Unioni civili e convivenze di fatto: non confluiscono in medesimi effetti

Premessa d’inquadramento
A tutti può essere più o meno nota la L. 20 maggio 2016, n. 76 o, almeno, è nota per avere affrontato materie in precedenza non regolate.
Non interessa illustrarla, ma solo cercare di “mettere a fuoco” gli effetti che possano aversi nel contesto funebre, cimiteriale e di cremazione.
Il primo aspetto, che si vuole mettere in evidenza, è il fatto che l’unione civile tra persone dello stesso sesso e la convivenza di fatto, per quanto istituti considerati dalla medesima legge, non sono, per così dire, “sovrapponibili”, non sono due forme pertinenti a situazioni in qualche modo analoghe, con la conseguenza che anche i loro effetti non sono, né possono essere, gli stessi, come potrebbe ritenersi in ambienti talvolta noti per essere poco riconosciuti sotto il profilo della qualità e magari esposti a contesti, in cui la fedeltà prevale sulla tecnica.
Infatti, non va ignorato che la prima affronta delle relazioni tra persone, di un dato contenuto, in una società in cui storicamente è presente altro istituto (ci si riferisce al matrimonio per cui, in ambito italiano [1], non si è voluto, o non vi erano le condizioni, rendere espliciti alcuni elementi, tra cui la diversità/identità di genere); la seconda fornisce una regolazione di rapporti tra persone che, per la diversità di genere, potrebbero accedere all’istituto del matrimonio (che, ovviamente, non presuppone solo diversità di genere, ma richiede anche altre condizioni) [2].
Proviamo, per quanto sommariamente, e, comunque, avendo attenzione al contesto che interessa, a delineare i due istituti, sempre con riguardo alla materie assunte fin dall’inizio a riferimento.

L’unione civile tra persone dello stesso sesso
Se si affronta la L. 20 maggio 2016, n. 76 fin dai primi commi [3] si può cogliere come l’unione civile, tra persone delle stesso sesso, sia costituita tra persone del medesimo genere e con forme, modi e condizioni in cui è presente, come una sorta di “fantasma innominato” il matrimonio, al punto che gli stessi atti di attuazione (Cfr.: commi da 28 a 34) della legge (di questa parte della legge) hanno operato con apporti di analogia.
L’aspetto, che merita di essere richiamato, è la previsione contenuta nel comma 20 [4], pur con le sue salvaguardie (e si suggerirebbe anche una lettura dei commi da 21 a 27), porta ad una sorta di “assimilazione” (sia permesso parlare di “assimilazione”, negli effetti) degli effetti dell’unione civile, tra persone dello stesso sesso, con gli effetti del matrimonio.
Ad esempio, con essa viene a sorgere il rapporto di affinità (art. 78 C.C.), con la conseguenza che la parte di un’unione civile, tra persone dello stesso sesso, si trova nella posizione di poziorità, sotto il profilo degli atti di disposizione delle spoglie mortali, (termine che si usa per indicare il corpo della persona defunta, indipendentemente dallo “stato” in cui si trovi (salma, cadavere, resti mortali, ossa, ceneri o altro), dato che anche il successivo comma 22 individua la morte (o la dichiarazione di morte presunta) come causa dello scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Di qui consegue, anche, la prevalenza della parte superstite sui parenti sull’esercizio della potestà dispositiva delle spoglie mortali, quale ne sia la pratica funeraria cui si faccia ricorso.

La convivenza di fatto
Il comma 36 prevede che per conviventi di fatto si intendano due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, disposizione cui fa seguito il comma 37 con cui si precisa come, per l’accertamento della stabile convivenza, si faccia riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e all’art. 13, comma 1, lett. b) del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 e s.m.
Il comma 40 prevede che ciascun convivente di fatto possa (atto volontario e facoltativo) designare l’altra persona convivente quale proprio rappresentante, con poteri pieni o limitati, in due fattispecie e, alla lett. b), espressamente: “””b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.“””
Per le modalità di questa designazione a rappresentante, sia in caso di poteri pieni che limitati, il successivo comma 41 prevede che la designazione sia effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.

Raffronto tra i due istituti
Da quanto precede, appare evidente che il primo dei due istituti porta ad un'”assimilazione” (a prescindere da ogni altra valutazione, l’uso di questo termine ha il pregio della brevità e dell’immediatezza concettuale) tra coniuge e parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, mentre nel secondo è richiesta una “designazione”, non solo espressa, ma rispondente a specifiche modalità di forma: non solo ma la “designazione” (si ripete facoltativa e volontaria) attribuisce non una potestà diretta, ma una “rappresentanza”, per cui il convivente di fatto non agisce in nome proprio, ma, per l’appunto, quale “rappresentante” del convivente defunto e, in più, nei limiti (se siano stati posti, o con pieni poteri, se esplicitamente oggetto della “designazione”) indicati dal convivente deceduto. Non pare una differenza di poco conto.


[1] – A mero titolo esemplificativo, la Spagna con la L. 1° luglio 2005, n. 13, è intervenuta in materia, prevedendo, tra l’altro, la modifica dell’art. 44 C.C. (spagnolo) il cui testo è oggi il seguente: “”“Art. 44 (I) El hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio conforme a las disposiciones de este Código. (II) El matrimonio tendrá los mismos requisitos y efectos cuando ambos contrayentes sean del mismo o de diferente sexo.“””, formulazione che richiama esplicitamente il matrimonio. La legge italiana ha voluto, si ritiene intenzionalmente, sottrarsi dal fare riferimento all’istituto matrimoniale.
[2] – Già nella titolazione (rubrica) della L. 20 maggio 2016, n. 76 si può notare che per l’unione civile tra persone dello stesso sesso si usa il termine di regolamentazione, mentre per le convivenze (di fatto, ma, forse, non solo …) si usa il termine di disciplina.
[3] – Dal momento che la legge è costituita non da una pluralità di articoli, ma da un unico articolo, per ragioni di brevità espositiva, si richiameranno, all’occorrenza, solo questi, fermo che le/i lettrici/lettori dovranno mantenere presente che il riferimento è all'”articolo, 1, comma …(citato)”.
[4] – L’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76 recita: “”” 20. Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti. “””

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Sereno Scolaro

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