In più occasioni è stato affermato che la definizione dell’ambito delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario, ai fini di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., abbia quale unica “fonte” il Regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale potrebbe adottare una definizione unica per tutte le tipologie di concessioni cimiteriali, ma anche diverse definizioni, magari tenendo conto delle durate e delle capienze.
Poiché si ha spesso l’occasione per leggere testi di Regolamenti comunali di polizia mortuaria, si evidenziano sovente situazioni diffuse, ma anche, per così dire, “anomale” (a volte, “ab-normi”).
Ne è esempio quella che recita, testualmente: “Ai fini dell’applicazione sia del 1° che 2° comma dell’art. 93 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, la famiglia del concessionario è da intendersi composta dagli ascendenti e dai discendenti in linea retta e collaterale, ampliata agli affini, fino al 6° grado.”
Apparentemente, in sede locale, si è optato per una definizione di famiglia, ai fini del diritto di sepolcro, ampia ed estesa, giungendo fino al limite considerato dall’art. 77 C.C., limite che (art. 78 C.C.) si estende anche agli affini (suocere/i, cognate/i, coniugi delle/i zie/i, coniugi delle/dei cugine/i, ecc.).
Apparentemente, poiché non vi è cenno di sorta a una data figura la cui presenza, in linea di massima (ma non è detto …), dovrebbe essere “fisiologica” ogni qual volta si parli di famiglia. Infatti, l’art. 29 Cost. parla di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, senza peraltro definire, né la famiglia, né il matrimonio.
Tra l’altro, oggi non si può non ricordare l’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76 che equipara la parte di unione civile tra persone dello stesso sesso con il coniuge, cosa che porterebbe a dover parlare di coniuge o persona a questi assimilata.
Ma, per il momento, lasciamo da parte, pur senza dimenticarla, questa tematica (ricordiamo solamente che questa disposizione comporta il sorgere anche di rapporti di affinità).
Nella definizione sopra riportata non è proprio presente la figura del coniuge! La cosa appare chiaramente abnorme, se non altro per il fatto che la stessa definizione di affinità importa la presenza di un qualche coniuge: come potrebbero esservi parenti del coniuge quando manchi il coniuge?
Oppure, provocatoriamente, il coniuge non appartiene alla famiglia del concessionario, mentre vi appartengono i parenti del coniuge?
Quest’omissione probabilmente può essere frutto di un approccio in cui la figura del coniuge è così scontata, da essere “sentita” come implicita, tenendo presente, in materia, come l’elaborazione giurisprudenziale, conforme e consolidata, avutasi attorno alle persone, che hanno titolo a disporre del defunto, veda la posizione del coniuge come prevalente su quella dei parenti, motivando il c.d. principio di poziorità, laddove l’ordine di enunciazione corrisponde alla priorità della titolarità.
Peccato che l’assunto dell’implicazione non significhi nulla, specie quando si vadano a definire posizioni che abbiano un qualche titolo o un qualche diritto.
Di qui l’esigenza, insopprimibile, che, quando si elabori un Regolamento comunale di polizia mortuaria, si faccia attenzione a quelli che sono gli obiettivi di tale fonte normativa, ma – anche – che si esprimano i concetti in modo non equivoco, tanto più che le equivocità espongono al contenzioso e contrastano, inoltre, col principio di buon andamento della P.A. affermato all’art. 97, comma 1 Cost. unitamente al principio di imparzialità.
Nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 era presente l’art. 11 “Modalità del trattamento e requisiti dei dati, il cui comma 1, alla lett. d), relativamente a come dovessero essere i dati personali, recitava: “pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; ; come noto, tale disposizione è stata, con altre, abrogata dall’art. 27, comma 1, lett. a), n. 2, D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”. In realtà, poco è mutato o, meglio, quell’indirizzo risulta più puntuale, se si vada a vedere l’art. 5, alinea 1, lett. c) e d) del testé citato regolamento (UE) 2016/679.
Ma si trattava (ora, si tratta) di una formulazione importante, perché affermava, con altre parole e, soprattutto, sinteticamente, “ (i) quello che serve, (ii) tutto quello che serve, (iii) nulla di più di quello che serve”.
Anche in sede di elaborazione del Regolamento comunale di polizia mortuaria occorre (occorrerebbe?) tenere presenti questi criteri, unitamente a quello, rilevantissimo, per cui il fine del Regolamento comunale di polizia mortuaria non è quello di provvedere ad un adempimento, quanto quello di fornire “risposte” coerenti, congrue ed adeguate, alle esigenze della comunità locale cui si rivolge.
In altre parole, esso deve essere un utile e praticabile tool nelle mani sia del comune che, ancor prima delle persone e della popolazione interessata.