Beati gli ultimi
Da mesi sono all’esame, presso la XII Commissione della Camera dei deputati, molteplici disegni di disciplina delle attività funerarie. Appare una giusta attenzione verso una non residuale parte dei diritti fondamentali di cittadinanza, quelli della libertà di scelta, nei riti funebri e nelle destinazioni di sé o dei propri defunti.
I ‘I Servizi funerari’ ha già dato conto di quanto emerso nelle audizioni tenute presso la Commissione. Dato condiviso è quanto le attuali normative risultino carenti e su come diventi necessario ed urgente armonizzare il concorso dei soggetti pubblici e privati che costituiscono, a vario titolo nelle diversità locali, il “sistema funerario italiano”.
Venendo alle cose positive, molti ddl prefigurano l’adozione di standard omogenei: l’UNI EN 15017:2019, pacificamente riconosciuta in Europa, oltre all’UNI 11520:2014 e UNI 11519:2014 per i feretri. Al tempo stesso, con unanimi accenni, le attività funebri verrebbero precluse a quanti si siano macchiati di reati odiosi impedendo che essi possano, a qualsiasi titolo, operare in contatto di persone infragilite dalla perdita e nelle loro case. Auspicabile tuttavia che ai legislatori chiamati alla riforma fossero fornite maggiori in-formazioni su quanto avviene fuori dall’Italia. A prescindere dalle seduzioni esterofile, il ‘nuovo’ sistema, come emerge dai ddl, sembra essere un gioco a somma zero: immutati i soggetti, si toglierebbe all’uno per dare all’altro. Riteniamo invece che l’efficacia di una riforma stia su quanto costruisca per il futuro, piuttosto che attardarsi a regolare i conti passati.
Ci permettiamo di individuare alcuni temi.
Innanzitutto occorre definire un fondamento comune per chi operi nel settore, in modo da ancorare le attività funerarie ad una solida base valoriale che contemperi la tutela dei soggetti deboli con la legalità, che riconosca quali funzioni, per la loro universalità, debbano essere gestite da enti pubblici e quali altre siano da svolgere in mercati concorrenziali, determinando così regole certe per la libera iniziativa dell’attività funebre e di quella delle altre imprese dell’indotto, eccellenza quest’ultima nell’imprenditoria italiana.
In secondo luogo è necessario che sulle materie come ordinamento civile, concorrenza, rapporti con le confessioni religiose, ordine pubblico e sicurezza, stato civile, coordina-mento informativo e statistico dei dati delle amministrazioni pubbliche, nonché determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che incidono su diritti civili e sociali, vi sia un intervento dello Stato e che gli altri livelli di governo siano compartecipi e non competitori nella attuazione di indirizzi unitari.
Allo stesso modo sulla tutela della salute – materia ancora oggi frammentata tra Regioni, Asl, Comuni e Sindaci – occorrerebbe dare peso al sistema sanitario per consentirgli di fare bene quello sa fare. Si eviterebbero ridondanze di strutture e di personale, con economie nella spesa pubblica e miglioramenti dei servizi istituzionali. Decisivo intervenire sull’attuale regolamento nazionale di polizia mortuaria semplificando la produzione e circolazione delle informazioni.
L’integrazione tra la medicina di base e d’urgenza con i medici necroscopi consentirebbe a questi ultimi di agire in tempi più contenuti, in un quadro di certezze diagnostiche e di esclusione di indizi di reato. I defunti potrebbero essere ‘restituiti’ prima alle cure dei propri familiari e tutti dopo adeguati accertamenti sulle circostanze del decesso.
Andrebbero riunificate chiaramente, sotto la responsabilità dell’ufficio di stato civile, le autorizzazioni alla cremazione, dispersione ed affido delle ceneri in occasione di decesso e lasciate alla competenza di altri uffici comunali quelle ai trasporti entro e fuori Comune ed anche, tramite un’unica piattaforma procedurale in raccordo con i ministeri competenti, quelli internazionali, nonché quelle relative alla gestione dei resti mortali.
Nei ddl viene normata, per la prima volta, l’attività funebre, tuttavia il suo carattere libero-imprenditoriale non dovrebbe essere ristretto con surrettizi ritorni al ‘numero chiuso’.
Mentre non sarebbe contrario al libero mercato disciplinare gli esercizi funebri con procedure telematiche certificate per l’accreditamento e gli scambi documentali con la pubblica amministrazione. Considerati i numeri in gioco basterebbe un’unica architettura di banche dati, statali e regionali, consultabile per i soli interessati, per monitorare e tenere aggiornate le informazioni delle SCIA depositate presso il Comune (ad oggi esistono più Comuni che imprese funebri) e quelle relative ai contratti stipulati e ai mandati ricevuti.
La libertà di scelta, richiamata da molti disegni di legge, non è un bene astratto, ma da garantire concretamente in transazioni che vanno regolate secondo il Codice del consumo ed il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Mentre per l’effettivo contrasto della piaga del procacciamento dei servizi occorrerebbe promuovere e diffonde-re di forme terze di orientamento a beneficio delle famiglie.
Venendo ai controlli, i Comuni o le ASL possono contribuire mettendo a disposizione i loro dati, ma sarebbe improprio che essi, oltre la polizia mortuaria, fossero anche responsabili di attività che, inerendo regimi d’impresa, rapporti di lavoro e tra privati, richiedono professionalità e mezzi d’indagine adeguati. È necessario un approccio multilivello, prevedendo il concorso delle Forze di polizia, dell’Ispettorato del Lavoro e dell’Agenzia delle entrate, che operano già in altri settori e che dovranno poter acquisire le informazioni sul funerario dalle banche dati che già usano.
Viviamo in un mondo sempre più interconnesso, le imprese affrontano le complessità dell’industria 4.0 e la pubblica amministrazione integra poderosi database (es. fatturazione elettronica o certificati medici all’INPS). È invece singolare che, ancora oggi, per i decessi, uffici e imprese attuino procedure ottocentesche di scrittura cartacea e che obbligano a spostamenti fisici di persone e documenti. Si tratta di lentezze e costi che vengono scaricati sulle famiglie e che lasciano il settore languire nel buio delle miserabili discrezionalità nell’aggiustamento dei vari passaggi, impedendo che possa svilupparsi nella luce dell’agibilità dei diritti per famiglie e imprese.
Semplificare norme, abilitare i procedimenti a integrare documenti digitali, trasferire conoscenza su piattaforme informatiche consentirebbe di mettere in rete prassi uniformi nel sistema funerario, con risparmi di costi, celerità di acquisizione e gestione di dati (già codificati e scambiati per altri fini: anagrafiche di persone e imprese, malattie, parentela, indirizzi, case funerarie, luoghi di commiato e di culto, itinerari, cimiteri), tempi contenuti per il rilascio delle autorizzazioni ed evidenti ricadute sui costi di monitoraggio dei fenomeni demografici e sanitari e del contrasto agli illeciti.
Il compimento di questi propositi richiederebbe certo un periodo di transizione e norme di raccordo, tuttavia senza avvenirismi, né suggestioni da ‘grande fratello’, la riforma dovrebbe far guardare al settore con occhi nuovi, ‘aprirlo’ ad una maggiore integrazione tra procedimenti pubblici e attività private, senza perciò richiedere l’impiego di dispositivi diversi da quelli già acquisiti e diffusi universalmente. Sarebbe l’occasione per unire concretamente questo Paese e, per lo Stato, superando i particolarismi, l’opportunità di agire positivamente con Regioni, Comuni e Associazioni di categoria. Forse è giunto il momento anche per i servizi funerari, oggettivamente ‘ultimi’, di entrare nella modernità.
Editoriale di Antonio Dieni, pubblicato su I Servizi Funerari 2/2020.
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