In una data località, vi è una targa in cui si legge, più o meno: “Questa strada, allargata dalla concittadina …, dal patrio municipio è stata abbellita. …. 188…”.
Vi erano stati piantumati degli ippocastani, vi era un’edicola e, d’estate, una gelateria frontistante vi teneva i tavolini per la clientela.
È uno dei tanti esempi di modalità di fare ricorso a quella che oggi va sotto il nome di “sussidiarietà”, dove dati interventi erano realizzati dai privati e, poi, “fatti propri” dall’ente locale.
Situazioni simili si trovano anche in ambito cimiteriale. In una località, collinare, dove sussistevano le condizioni oggi considerate dall’art. 49, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (“2.- I comuni che abbiano frazioni dalle quali il trasporto delle salme ai cimiteri del capoluogo riesca non agevole per difficoltà di comunicazione devono avere appositi cimiteri per tali frazioni.), gli abitanti di una frazione hanno inteso auto-tassarsi per costruire un cimitero a servizio della frazione, ottenendo dal Prefetto debita autorizzazione, rilasciata nel 1875 e che prescriveva, tra l’altro, che “le persone a ciò autorizzate dovranno, entro 6 mesi dal completamento dell’opera e, comunque prima dell’esercizio del cimitero, realizzare, una strada di accesso e, realizzata tale strada, il cimitero sarà comunale”.
Come sia avvenuto, di fatto la strada non è stata realizzata, se non nel 1901 a seguito di una serie di “trattative” tra comune e le persone interessate, volte a risolvere la situazione, comprendendo la previsione che la strada sarebbe stata costruita dal comune.
Si rappresenta che la predetta autorizzazione prefettizia è stata posteriore al R.D. 6 settembre 1874, n. 2120 ”Regolamento per l’esecuzione della legge 20 marzo 1865 sulla sanità pubblica e della legge 22 giugno 1874, numero 1964”.
Le persone, abitanti della frazione, che avevano assunto l’iniziativa, conferendo sia terreni sia le risorse per la costruzione del cimitero, inizialmente la sua recinzione e la ripartizione dell’area in “campi” ad inumazione, non si erano costituiti in qualche forma di “comitato” o simili, ma avevano dapprima agito come gruppo di fatto, sottoscrivendo tutti gli atti, inclusa l’istanza rivolta al comune e alla Prefettura, mentre in un secondo tempo, anche per il fatto che alcune delle persone promotrici erano decedute, hanno “designato”, informalmente, il parroco locale a loro rappresentanza (un tempo non mancavano atteggiamenti reverenziali nei confronti del parroco, se non altro per motivi pratici, come il livello d’istruzione), con ciò generando situazioni equivoche, che potevano portare a considerare (o, meno) che questo cimitero di frazione potesse – forse – essere considerato cimitero parrocchiale, rientrando nella categoria dei c.d. “cimiteri particolari” (oggi: Cfr.: art. 104, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Nonostante i tentativi del comune di pervenire ad una risoluzione del contenzioso, attorno agli anni ‘20 del XX sec., alcuni frazionisti, a volte promotori, più spesso discendenti (o, forse, eredi) dei promotori, hanno iniziato a costruire cappelle a sistema di tumulazione e, in alcuni casi, a “finanziarne” i relativi costi tramite vendite ad altri frazionisti, anche se diversi da quelli inizialmente promotori.
Per inciso e mera notizia, il contenzioso non è ancora risolto, sia per i fatto che il comune argomenta una tesi, i promotori (o loro discendenti) affermano una loro proprietà e, contemporaneamente, la Curia afferma la qualificazione di cimitero parrocchiale e non di altri soggetti.
La tesi sostenuta dal comune è quella della demanialità del cimitero, oltretutto contestando il mancato rispetto della prescrizione di realizzare la strada di accesso al cimitero, entro un termine ben individuato e “prima dell’esercizio del cimitero”, unitamente a fatto che la strada è stata poi (1901-1902) realizzata a spese del comune, in funzione di superare il contenzioso sorto tra il comune e i promotori dell’iniziativa, cioè bel un quarto di secolo oltre la costruzione del cimitero, con ciò argomentando una bona fide del comune, volta a porre rimedio all’inadempienza dei promotori dell’iniziativa.
Proprio per il fatto che il contenzioso non ha ancora trovato esito e si tratta di questioni rimesse alla valutazione del giudice competente, non si entra nel merito di quella che possa essere la decisione cui il giudice adito possa pervenire.
Si considera, unicamente, il fatto che approcci fin troppo informali (e nel passato potevano anche aversi), quando non siano ricondotti a coerenza, lasciano strascichi in cui il decorso del tempo rendere via via meno agevole (oltre che oneroso) ogni ricerca di una soluzione ragionevole.
E pensare che vi è chi ritiene che “gestione cimiteriale” significhi eseguire, nell’arco di 2,3 o 5 anni, alcune operazioni cimiteriali e, magari, anche un po’ di manutenzione del verde.