Abbastanza recentemente è accaduto di leggere una pronuncia del Consiglio di Stato, relativa ad un caso di revoca di concessione di aree cimiteriali, nel cui contesto era indicata una tariffa che ha lasciato, quanto meno, perplessi.
Si trattava di un’area di 8,60 mq, concessa per la durata massima oggi ammessa, cioè per 99 anni (art. 92, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), ai fini della costruzione, da parte della persona concessionaria, di un manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione.
Considerando la superficie e la durata, l’importo indicato risultava pari a meno di 0,005 €/mq/giorno (cioè, altrimenti, meno di … mezzo euroCent/giorno).
In materia di tariffe per le concessioni cimiteriali non si può non considerare come durata e tariffa (importo di questa) siano strettamente collegate, per non dire che sono due componenti che concorrono: si pensi alle concessioni di durata diversa per cui siano previste la medesima somma: ora, quest’ultima non è “identica” se la durata sia di 99 anni, oppure di 70-75 anni, oppure di 40-50 anni, oppure di 20-25-30 anni, anche se la persona richiedente la concessione abbia un esborso di pari importo.
Per questo, si è preferito rapportare il valore non alla sua totalità, quanto pro rata, al valore computabile per giorno, anche se raramente si considerano le tariffe per le concessioni cimiteriali con riguardo all’unità di tempo (giorno), ma più frequentemente considerando eventuali frazioni della durata (quando si renda utile considerare queste) più consistenti, es. l’anno, magari con arrotondamenti, per eccesso o per difetto, delle frazioni di anno.
La scelta di rapportare l’unità di tempo al giorno si presta a confrontare i valori con altre “prestazioni” di aree pubbliche, quali l’occupazione di suolo pubblico o le aree destinate ai parcheggi a pagamento (queste, oltretutto, in genere fissate in termini orari, cioè in frazioni di giorno).
Nel complesso la concessione cimiteriale de quo era stata rilasciata per un importo, debitamente fissato, più o meno, paragonabile a meno del 5% dell’importo che potrebbe, dovrebbe essere congruo per la sepoltura in inumazione nel campo comune di cui all’art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m..
Andrebbe considerato che le concessioni cimiteriali di cui all’art. 90 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. producono un effetto di “sottrazione” dell’area a questo fine destinata (e, non casualmente, occorre fare riferimento all’immediatamente successivo art. 91 quale pre-condizione di legittimità di ogni concessione di area cimiteriale) rispetto all’uso generale, cioè quello di cui è destinataria la comunità locale nel suo complesso, per cui la fissazione delle tariffe dovrebbe tenere conto anche di questi effetti.
Per altro, quando si tratti di stabilire le tariffe relative, all’interno degli indirizzi generali di competenza del consiglio comunale (art. 42 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.), le Amministrazioni locale sono spesso condizionate (se si voglia: auto-condizionate) da valutazioni che sfuggono a logiche minimamente coerenti, in primis dal fatto che le tariffe precedenti non erano state fissate in modo pertinente.
Per questo, ferma l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, concorrente ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, dei comuni (art. 119, comma 1 Cost.), sarebbe il caso che la questione venga affrontata, fin dalla sua istruttoria, evitando di ricorrere a parametri impropri, quali (e.g.) le misure precedentemente fissate o il raffronto con le tariffe praticate in altri comuni dell’area di riferimento o di comuni di, più o meno, simile consistenza.
Semmai, sarebbe opportuna una analisi dei costi dei servizi, meglio se elaborata con criteri tendenzialmente “aziendali” (se si preferisca: “aziendalistici”), senza sottovalutare gli effetti delle durate, dato che solo con processi di analisi di questo tipo si potrebbe pervenire ad una qualche stima congruente.
Ed è da una stima congruente che viene ad individuarsi lo spazio per le decisioni discrezionali da farsi dagli organi di governo ed indirizzo degli Enti Locali.
Si tratta di una questione del tutto importante, in particolare in queste fasi in cui non mancano spinte a “togliere ossigeno” alle entrate dei comuni, magari per consentire ad altri di fruire degli spazi che si creano nelle propensioni di spesa delle famiglia in caso di lutto, per esaurirle nelle fasi maggiormente prossime al post mortem.
Il comune, al contrario, è chiamato a valutare gli equilibri di bilancio per tutto l’arco temporale delle durate delle concessioni cimiteriali, rimuovendo, per quanto umanamente possibile, le miopie delle visioni a breve.
Se si vanno a verificare i sistemi tariffari in atto, si possono rilevare fortissime differenziazioni (ed anche i comuni sono differentissimi e non vanno mai considerati come se fossero tutti uguali, omogenei l’un con l’altro, dato che le differenze sorgono per un0amplissiva varietà, e variabilità, di fattori), valori che non hanno fondamento in alcuna analisi dei costi, né della continuità dei servizi, fino ad arrivare a situazioni in cui anche l’inumazione in campo comune non trova corrispettivo, come se il tempo decorso dall’entrata in vigore (2 marzo 2001) dell’art. 7, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392, convert. in L. 28 febbraio 2001, n. 26 non abbia prodotto effetti di sorta.
Non si può, infine, considerare come il ricorso a tariffe incongrue produca effetti “perversi”, nel senso che, non assicurando il mantenimento degli equilibri di bilancio, ne sono condizionati i servizi in quanto tali (e si parla di “servizi”, mentre di dovrebbe dire: “qualità dei servizi”).
Vi sono numerosissimi casi in cui per vari motivi (collocamento a riposo di personale, blocchi nelle possibilità assunzionali, costi di esercizio ed altri) i comuni non sono più nelle condizioni di assicurare un qualche servizio nei cimiteri, inducendo all’adozione di atti di “esternalizzazione”, con l’affidamento a soggetti terzi, magari attraverso procedure di offerte al ribasso (trascuriamo gli effetti …), cosa che spesso porta a consentire, indebitamente, che alcune attività proprie del servizio siano assolte (non certo senza oneri per le famiglie in lutto) da soggetti operanti in ben altri campi di attività.