Vi sono numerose situazioni in cui si possono, qui o là, registrare usi peculiari, a volte aventi fondamento, altre volte privi, altre ancora in netto contrasto con quello che dovrebbe essere il … “dover essere”, situazioni “percepite” come se fossero normali (aggettivo derivante da “norma”), mentre altrove sono del tutto assenti, per non dire che sollevino stupore anche a chi abbia elevata anzianità operativa nel settore.
L’art. 88 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 disponeva un divieto, con una disposizione successivamente ripresa testualmente nel successivo art. 87 D.P.R. 1975, n. 285 e s.m., abbastanza preciso.
Lo si riporta a titolo di memoria:
“Art. 88
[I] È vietato eseguire sulle salme tumulate operazioni tendenti a ridurre il cadavere entro contenitori di misura inferiore a quelle delle casse con le quali fu collocato nel loculo al momento della tumulazione.
[II] Il custode del cimitero è tenuto a denunciare all’autorità giudiziaria e all’ufficiale sanitario chiunque esegua sulle salme operazioni nelle quali possa configurarsi il sospetto di reato di vilipendio di cadavere previsto dall’art. 410 del codice penale.”.
Si noterà che la differenza tra il primo ed il successivo si sa unicamente sul passaggio dal “custode” al “responsabile del servizio di custodia”, cioè dando rilevanza al “servizio” come complesso organizzativo.
Si tratta di un divieto che ricorda, per certi versi, il divieto, posto dall’art. 76 R.D. 6 settembre 1874, n. 2120 “Regolamento per l’esecuzione della legge 20 marzo 1865 sulla sanità pubblica e della legge 22 giugno 1874, numero 1964”, di deposizione dei cadaveri nelle così dette fosse carnarie, dato che, in entrambi i casi, sorgeva dalla volontà di far cessare comportamenti ritenuti non più ammissibili. In altre parole, entrambi questi divieti avrebbero dovuto porre termine alle situazioni precedenti che ne costituivano la fattispecie così, espressamente, vietata.
Anche questo divieto, vigente dal 10 febbraio 1976, ha costituito un’innovazione rispetto alla regolamentazione precedente.
Si ritiene che il divieto posto nel 1874 abbia raggiunto il proprio fine. Non così quello posto a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, se si considera come, ancora oggi, vi siano persone che si dolgono della possibilità di ricorrervi, ma anche come venga riferito sia, qui o là, oggetto di pratica, in particolare reperendosi sul mercato gli strumenti per attuarlo, forniti dalle industrie del settore che, se producono quanto serva, portano solo alla considerazione che si tratti di usi non sono praticati in date località, ma in misura quantitativa tale da giustificare le tecnologie di produzione del caso.
Il divieto introdotto non si attaglia solo a comportamenti irrituali, posti in essere da singole persone (non interessano le motivazioni), ma non lascia cogliere l’origine, individuabile in prassi peculiari.
Viene riferito (cosa non verificata direttamente e, quindi, citata in termini di mera presunzione riferita) come vi siano realtà in cui le inumazioni siano eseguite non in orizzontale, quanto, in qualche modo, verticale, per favorire un’accelerata dispersione nel suolo, specie quando particolarmente adatto sotto il profilo litologico, delle percolazioni dei liquidi cadaverici allo scopo di pervenire, in termini relativamente brevi, a “qualcosa” di diverso dalla completa mineralizzazione.
Spostandoci dall’inumazione alla tumulazione, ciò ricorda la pratica dell’utilizzo dei c.d. (un tempo) colatoi, fossero questi orizzontali o “a sedia”, pratica risalente a secoli passati e che vede orientamenti diversi, tra chi ritiene che questi fossero utilizzati per tutti i defunti indipendentemente da altre considerazioni di appartenenza sociale e chi propenderebbe per un uso limitato a determinate tipologie di defunti, questione rispetto a cui si ritiene manchino sufficienti notizie per giungere ad un qualche esito convincente.
Ma la questione non è questa, quanto la persistenza, almeno nelle “percezioni sociali”, dell’uso di … operazioni tendenti a ridurre il cadavere entro contenitori di misura inferiore a quelle delle casse con le quali fu collocato nel loculo al momento della tumulazione, il ché porta a cogliere come questi “contenitori” (sic!) altro non siano tali da avere dimensioni … inferiori.
Se tutto termina, evidentemente, almeno nelle “percezioni sociali”, non tutto termina, anche dopo ormai quasi mezzo secolo, segno che questi usi non sono proprio … terminati.
A questo punto non si può evitare ad aggiungere al divieto posto dal comma 1 della norma citata (non importa se riferendosi alla prima o alla successiva tra le norme citate), anche un richiamo dell’attenzione attorno al comma 2, che pone un obbligo di denuncia (a 2 autorità, autorità giudiziaria e sindaco (qui dovendosi richiamare per pertinenza anche l’art. 51 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) “chiunque esegue sulle salme operazioni nelle quali possa configurarsi il sospetto di reato di vilipendio di cadavere previsto dall’art. 410 del codice penale, segno che il divieto de quo non comporta un’unicamente una violazione di norme regolamentari, non ha natura unicamente di infrazione, per così dire, amministrativa, ma riveste una possibile qualificazione avente rilievo penale, spettando all’autorità giudiziaria la valutazione se il sospetto sia fondato e sussista la violazione penale di riferimento o meno.
Non senza ricordare, in termine di questo testo, altresì l’art. 107 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (a proposito del quale si rammenta come l’art. 358 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m. sia stato modificato, dall’art. 16, comma 1, D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 196, nel senso: “All’articolo 358, secondo comma, del regio decreto 27 luglio 27 1934, n. 1265, e successive modifiche, le parole: “fino a lire quattrocentomila” sono sostituite dalle seguenti: “da lire tre milioni a lire diciottomilioni, salvo che il fatto costituisca reato” (convertendo gli importi in lire in euro significa: 1.549,38 € e 9.296,22 €); ma quel “salvo …” finale significa anche che questa sanzione amministrativa si applica se l’autorità giudiziaria non ravvisi la sussistenza del reato di cui all’art. 410 C.P.).
L’esecuzione di queste operazioni produce effetti non proprio …. né desiderabili, meno ancora apprezzabili.
Ma, dulcis in fundo queste ultime disposizioni risultano essere state oggetto di abrogazione da parte dell’art. 16 D.Lgs. 5 agosto 2022, n. 134 “ Disposizioni in materia di sistema di identificazione e registrazione degli operatori, degli stabilimenti e degli animali per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/429, ai sensi dell’articolo 14, comma 2, lettere a), b), g), h), i) e p), della legge 22 aprile 2021, n. 53“, con le conseguenze del caso affrontate in questo sito (19 settembre 2024) da altro rilevante Autore, cui si rinvia.