Violazioni al Regolamento comunale di polizia mortuaria e sistema sanzionatorio – 1/2

Partiamo dalla Costituzione della Repubblica Italiana, la quale, sebbene tacciata, nei primi anni ’50 del secolo scorso, da un Ministro di essere una “trappola”, continua ad essere la legge fondamentale di riferimento per l’ordinamento giuridico nazionale, tanto che si rincorrono proposte per sue modifiche, in un senso od in altro.
L’art. 23 Cost. pone una riserva di legge con la disposizione per cui: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, da cui consegue che le fonti di rango secondario, quali i regolamenti, non costituiscano fonte idonea per stabilire un qualche sistema sanzionatorio.
Parlando del Regolamento comunale di polizia mortuaria si deve considerare che i comuni (così come le province e le città metropolitane) siano titolari di potestà regolamentare (art. 117, comma 6, terzo periodo Cost.), ma privi della potestà legislativa, non senza dimenticare che i comuni, e le province (le città metropolitane sono di più recente introduzione), hanno goduto di potestà regolamentare anche prima della L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, da ultimo con l’art. 7-bis T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. (in via incidentale, ma ciò non è secondario, si ricorda come questa disposizione sia vigente dal 4/2/2003, in quanto introdotta dall’art. 16 L. 16 gennaio 2003, n. 3; dato il tempo trascorso non merita di approfondire la situazione immediatamente antecedente) e, prima, con la L. 8 giugno 1990, n. 142 e, prima ancora, con i diversi T.U.L.C.P. nel tempo succedutisi a partire dalle primissime norme post-Unitarie.
Se ne dovrebbe trarre la conseguenza che il Regolamento comunale di polizia mortuaria, quale fonte di rango secondario, non abbia titolo a regolare un qualche sistema sanzionatorio.
Per altro non mancano Regolamenti comunali di polizia mortuaria che presentano disposizioni in questo senso.
Ricordiamo che, quando vigente, l’art. 106 T.U.L.C.P., R. D. 3 marzo 1934, n. 383 (norma espressamente abrogata con effetto dal 13 giugno 1990 con l’art. 64, comma 1, lett. c) L. 8 giugno 1990, n. 142 e, successivamente, rimasta abrogata dall’art. 274, comma 1, lett. a) citato T.U.E.L. (con l’abrogazione integrale del predetto T.U.L.P.)) prevedesse che le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali sono punite con l’ammenda fino a lire … (non rileva, ormai, l’importo così stabilito nel massimo).
Il successivo art. 107 stesso T.U.L.C.P. prevedeva (al comma 3) che “La misura della somma che deve essere pagata ai sensi del comma primo, è determinata, in via generale, per ciascuna specie di contravvenzione, con ordinanza del Podestà, il quale può anche stabilire che per determinate categorie di contravvenzioni non si faccia luogo all’oblazione prevista dal presente articolo.”, disposizione antecedente alle disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689 e s.m. (in vigore dal 15/12/1981 e le cui norme di attuazione sono intervenute col D. Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 e s.m.), che ha regolato diversamente questi aspetti, non solo per il fatto di avere operato diversamente la regolazione (se si vuole, graduazione entro la misura massima) della misura della sanzione amministrativa pecuniaria, non più rimessa ad organo monocratico, ma anche per altri aspetti.

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Sereno Scolaro

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