L’evoluzione della cremazione in Italia
Il 20 settembre 2006 è caduto il primo centenario della nascita della Federazione Italiana per la Cremazione. È l’occasione per fare il punto sulla situazione evolutiva della cremazione nel nostro Paese.
In Italia la cremazione, nel corso del 2005, ha superato, pur se di poco, le 48.000 unità di cadaveri, su un numero di decessi di poco più di 567.000.
Incide, pertanto nell’8,5% del totale delle sepolture.
La cremazione è passata da circa 3.600 unità nel 1987, anno in cui venne introdotta la gratuità della cremazione, alle circa 30.000 del 2000.
Successivamente, all’inizio del 2001, la cremazione divenne ordinariamente a pagamento, come anche la inumazione in campo comune.
La onerosità non incise più di tanto nel trend rialzista, tanto che nel giro di cinque anni la cremazione ha raggiunto e superato le 48.000 unità annue.
È probabile che la cremazione passi dall’8,5% attuale al 30% nel 2050 (valori medi italiani, ma profondamente diversi tra Nord, Centro e Sud).
I due scenari alternativi, rispettivamente di minima e di massima, possono vedere la cremazione raggiungere il 25% e il 35%.
In termini numerici si ritiene probabile un numero di cremazioni nel 2050 prossimo alle 178.000 unità (contro le 48.196 del 2005).
Lo scenario minimo prevede 148.000 cremazioni e quello massimo quasi 208.000.
In tutta Europa è in atto una crescita della cremazione, che comprime le forme di sepoltura tradizionali (in genere negli altri Paesi è più diffusa la inumazione in terreno che non la tumulazione).
La media europea per l’anno 2002 vede la cremazione al 34% delle preferenze della popolazione, in lenta, ma continua crescita.
Lo sviluppo della cremazione è una necessità, specie nelle grandi città, dove vi è difficoltà a trovare spazi nei cimiteri.
Viene ritenuta, sostanzialmente a ragione, più ecologica delle altre forme di sepoltura.
È percepita dai cittadini come più economica delle altre forme di sepoltura e nel suo sviluppo è determinante avere impianti a distanza limitata (ad es. entro un raggio di 30 chilometri).
Elementi negativi e frenanti il suo sviluppo sono:
– la lontananza dal crematorio;
– la frammentazione temporale della cerimonia, dovuta alla serialità degli interventi;
– la mancanza di una posizione chiara della Chiesa in materia e soprattutto la carenza di una liturgia per chi sceglie la cremazione;
– la carenza di sistemi di memorializzazione propri della sepoltura di urne cinerarie (i cimiteri sono orientati al seppellimento di feretri, non di urne);
– una normativa incompleta e poco chiara per l’applicazione, frutto di stop and go, di interventi dapprima statali, poi regionali e ora comunali: una situazione applicativa a macchie di leopardo sul territorio;
– la difficoltà di installazione di nuovi impianti, per il timore (inconscio, ma non reale) di inquinamento. È più un problema psicologico, dato dalla percezione che dalla ciminiera esca un distillato di morte e non, come succede nella stragrande maggioranza dei casi, fumi controllati, con livelli di emissione entro i range ammessi.
Editoriale di Daniele Fogli, pubblicato su I Servizi Funerari 4/2006.
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