Times are changing – I tempi stanno cambiando
Il 2018, come lo si voglia giudicare indipendentemente dai propri orientamenti, è stato un anno sotto il segno della discontinuità. Il quadro politico è uscito mutato dalle elezioni di primavera. Assetti politici e prospettive dello sviluppo del Paese che sembravano consolidati sono stati stravolti dal voto. La stessa collocazione internazionale dell’Italia sembra aver perso i propri ancoraggi tradizionali, guardiamo sempre meno all’Europa e più altrove.
Alcune cose paiono invece essere rimaste immutate. Con una ostinazione che in passato avremmo trovato irritante – e che oggi produce una confortante tenerezza sul fatto che certe cose, in tanto cambiare, sono eterne – all’avvicinarsi delle elezioni della prossima primavera, ecco il ritornare, nelle Regioni interessate dalla consultazione, di una varietà di proposte di legge di riforma dei servizi funebri e cimiteriali, tutte peraltro scritte con lo stampino. Si tratta di iniziative fortemente volute dal mondo imprenditoriale, o almeno da una sua parte, nelle quali scopertamente (essere timidi è una cosa del secolo scorso) si afferma la necessità che l’impresa funebre diventi l’unico interlocutore delle famiglie, non solo per quanto riguarda i funerali, ma anche per ambiti che storicamente non le sono mai appartenuti, come quelli necroscopici e quelle cimiteriali. Da qui vari tentativi di assumere di funzioni e compiti appartenenti ad altri soggetti che operano nel settore funerario, in un disegno che presenta molti vettori di attacco. Sostituirsi agli ospedali nella cura del defunto prospettando il suo trasferimento in accoglienti Case Funerarie. Sostituirsi al servizio cimiteriale provvedendo a curare direttamente le attività di seppellimento. Sostituire i cimiteri comunali con crematori e cimiteri privati. Per converso, queste iniziative liberalizzatrici vengono accompagnate da proposte di ritorno al numero chiuso di imprese, ad un regime autorizzatorio che ricorda la ormai mitica Tabella XIV del Commercio, abolita da quasi due decenni in una di quelle che allora venivano chiamate le ‘lenzuolate’ del ministro Bersani. Numero chiuso che mantiene le oltre 6.500 imprese funebri esistenti e con ciò impedisce effettive evoluzioni delle dinamiche imprenditoriali.
Eppure i tempi stanno cambiano anche per il nostro settore. Nel giugno scorso, per la prima volta dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che aveva permesso l’iniziativa alle Regioni in tema di tutela della salute (e quindi anche di polizia mortuaria), il Governo è intervenuto portando una legge della Regione Calabria all’attenzione della Corte costituzionale. Gli argomenti di quell’impugnativa statale interessano gli eccessi della potestà legislativa regionale, più volte evidenziati in passato da più esperti del settore, ma mai – va sottolineato – avversati da organi istituzionali nelle sedi proprie. La posizione espressa dal (nuovo) Governo disarma per la estrema semplicità: non appartiene a misteriosi arcani di discipline iniziatiche, ma è di palmare evidenza costituzionale che, quantomeno, nei temi di ordinamento civile, di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di tutela della concorrenza e del lavoro, di ordine pubblico è lo Stato, e solo lo Stato, che deve intervenire. Le norme statali esistenti non possono essere stravolte da iniziative regionali che, anche animate dalle ‘migliori intenzioni (ci sarebbe da chiedersi migliori per chi?) finirebbero per creare delle disparità di trattamento tra i cittadini. In una parola, l’Italia sarebbe una e indivisibile e non uno Stato federale.
Non che in passato non si sia assistito alla rottura di grandi monopoli pubblici. Comunicazioni, Telefonia, Energia, Poste, Trasporti sono solo degli esempi di come questo Paese – con molte ambivalenze – abbia voluto modernizzarsi. Ma a rendere efficaci questi cambiamenti vi erano a supporto grandi player, in grado di movimentare grandi risorse finanziarie e muniti di una cultura d’impresa in grado di comprendere e gestire le complessità di servizi universali e distribuiti capillarmente. Sono state inoltre create apposite autorità statali di governo e controllo. Nulla di tutto questo esiste invece (o viene prefigurato) per lo smantellamento del sistema pubblico funebre e cimiteriale. Non grandi player, ma migliaia e migliaia di imprese piccole o piccolissime: le medie imprese funebri in Italia si contano sulle dita di poche mani e nessuna supera quel confine per dimensioni e fatturato. Non autorità preposte alla sorveglianza ed alla regolazione del settore, ma una varietà di leggi regionali confuse. Non controlli unitari, ma affidati ai singoli Comuni, incaricati (con quali risorse è da vedersi) di rilasciare autorizzazioni che abiliterebbero l’impresa ad operare dappertutto. Anche al più superficiale degli osservatori appare evidente che propositi di questo genere sono destinati a provocare più danni che benefici aprendo la strada a scenari ingovernabili e controproducenti anche per chi oggi così pervicacemente li agita. “Attento a cosa desideri ….” dice un noto aforisma “perché potrebbe realizzarsi”.
I tempi stanno cambiando e ci stanno cambiando. I cimiteri di oggi sono profondamente diversi (ed in genere più brutti e desolati) da quelli del passato. La cremazione sta aumentando il suo peso nelle scelte delle famiglie e con essa stanno sorgendo nuovi bisogni connessi al decoro delle cerimonie, al mantenimento della memoria ed alla privacy del defunto. Non si può tacere che il fatto che molte regole statali debbano essere aggiornate. Anche perché l’ultimo regolamento di polizia mortuaria data quasi trent’anni e, nato vecchio come Benjamin Button, non è purtroppo ringiovanito nel frattempo. Molte di quelle regole erano ispirate dal dirigismo liberale ottocentesco, pensate meritoriamente per assicurare, non solo una tutela sanitaria delle comunità, ma un welfare a classi po-vere senza altra occasione. Oggi tutto si è trasformato in una ‘sistema’ il più delle volte burocraticamente inceppato, capace di produrre una intollerabile omologazione verso il basso di esigenze fragili e delicate come sono quelle dei familiari in occasione di un lutto. Basti ad esempio pensare alla condizione brutale in cui versano i defunti in molti servizi mortuari ospedalieri, alle difficoltà e lentezze degli uffici comunali, alla fatiscenza di molti siti cimiteriali.
Al posto di cercare migliorare quello che c’è, la ricetta invocata da molti è la liberalizzazione. Non si pongano barriere all’esercizio della libertà dell’impresa funebre, si smantelli il monopolio del servizio cimiteriale. Pure l’ ‘Europa che ce lo chiede’. Una recente sentenza della Corte di Giustizia europea sui cimiterini di urne nel Comune di Padova sembrerebbe dare fiato a queste posizioni. In realtà non è così. Un conto è infatti la regolazione dei servizi pubblici, fra cui quelli funebri e cimiteriali, che deve sempre rispondere a principi di sussidiarietà e, se economici, di concorrenza. Un altro sono le funzioni ed i compiti irrinunciabili dell’Istituzione cimitero che in quanto tale attengono all’ordine pubblico o – come si diceva una volta – al grado di civiltà sociale, giuridica e amministrativa di uno Stato.
Non si possono, secondo le convenienze, importare costumi propri di altri assetti sociali e giuridici, senza compromettere l’ordinamento esistente. Basti pensare, ma è solo un esempio fra tanti possibili, che voler americanizzare il sistema funerario italiano prevedendo che le famiglie possano far tutto (amorevolmente soccorse dalle imprese funebri) richiederebbe tuttavia una fortissima espansione delle attività medico-legali. Negli States delle Case del morto con annesso crematorio e dei cimiteri privati, i defunti diventano di proprietà delle famiglie (che possono gestirli, pagando, come meglio credono) solo una volta liberati dagli accertamenti di giustizia. Il risultato è che su circa il 70% dei defunti vengono effettuate autopsie. E poi, i defunti per i quali non vi sia nessuno che può pagare una sistemazione privata, sono ammassati in anonimi cimiteri pubblici o direttamente cremati in feretri di cartone e dispersi. È proprio questo quello che vogliamo? Ne siamo pronti?
Il rischio è che la spinta di una maggiore umanizzazione delle pratiche funebri e cimiteriali, la richiesta di significatività dei riti e delle sepolture avanzata dalle famiglie venga-no semplicemente racchiuse sotto la categoria concettuale della liberalizzazione, con la falsa promessa che essa significhi maggiore ‘libertà’. È invece vero il contrario, per due motivi. In primo luogo un contesto liberalizzato non è equivalente a più libero, in quanto esso opera in funzione di interessi dell’operatore privato, fornitore di beni e servizi, non sempre coincidenti con quelli della committenza (da qui la necessità di una efficace regolazione delle imprese e della trasparenza delle loro transazioni, nonché di un controllo esterno adeguato, che forzatamente deve essere unitario e non parcellizzato in una miriade di Enti). In secondo, luogo l’esercizio del cordoglio e della memoria verso i defunti appartiene al novero dei diritti sociali che, nella loro accezione moderna, per esistere come tali devono aver luogo in forme sempre più partecipative ed allargate, altrimenti si traducono in espressione del privilegio di pochi a scapito dei molti. Da ciò discende una condizione che appare ovvia se la si voglia guardare con occhi limpidi, cioè che – senza alternative credibili – i servizi e le infrastrutture che assicurano la possibilità a quei diritti siano diretta espressione della volontà popolare, degli organismi che da essa scaturiscono (a loro volta sottoposti al suo controllo) e che da essa ricevano la spinta al miglioramento.
I tempi stanno cambiando anche in SEFIT, Daniele Fogli – il maestro di tutti noi – mantiene la referenza dei rapporti internazionali dell’Associazione e lascia la responsabilità della Commissione funeraria a Valeria Leotta, alla quale vanno i più calorosi auguri. Con una rinnovata composizione e con una nuova guida, la Commissione si appresta ad affrontare i cambiamenti che incombono e che sembrano ormai non posticipabili. Guardando agli scenari che sono di fronte, questa Rivista continua nella sua azione di analisi e approfondimento dei problemi a beneficio di quanti in questo settore vogliano davvero migliorare le cose ‘funerarie’ dandone prospettive, senso, dignità e decoro.
Editoriale di Antonio Dieni, pubblicato su I Servizi Funerari 1/2019.
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