Una domanda che evidenzia una “distorsione percettiva”

In una data occasione, una persona ha posto una domanda, più o meno rappresentabile nel modo seguente: Alla morte della mamma nel comune non erano disponibili loculi, per cui ho dovuto rivolgermi ad un altro comune, con conseguenti spese di trasporto, oltre che dove corrispondere una tariffa maggiore. Quanto mi deve rimborsare il comune per questa non disponibilità”.
Trascuriamo immediatamente la questione relativa al fatto che le tariffe di concessione cimiteriale sono differenti da comune a comune e, spesso, anche all’interno di uno stesso comune, es.: quando vi siano differenziazioni tra cimiteri, per posizione o per altri parametri, dato che si tratta di aspetto rimesso pienamente alle scelte locali, da determinare sulla base di plurimi criteri di ragionevolezza gestionale, nel rispetto dei criteri di cui oggi all’art. 26 D. L.gs, 23 dicembre 2022, n. 201 e s.m. e, prima di questo, dell’art. 117 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.

La domanda cela un presupposto privo di fondamento, cioè che i comuni siano tenuti ad assicurare una disponibilità di posti a sistema di tumulazione, presupposto che a sua volta si fonda sulla considerazione che questa pratica funeraria sia “normale” (e non semplicemente “ammessa”) e, per questo, dovuta.
Ciò non stupisce in quanto, nel tempo, si è venuta a formare una “percezione sociale” secondo la quale si ha questa “normalità”, riducendosi progressivamente la questione della scelta tra inumazione e tumulazione ad aspetto consuetudinario, frequentemente collegato anche ad atteggiamenti che prescindono dalla funzione delle diverse pratiche funerarie, ma risentono, o possono risentire, anche di “comparazioni sociali” (es.: “… che direbbe la gente …”) all’interno di sistemi valoriali plurimi.
Infatti, la crescita, nel passato, del ricorso alla pratica della tumulazione ha alterato la percezione complessiva attorno a questi aspetti e, più recentemente, l’irruente crescita della cremazione sta, a propria volta, mutando le “percezioni sociali”, tanto che in non poche realtà sta emergendo che la domanda di posti nei cimiteri sta orientandosi verso altre soluzioni, cosicché le prospettive, qui o là già verificabili, vanno nella direzione di privilegiare altre opzioni (cellette ossario, nicchie cinerarie), magari anche suggerendo di trasformare le destinazioni di determinati manufatti sepolcrali in senso diverso dall’accoglimento di feretri.
È evidente che le “percezioni sociali” possono formarsi, ed evolversi, senza tenere conto di aspetti, per così dire, “tecnici”, collegati alle funzioni delle diverse pratiche funerarie, giocando fattori che alle persone possono anche non essere noti o si collocano fuori dalla ordinaria conoscibilità delle persone.

Facendo uno sforzo di uscire dalle “percezioni sociali” riportando la questione sul piano tecnico-normativo, occorre richiamare come il sistema cimiteriale preveda storicamente quale pratica funeraria ordinaria, normale, di default quella dell’inumazione, dettandone anche i criteri per un suo dimensionamento minimo, da assicurare costantemente (art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, m. 285 e s.m.), il ché costituisce il fabbisogno cimiteriale, assicurato il quale il comune, in sede di piano regolatore cimiteriale (art. 91 stesso D.P.R.), può destinare superfici cimiteriali eccedenti al suffetto “fabbisogno cimiteriale” ad altri utilizzi (Cfr.; il successivo art. 59 stesso D.P.R.).
Ed è in queste aree “eccedenti il fabbisogno cimiteriale” che trovano, o possono trovare, destinazione anche le costruzioni di manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione, sia essi costruiti dai concessionari di porzioni di aree, oppure direttamente dal comune (o, dal soggetto gestore, in caso di affidamento del servizio a terzi), i cui posti (o, porzioni di aree) sono oggetto di concessione amministrativa, assumendo la veste di “sepolcri privati nei cimiteri”.
La intervenuta, progressivamente nel tempo, diffusione di queste pratiche, ha fatto sorgere le percezioni sociali che vedono nella pratica della tumulazione una sorta di (apparente) normalità, al punto che, a volte, si rende necessario virgolettare la parola “sepoltura” per rendere indistinta la scelta tra inumazione e tumulazione. cosa che però non incide sul fatto che il “fabbisogno cimiteriale” sia, e permanga, unicamente quello determinato alla luce del sopra ricordato art. 58 stesso D.P.R.

Non si tratta di modificare le percezioni sociali delle persone, ma di fare chiarezza, cosa che potrebbe richiedere coerenti metodologie di comunicazione (spesso si trascura l’importanza della comunicazione o la si confina ad aspetti “tecnici”, che rischiano di rimanere incomprensibili alle persone) che aiutino, indirizzino verso una progressiva crescita della conoscenza – e conoscibilità – dei presupposti normativi.
Ciò vale non solo per la coppia “inumazione / tumulazione”, ma anche per la terna “inumazione / tumulazione / cremazione”. Basterebbe considerare come 30-40 (ma anche 20) anni fa la cremazione fosse ancora una sorta di oggetto misterioso, cui si rivolgeva un numero limitato di persone, mentre attualmente costituisce una pratica funeraria fortemente consistente e a cui si rivolgono sempre più famiglie.
Segno, anche questo, di un’evoluzione della “domanda”, le cui prospettive portano a valutare se e quanto siano ancora sostenibili impostazioni che trovavano motivo in situazioni radicalmente mutate (e, spesso, non più sussistenti): si può citare quel: “… il trasporto delle salme ai cimiteri del capoluogo riesca non agevole peer difficoltà di comunicazione …” (Cfr.: art. 49, comma 2 stesso D.P.R.), per suggerire come ormai sia anche il tempo di iniziare a considerare un modello di sistema cimiteriale meno “di campanile”, ma orientato al servizio – e alla sua qualità – individuando bacini territoriali adeguati alla prestazione qualitativamente coerente con le esigenze delle popolazioni, individuando una qualificazione che, sotto il profilo delle funzioni, veda i cimiteri come inseriti in un’ottica di rete, che valorizzi l’impiego delle risorse umane, strumentali, finanziarie conforme a servizi che rispondano, maggiormente, alle esigenze delle popolazioni servite, senza condizionamenti che ormai hanno perso le motivazioni che, un tempo, le giustificavano.

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Sereno Scolaro

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