All’incirca, anno più o anno meno, nel 1920 una persona, di quelle che negli atti notarili erano indicate come di condizione: benestante, non avendo discendenti e, sembra, neppure molti altri parenti se non, forse, qualche parente in linea collaterale di 4° grado od oltre, istituisce quale propria erede universale un’I.P.A.B. (regolata dalla L. 17 luglio 1890, n. 6972).
Tra i beni nell’asse ereditario erano compresi edifici, terreni con annessi agricoli, altre componenti attive, nonché un sepolcro a sistema di tumulazione, sorto quale sepolcro di famiglia (o, gentilizio, che nel contesto ne è sinonimo).
L’I.P.A.B., accettata l’eredità, riconoscente, procede anche a fregiare di una lapide, posta all’ingresso dell’ospedale di cui la stessa era titolare, riportandone il nominativo tra i propri benefattori.
Per inciso, l’I.P.A.B. aveva tra le proprie finalità istitutive non solo l’attività ospedaliera (successivamente interessata agli effetti della L. 12 febbraio 1968, n. 132 “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera”), nonché quelle della istruzione dei “fanciulli”, e la cura ed istruzione (ma, forse, si dovrebbe dire: “addestramento professionale”) delle “zitelle” (intendendosi delle ragazze non ancora coniugate) nei “lavori donneschi”, inclusa la previsione di fornire loro, in occasione del matrimonio, una dote costituita da adeguato corredo (prevedendo analiticamente le quantità di lenzuola, cuscini, asciugamani, ecc.).
Per effetto della già citata L. 12 febbraio 1968, n. 132, all’I.P.A.B. sono rimaste le altre attività, anche se, attorno agli anni ’30 del XX sec., a seguito di modifiche del proprio ordinamento, aveva cessato di assolvere alle funzioni cui erano destinatarie le “zitelle”, mantenendo le sole attività che interessavano i “fanciulli”, attivando quella che oggi si chiama una scuola materna.
Prescindendo dal complesso dei beni compresi nell’asse ereditario del benefattore, per quanto riguarda il sepolcro, che al momento dell’eredità, presentava ancora capienza, esso è rimasto, nel tempo, inutilizzato, difettando l’I.P.A.B. di previsioni del proprio ordinamento che consentissero di individuare categorie di persone che potessero essere, magari anche con qualche interpretazione … estensiva, quali aventi titolo ad esservi accolte.
Comprensibilmente, nei primi periodi successivi all’eredità l’I.P.A.B., ancora riconoscente, ha adeguatamente curato la conservazione in buono stato del sepolcro, ma progressivamente la “riconoscenza” si è attenuata, a maggiori ragione quando venuta a cessare l’attività ospedaliera, tanto più che le attività (leggi: finalità) residue non assicuravano entrate particolarmente doviziose.
Progressivamente, l’I.P.A.B. si è trovata in un vortice di situazioni di inadeguatezza a continuare le proprie attività, per vari motivi, al punto che, con percorsi sviluppatesi per alcuni anni, è intervenuto provvedimento di scioglimento, con attribuzione delle “attività” e “passività” al comune.
E il sepolcro? Se quando operativa l’I.P.A.B. esso non era utilizzabile per l’accoglimento di feretri dato che l’ordinamento dell’ente non considerava minimamente ipotesi di legittimazione all’uso (ma neppure l’atto di concessione, in quanto sorto originariamente quale sepolcro di famiglia o gentilizio), una situazione abbastanza simile si è riproposta con l’attribuzione dei beni della disciolta I.P.A.B. al comune, il quale, come accade per tutti i comuni, non presenta le indicazioni di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che le sue funzioni, in particolare quelle amministrative, sono date dall’art. 13 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.
Certo, tra le funzioni del comune possono individuarsi anche quelle di dare sepoltura alle persone decedute nel comune (territorio) o appartenenti a questo (popolazione), sono che questa titolarità (dovere?) sorge quando vi siano le condizioni per provvedere “d’ufficio” e con oneri a carico del bilancio comunale (art. 1, comma 7-bi D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito nella L. 26 febbraio 2001, n. 26), nel qual caso la sepoltura non può che essere se non quella “normale”, cioè nei campi che nel cimitero sono destinati all’inumazione ai sensi dell’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., rimanendo esclusa l’ipotesi di ricorrere alla tumulazione.
In questo contesto, la devoluzione al comune di quanto già appartenente alla disciolta I.P.A.B. potrebbe comportare che gli oneri di cui all’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. vengano a gravare (oltretutto, “senza contropartita” in termini di utilizzabilità) sul bilancio del comune, in quanto rivenuto proprietario del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione. Proprietà acquisita per la devoluzione derivante dallo scioglimento dell’I.P.A.B., non per altri titoli.
Per altro, questa situazione ha una soluzione tutto sommato abbastanza semplice, consistente nel fatto che il comune, una volta divenuto proprietario dell’ente (e qui poco, se non nulla rileva se lo possa utilizzare ai fini suoi propri, quello dell’accoglimento di feretri), può linearmente provvedere alla sua assegnazione a terzi, sia che per questo ricorra a criteri dettati, in via generale, dal Regolamento comunale di polizia mortuaria per queste fattispecie (magari imponendo come onere (art. 92, comma 3 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) quello di eseguire, entro termine determinato, interventi di riadattamento e manutenzione, se ed in quanto necessari od opportuni), sia che ricorre ad un’assegnazione previo esperimento di asta pubblica (anche qui con la possibilità di imporre eventuali oneri).
In tal modo, il sepolcro potrebbe essere oggetto di uso da parte del “nuovo” concessionario.
Per quanto riguarda i feretri già in precedenza accolti nel sepolcro, stanti le vicende illustrate, essendo venuta a cessare l’iniziale concessione (quella fatta ab origine alla famiglia cui apparteneva il defunto “benefattore”), trova applicazione l’art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (per inciso, nella fattispecie diventa del tutto irrilevante esaminare se la concessione originaria sia stata a tempo determinato (e, nel caso, quale fosse stata la sua durata) oppure sia stata concessa in perpetuità), per cui può disporsi semplicemente l’estumulazione dei feretri già accoltivi, e al collocamento delle ossa che si rinvengano nell’ossario comune (dato che mancando persone che possano avere titolo a provvedere altrimenti, non può neppure richiamarsi la disposizione del richiamato art. 86, comma 5, in quanto la raccolta in cassette ossario presuppone che queste debbano, o possano, essere collocate in altro sepolcro a sistema di tumulazione).