Referendum: de profundis per l’articolo 23 bis

Referendum: de profundis per l’articolo 23 bis

«Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale.» «Volete Voi che sia abrogato il comma 1 dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.» A questi due quesiti, il 12 e 13 giugno 2011, la maggioranza degli italiani, unitamente ai due altri (sul No al nucleare e sul No al legittimo impedimento), ha risposto SI. Mentre il secondo quesito referendario determina solo per l’acqua il problema non indifferente della remunerazione del capitale investito (oggi il 7%, superiore a quel che in molti altri settori dell’economia viene riconosciuto dal mercato), la abrogazione dell’ormai famoso art. 23 bis pone diversi problemi interpretativi circa la normativa immediatamente applicabile. Vale semplicemente la norma previgente alla entrata in vigore dell’articolo 23 bis o la cosa è più complessa? La maggior parte dei pochi commentatori che fino ad ora si sono avventurati in tale interpretazione è concorde nel sottolineare che già la Corte Costituzionale, nell’ammettere il quesito referendario sui servizi pubblici locali, abbia stabilito, al punto 4.2.2. (con la sentenza n. 24 del 26 gennaio 2011) che: “Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte – sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (… meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.” Valutando per ogni singolo aspetto gli effetti della norma abrogata, tenendo conto della cornice comunitaria, si è dell’avviso che: a) È il Comune, nella propria autonomia, a decidere, una volta identificata la natura di servizio di rilevanza economica, se affidarne la gestione a terzi, se gestirlo con un società mista con gara a doppio oggetto o se gestirlo “in house”. Ben difficilmente si potrà – nonostante i tentativi in atto – ammettere la possibilità di gestione con azienda speciale (forma attualmente prevista nel caso di servizio privo di rilevanza economica); b) Permangono fermi i criteri previgenti per la identificazione di servizio con e senza rilevanza economica. E forse l’unico servizio che passerà al campo della non rilevanza economica a furor di popolo resterà principalmente la gestione integrata dell’acqua, anche se si dovrà trovare un qualche sistema per remunerare i capitali investiti (con valori più equi rispetto alla situazione ante referendum); c) la Corte costituzionale ha poi evidenziato, sempre in quella sentenza, che il concetto interno di rilevanza economica e quello comunitario di interesse economico generale, inteso come “un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalità di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell’esercizio di un’attività economica, cioè di una qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, anche potenziale e, quindi, secondo un metodo economico finalizzato a raggiungere, entro un determinato lasso di tempo, quantomeno la copertura dei costi” sono omologhi, ma questo – di fatto – significa che la Corte detta una definizione di servizio a rilevanza economica, a cui gli Enti Locali dovranno attenersi, nel classificare i propri servizi pubblici locali; d) È possibile, con giuste motivazioni, che un Ente Locale auto produca servizi pubblici locali con una società “in house”, purché siano rispettati i dettami comunitari (contenuti nella nota sentenza Teckal). Sparisce quindi sia la eccezionalità del ricorso alla “in house”, sia il parere dell’AGCM sulla scelta dell’Ente Locale; e) Non vi è più l’obbligo di scelta per le gare a doppio oggetto di socio che svolga compiti operativi, potendo l’Ente Locale scegliere anche un socio con altre caratteristiche (ad esempio finanziarie). Non vi è più l’obbligo temporale di cessione di privatizzazione di quote predeterminate del capitale societario (ad es. almeno il 40%, ma anche le norme per la cessione di quote per multiutility quotate); f) Anche la norma sul periodo transitorio cessa i suoi effetti. E qualche problema si aprirà per chi aveva già indetto la gara in applicazione della previgente normativa. La dottrina, in questi casi è dell’idea che “in caso di abrogazione referendaria dell’art. 23 bis, rimarrebbero validi ed operativi tutti i rapporti nel frattempo sorti e ad esso conformi. E ciò sia in ragione dell’irretroattività degli effetti dell’abrogazione referendaria. E sia perché, essendo le modalità di affidamento previste dall’art. 23 bis più concorrenziali rispetto a quelle desumibili dai principi comunitari, sarebbero, con queste, pienamente compatibili (A. Avino – maggio 2011)”; g) Cessa buona parte delle norme di favore per le società multiutility quotate in borsa; h) Spariscono i divieti di cui al comma 9 dell’articolo 23-bis; i) Sparisce il regolamento Fitto – D.P.R. 168/2010, in quanto applicativo dell’articolo 23 bis e conseguentemente le limitazioni in esso contenute, nonché le abrogazioni da esso dettate, e infine l’obbligo della ricognizione di cui all’art. 2, comma 1, di verifica della gestione concorrenziale e di limitazione dei diritti di esclusiva; j) Cessa una serie di limitazioni (contenute nel Regolamento Fitto – D.P.R. 168/2010) in materia di incompatibilità, introdotte per scongiurare conflitti d’interesse tra soggetto affidante e soggetto gestore; k) È eliminata la prevalenza sulle discipline di settore con esso incompatibili, delle norme dell’art. 23 bis, e questo potrebbe rimettere in gioco il DDL di riforma del settore funerario, ancora su un binario morto al Senato. Questi sembrano i primi e principali effetti dell’abrogazione referendaria per ogni tipologia di servizio pubblico a rilevanza economica (tra cui si ritiene vi siano i servizi cimiteriali, quelli di cremazione e di illuminazione elettrica votiva), ed è possibile che intervenga un provvedimento governativo d’urgenza tendente a fornire indirizzi applicativi. Forse sarebbe opportuno evitare una scelta affrettata per non dover poi fare ulteriori cambiamenti in corso d’opera. Troppe sono state ormai le norme che hanno interessato i servizi pubblici locali nell’ultimo decennio, spesso lacunose e talvolta invertendo scelte di politiche industriali senza ragione. La situazione pertanto presenta un quadro di incertezze che non favorirà investimenti (anche di capitali esteri) nei servizi pubblici locali italiani per qualche tempo, in attesa che si chiariscano gli orizzonti almeno di medio periodo. Ma è indubbio che la difficile situazione economico-finanziaria complessiva del Paese, come anche le ristrettezze degli Enti Locali, determineranno: – o svolte conservative di gestione, con parallela ridefinizione di politiche tariffarie capaci di garantire adeguati ritorni economici agli Enti Locali gestori diretti; – o il permanere di dismissioni di attività specie nei territori a minore vocazione gestionale propria (ad es. nel Centro e nel Sud Italia); – o dismissioni per necessità laddove la situazione finanziaria obblighi i comuni a cedere quote più o meno rilevanti dei “gioielli di famiglia” per far cassa e garantire il sostentamento delle casse comunali. Pertanto nel medio lungo periodo i cambiamenti determinati dall’esito dei referendum sugli scenari gestionali si misureranno essenzialmente su: – Possibilità di investimento e di gestione lasciate agli EELL dal Patto di stabilità interna; – Inclusione o meno delle società in house nel Patto di stabilità interna; – Volontà degli Enti Locali di mantenere le gestioni dei servizi pubblici locali, con paralleli processi di forte efficientamento di tali servizi e di loro redditività da riversare nelle casse comunali (perché far guadagnare i privati se lo stesso guadagno può consentire ad es. di essere conteggiato nel patto di stabilità?). Quel che gli italiani hanno inequivocabilmente detto attraverso il risultato referendario è che credono ancora nella natura e nella funzione dei servizi pubblici locali, più di quanto ci credano i loro amministratori. E sta a questi ultimi, nonché alla dirigenza delle imprese pubbliche, cogliere questa ultima chance e mettersi in gioco accettando la sfida che è loro stata lanciata.

Editoriale di Daniele Fogli, pubblicato su I Servizi Funerari 3/2011.

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