All’incirca quattro o cinque decenni addietro (ma la datazione è del tutto non rilevante, come è evidente: erano i tempi in cui gli accessi avvenivano agli sportelli e non ancora in open spaces e su appuntamento prenotato on line) una persona ebbe a contestare, allo sportello, il fatto che in un dato comune le modalità costruttive di una certa tipologia di sepolcri, oggetto di concessione cimiteriale, fosse diversa rispetto a quella presente al “mio paese”, dolendosi del fatto di non poter contare sulla medesima tipologia.
In numerose occasioni in cui le persone cercano di proporre quesiti, possibilmente a titolo gratuito (cosa che si può anche comprendere umanamente, ma che confligge con le esigenze di riscontri di una certa qualificazione, oltreché con l’esigenza di supportare una qualsiasi attività), magari su portali cui si arrivi, anche, utilizzando motori di ricerca, vi è, spesso, la richiesta di chiarimenti circa quali siano le “regole generali” (possiamo parlare di “standard uniformi”?) che regolano questo o quell’aspetto in materia di concessioni cimiteriali, cui, altrettanto spesso, non residua che rappresentare il fatto che occorra fare riferimento a “regole particolari”, cioè al (singolo) Regolamento comunale di polizia mortuaria, cosa che lascia in genere perplesse le persone c.d. “non addette ai lavori”, cioè le persone il cui interesse sorga per situazioni continenti e, a volte anche, per contenziosi con altri loro familiari.
Se è ben comprensibile che, dal punto di vista delle persone che non abbiano un approccio professionale, possa esservi la ricerca di indicazioni a valenza generale, dall’altro lato non può sottovalutarsi altresì il fatto che si tratta di aspetti che non possono che essere affrontati, e regolati, in modo specifico realtà per realtà, a volte anche con “particolarità” all’interno di un medesimo comune e/o di un medesimo cimitero, per i comuni che dispongano di una pluralità di cimiteri.
Si tratta di esigenze che richiedono un equilibrio, aspetto che trova uno strumento importante nella comunicazione che venga, doverosamente, fornita alle persone. Tenendo conto, altresì, di comportamenti posti in essere dalle persone.
Si pensi al caso di un decesso di un concessionario, quando gli aventi titolo (es.: coniuge, figlie/i, ecc.) rinvengano l’esemplare dell’atto di concessione a suo tempo stipulato tra le c.d. carte di famiglia, esemplare che può essere percepito come assibilabile con ricevute di pagamenti di differenti utenze, magari da eliminare o, quando conservato, senza che vi sia una qualche individuazione di quale, tra i più soggetti, debba conservare quell’esemplare dell’atto di concessione.
Generalmente vi è una certa sottovalutazione della portata di questo esemplare, anche in relazione alle possibili durate delle concessioni che possono apparire remote, senza particolare cura su che avvenga alla scadenza o, quando va bene, preoccupandosi di verificare, tra i plurimi aventi diritto, quale possa essere la posizione che venga ad assumere questo o quello tra i diversi, preoccupazione che talvolta si correla con la possibilità, soggettiva, di una propria fruizione (o di altre persone nella propria cerchia più p meno ristretta od ampia).
Ma perché vi sono queste disposizioni “particolari”, spesso ignorate o semplicemente sconosciute?
Nel servizio cimiteriale si sono pur sempre particolarità, non solo attorno alle modalità costruttive delle diverse tipologie dei sepolcri (da cui si era partiti), ma per plurime motivazioni.
Ad esempio: la tipologia di pratica funeraria, le durate, le capienze, gli oneri connessi, le “regolazioni” qualora il concessionario (nel senso di “fondatore del sepolcro”) venga a decedere, con il conseguente “subentro” che può comportare come i subentranti assumano, a loro volta, la qualifica di concessionario ma anche che non l’assumano proprio, aspetti che influiscono pesantemente sulla riserva di fruizione, ai sensi dell’art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Si potrebbero anche aggiungere altri fattori, quali (i.e.) la presenza di qualificazioni specifiche del sepolcro (monumentale, storico, artistico), ma anche altro (quale la conformazione quale edicola isolata, quale sepolcro inserito in un dato contesto, magari spesso “immerso” tra una pluralità di sepolcri con le medesime caratteristiche, ecc.
Il Regolamento comunale di polizia mortuaria, oltre a non dover enunciare disposizioni già presenti in altre fonti, assolve, o dovrebbe assolvere, alla funzione di fornire soluzioni ai diversi aspetti e, soprattutto, alle differenti possibilità di fruizione, avendosi ben presente come il sistema denominato “servizio cimiteriale” costituisca un complesso di servizi, di prestazioni che non è una mera somma, magari in termini di mera prossimità, di sepolcri, singolarmente intesi, ma questi ultimi sono non sono isole, ma fruiscono anche di prestazioni e servizi propri della gestione (complessiva) del servizio che è rivolto all’intera comunità locale, che non può assumersi oneri meramente riconducibili a singoli che abbiano chiesto – ed ottenuto – un qualche uso “particolare”.
Qui ritorna il tema, già anticipato, della comunicazione, dovendosi ammettere come questa non sempre sia adeguatamente curata: i.e.: allorquando, nell’atto di concessione vi sia una qualche indicazione, del tutto generica, ad un rinvio a disposizioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria, significa poco, se non nulla, a meno che esse vengano, tendenzialmente prima della formalizzazione dell’atto, esplicitate, illustrate (anche per gli effetti) e, in buona sostanza, rese coscientemente note.
Ma la comunicazione non può limitarsi a questo, occorre sia correlata all’informazioone, completa, esaustiva e puntuale, non senza contestualizzare le disposizioni, che devono essere inquadrate in un contesto di servizio (nel senso più ampio della parola), sottolineandone il ruolo di “soluzione” a precise esigenze gestionali per la comunità locale, non sono quando si tratti di “soluzioni” necessitate, ma anche quando rispondano a scelte per loro stessa natura discrezionali (e non irrazionali).