spazi cimiteriali e di un uso oculato del patrimonio pubblico.
Inoltre un promotore è generalmente un soggetto con cultura da immobiliare e non da gestore di servizi alla persona, con quel che ne consegue.
Ci auguriamo che i legislatori italiani sappiamo interpretare correttamente l’evoluzione cimiteriale in corso ed individuino soluzioni lungimiranti. La posta in gioco è infatti la permanenza o meno nel tempo di quel patrimonio cimiteriale italiano che in tanti altri Paesi ci invidiano e che rischiamo, con politiche miopi, di perdere.
Editoriale di Daniele Fogli, pubblicato su I Servizi Funerari 4/2009.
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